Piero Bucchi: Messina fondamentale per la mia crescita. Gli sarò sempre riconoscente

Piero Bucchi: Messina fondamentale per la mia crescita. Gli sarò sempre riconoscente

Passione inculcata dal padre, a 18 anni ha capito che la strada da giocatore era la meno percorribile e ha iniziato ad allenare i ragazzini in parrocchia

“L’uomo ragionevole e intelligente si adatta alle situazioni, l’uomo irragionevole insiste nel volere adattare le situazioni a sé”

Non c’è frase più azzeccata per sintetizzare in una frase la storia da allenatore di Piero Bucchi, bolognese doc, oltre 25 anni di carriera, che nella vittoria con Brindisi ha toccato le 700 presenze in panchina (quasi 850 considerando anche la A2), salendo al 7° posto assoluto dei coach per presenze in serie A e all’8° per vittorie (377 successi, solo Messina in attività ha vinto più di lui con 402)

Passione inculcata dal padre, a 18 anni ha capito che la strada da giocatore era la meno percorribile e ha iniziato ad allenare i ragazzini in parrocchia. Istinto nell’insegnare, rapporto con i giocatori, un amore sempre più forte per la pallacanestro. Gli inizi nelle giovanili della Virtus Bologna, Bucci, Hill, Cosic, Gamba e ovviamente Ettore Messina

“Ettore Messina è stato fondamentale per la mia crescita, per la mentalità e per l’organizzazione del lavoro, gli sarò sempre riconoscente”

Dopo otto anni decide che è arrivato il momento di provare a camminare con le proprie gambe, accetta la corte di Rimini, debutta come head coach nel marzo del 1996 a Venezia, allora allenata da Vitucci e riesce a conquistare con i romagnoli la promozione in serie A, un’incredibile cavalcata trionfale, 9-0 nei playoff, un basket spettacolare, divertente fatto con i giovani e due super americani.

“Tutti ci davano per candidati alla retrocessione, fu una cavalcata bellissima fino alla serie A, Scarone, Righetti, Romboli, una bellissima emozione per una città che vive di basket e che spero torni in serie A”

Il primo grande step della carriera di Bucchi arriva a Treviso, dove prende il posto di un certo Zelimir Obradovic: 45 vittorie in 64 partite, una Coppa Italia, una Supercoppa, allenatore dell’anno nel 2000, allena giocatori di altissimo livello, spicca il volo verso una carriera che non si fermerà più

“All’inizio allenavo e continuavo ad insegnare a scuola, a Treviso ho capito che poteva diventare la mia unica professione”

“Devi andare in un posto e portare quello che sei, trasmettere quotidianamente la passione, ognuno deve essere sempre sé stesso”

Bucchi e il Sud costruiscono un legame che entra nel destino della carriera del coach. Gli anni di Napoli, il ritorno con la vittoria della Coppa Italia nel 2006, il rapporto con la città e i tifosi, la qualificazione in Eurolega, i problemi economici successivi. C’è tutta la sintesi di quello che l’allenatore e la persona Bucchi hanno sempre affrontato.

“Abito a Napoli, mia moglie è napoletana, con loