Venezia nel segno di Stefano Tonut

La vittoria della Coppa Italia: "Ho vissuto una grande emozione. Il segreto di tutto questo è il gruppo"

Nel trionfo della prima Coppa Italia dell’Umana Reyer Venezia uno dei grandi protagonisti della kermesse pesarese è stato Stefano Tonut.
I campioni d’Italia, nonostante avessero vinto due scudetti e un titolo europeo, non godevano dei favori del pronostico causa un cammino alterno in campionato. Peraltro solo all’ultimo si sono qualificati e come ottavi nel tabellone, con un tabù negativo nelle Final Eight che gli aveva sempre visti estromessi al primo turno.
Invece la squadra di Walter De Raffaele è riuscita, ancora una volta, a compattarsi ed imporsi nel momento che conta trascinata proprio dalla guardia triestina.
Tonut ha chiuso la rassegna con 11,6 punti ad allacciata di scarpe ed è stato eletto miglior difensore del torneo.

“ Ho vissuto una grande emozione, direi senza parole. È stata una vittoria per certi versi inaspettata. Però noi onestamente abbiamo sempre avuto il pensiero di potercela fare da quando è finito il girone d’andata. Non abbiamo mai sorpassato il primo turno in sette anni, abbiamo perso l’anno scorso all’ultimo secondo, abbiamo giocato da ottavi contro la prima della classe che, peraltro ha dimostrato pienamente il suo valore, se avessimo battuto la Virtus Bologna avremmo poi incontrato Milano o Cremona altre due grandi squadre che hanno dimostrato di giocare meglio di noi nella prima parte di campionato, per non parlare della finale con Brindisi: tutte queste motivazioni -anche scherzando con i compagni di squadra- mi hanno fatto pensare che quest’anno poteva essere l’anno buono. Siamo partiti da sfavoriti dove non si parlava di noi, anche se poi a giugno avevamo vinto lo scudetto; direi che era quasi piacevole come sensazione il fatto di partire così svantaggiati. Tutto ciò ha fatto si che le motivazioni aumentassero e ci portassero in finale”.

Un DNA vincente quello dei campioni d’Italia; quando la posta in palio è un trofeo importante difficilmente sbaglia:

“Il segreto di tutto questo è il gruppo”, dice Tonut: “Quello che è successo in questi anni di vittorie, al di là del valore dei giocatori, è l’unità e la coesione che c’è nella squadra. In una grande squadra tutti danno una mano anche chi gioca meno ed una cosa bella e fondamentale essere tutti uniti ed aiutarci l’uno con l’altro. Per esempio, Ariel Filloy che ha giocato meno di quello che si potesse aspettare in queste tre partite è stato presentissimo come se fosse lui in campo al posto mio. Quando giochi è più facile. È più difficile per chi gioca poco; la cosa più bella è quella di vedere tutti partecipi ed incoraggiarsi reciprocamente. Persino chi no era nei 12, come Pellegrino, Udanoh e Goudelock, si alzava in piedi per esultare e davano dei consigli. La cosa più bella è il rispetto reciproco.
Questo è il mio quinto anno in orogaranata ed è il quarto che raggiungiamo risultati. Non ho mai litigato o discusso con nessuno, ho sempre avuto un bellissimo rapporto con tutti i mie compagni italiani e stranieri.
Sono convinto che il lavoro che hanno fatto Brugnaro, Casarin e De Raffaele è stato quello di costruire una squadra composta da grandi persone. Questa è un cosa che ho sempre detto perché è una cosa che sento e penso davvero ed è giusto ribadirlo. Vivo ogni giorno con i ragazzi, ogni giorno con lo staff dobbiamo passare tanto tempo insieme, essendo anche “costretti” a frequentarci, però non ci siamo fatti mai pesare questo, anzi ci siamo sempre fatti andar bene le cose perché stavamo bene uniti. Questo fa la differenza ed ha fatto la differenza anche in termini di risultati. Quando conta noi cerchiamo di essere pronti per cercare di portare a casa qualcosa d’importante.
I giocatori che vengono a Venezia sanno che vengono qui per provare a vincere e quindi arrivano con un certo tipo di mentalità dove per giocare devi meritarti di farlo e quando entri in campo devi dare sempre il massimo e questo ci consente di raggiungere risultati positivi”.

Per quanto concerne le prestazione della guardia della nostra Nazionale alle Final Eight, bisogna ricordare che Stefano arrivava da un stop di 20 giorni per un problema muscolare e non era nemmeno certa la sua presenza per la rassegna pesarese,
De Raffaele l’ha fatto partite sempre in quintetto base. Tonut si è presentato giocando una pallacanestro al limite della perfezione: con la sua classe, il suo talento, le sue giocate spettacolari, i suoi assalti al ferro che tanto mancavano a Venezia, il tutto in virtù di una personalità ed una sicurezza abbacinante.

“Il fatto di partire in quintetto è merito del coach e dello staff. De Raffaele mi ha dato fiducia perché ha visto qualcosa in me di diverso soprattutto per le motivazioni che avevo. Prima di farmi male dovevo partire in quintetto base in campionato, proprio con la Virtus Bologna e stavo venendo da un momento molto positivo. Nel momento in cui mi sono fatto male sapevo che la mia tempistica di recupero poteva essere la Coppa Italia e forse oltre, avevo un stiramento di secondo grado all’adduttore che ha come prognosi di recupero una trentina di giorni. Ho lavorato e avevo come obiettivo di rientrate subito alla prima partita con la Virtus, avevo tante motivazioni e il fatto di non aver mai mollato in quei giorni mentalmente; fisicamente purtroppo devi mollare un attimo altrimenti non recuperi e non puoi allenarti normalmente: mi son allenato a parte facendo altre cose, ma con la testa ero sempre con la squadra. Sono arrivato a due giorni prima della partita a fare due allenamenti, il merito è anche del coach che mi ha messo dentro perché mi ha visto carico, perché ero pronto per la partita. Poi quello che è successo è un qualcosa che non posso descrivere, è una cosa che uno sogna e spera vista la situazione; mi portava a pensare di essere in squadra per dare una mano anche con delle semplici cose e non per giocare al 100%. Certamente la grinta e l’energia che ho messo è una cosa che volevo assolutamente mettere in campo e mi hanno fatto superare la stanchezza inevitabile che avevo a causa dello stop avuto”.

Quest’anno De Raffaele ha puntato molto sul gruppo di giocatori italiani dell’Umana Reyer e nelle Final Eight in tutte e tre le gare Tonut, De Nicolao e Mazzola sono partiti nello starting five:

“Il fatto di partire in quintetto cambia poco come squadra; invece è fondamentale giocare minuti importanti. Non è un ossessione giocare nei primi cinque in una squadra del genere che vuole vincere, noi siamo in 15 e tutti sono fondamentali.
L’importante è farsi trovare pronti e tutti possono giocare, dipende dalla squadra che affronti, dipende dalle scelte tattiche. Però è bello vedere che il tuo coach abbia dato fiducia a me, Andrea De Nicolao e Valerio Mazzola in una competizione così importante dandoci la possibilità di partire in quintetto senza stravolgere tutto, anzi dando il giusto assetto alla squadra perché lo meritavamo in riferimento agli italiani, senza nulla togliere a quelli che uscivano dalla panchina. È stata una cosa bella vedere tre italiani in quintetto: non si sono visti da nessun’altra parte. Per fare un esempio delle nostre tre partite, con Bologna c’era Ricci, nella seconda con Milano Andrea Cinciarini e in finale nessun italiano”.

Tonut ha avuto alcuni infortuni, uno in particolare alla schiena, che l’hanno tenuto fuori negli anni precedenti per parecchio tempo. Un atleta prova sensazioni strane e difficili in quei momenti:

“La cosa più brutta di un infortunio che sia piccolo o grande è che ti fa perdere il ritmo e le gerarchie in squadra che magari ti eri conquistato. Sicuramente sai che fa parte del tuo mestiere e devi mettere in conto che puoi farti male e se succede tu non puoi fare più di tanto. Puoi magari prevenire un’ infortunio, ma non sempre. Ad esempio non potevo prevenire i problemi che ho avuto alla schiena. Quando succede, la cosa più importante è non demoralizzarsi e pensare che il recupero in quel caso è la tua partita. La forza la devi trovare in te stesso, ma è determinante chi ti sta vicino perché devi essere consapevole del lavoro e del tipo di riabilitazione che stai svolgendo. Nel passato devo dare grandi meriti per i miei problemi alla schiena, ma anche per questo ultimo infortunio, al grande lavoro dei fisioterapisti della Reyer, Alberto De Bei e Leopoldo Buttinoni, dei dottori Michelangelo Beggio e Federico Munarin e i preparatori atletici Renzo Colombini e Matteo Xalle.
Per fare ancora un esempio quando ebbi il problema alla schiena con Colombini feci delle riabilitazioni per più di un mese, e poi anche di un altro tipo, ma se tu non sei convinto del lavoro che stai facendo fai fatica. Io ho sempre avuto la piena fiducia in tutto lo staff medico che di fatto mi ha portato a passare questo lungo brutto periodo di riabilitazione essendo convinto di quello che stavamo facendo. Alla fine va presa come esperienza che ti fortifica, paradossalmente va preso quasi come una cosa positiva che ti fa crescere, come detto fa parte del nostro mestiere, io mentalmente ne sono uscito più forte di prima grazie a loro”.

Il Papà di Stefano, Alberto Tonut, nel passato è stato un grande giocatore della nostra Serie A, ma anche della nazionale. Il giocatore della Reyer spiega cosa ha significato per lui:

“Mio Papà ha sempre cercato di fare il massimo e il bene per me e quindi per la mia pallacanestro. È sempre stato il primo insieme a mia Mamma a credere in me, voleva molto semplicemente che avessi un’opportunità di divertirmi e di giocare. Poi io mi sono creato questa opportunità stando molto attento e stando pronto nel momento giusto; però quello che mi ha dato lui all’inizio, dove io non potevo sapere com’era questo mondo, mi ha concesso la possibilità per emergere all’inizio e poi da quando ho giocato da Trieste in poi sono sempre stato pronto dando sempre il massimo e per fortuna sono arrivato sino a qui. Ogni anno è sempre stato un qualcosa in più e un’aggiunta al mio percorso di crescita”.

La Nazionale:
“Dopo lo scudetto vinto giocando delle partite importanti, la chiamata magari iniziale me l’aspettavo sicuramente. Alla fine -sono onesto come è normale che sia- ci sono rimasto male sicuramente perché per un giocatore la nazionale è sempre stato qualcosa che mi ha sempre lasciato il segno dentro insegnandomi tanto. Dal mio primo Under 20 è stata una crescita ad arrivare alla nazionale sperimentale per finire con coach Messina al Preolimpico. In sostanza ho sempre ritenuto la nazionale una priorità”.
Per quanto riguarda l’Italbasket di adesso il fatto di avere un gruppo di giovani e avere un po’ ribaltato per scelte o esclusione, o ritiri di alcuni giocatori, come Luca Vitali, Daniel Hackett e lo stesso Pietro Aradori, secondo me ripartire da un gruppo così giovane è fondamentale ed è giusto che ci sia un ricambio generazionale. La cosa bella che ci siano anche delle partite per provare, come in questi giorni, sicuramente l’appuntamento del Preolimpico di Belgrado di questa estate è la cosa più importante che una Nazionale può avere ed è l’obiettivo di tutti”.

Le nuove ambizioni dell’Umama Reyer sono quello di fare una EuroCup da protagonista e di difendere il tricolore della passata stagione ed eventualmente di giocare in EuroLeague:

“L’obiettivo di qualsiasi giocatore è di provare a giocare l’EuroLeague. Devo dire che quest’anno il salto in EuroCup è stato importante perché trovi squadre e giocatori di alto livello con roster profondi, più fisiche, magari con giocatori che hanno fatto parte proprio di compagini di EuroLeague. Per noi fare l’EuroCup è stato una cosa molto positiva e stiamo dimostrando di poter competere ad alti livelli anche in questa manifestazione.
Sicuramente l’obiettivo è di andare fino in fondo per poter sognare di fare l’EuroLeague, come Club, come squadra e anche come giocatori perché poi la voglia di qualsiasi giocatore nostro è quella di giocare più in alto possibile. L’obiettivo anche personale è quello di competere al meglio senza però avere ossessioni di arrivare a certi traguardi”.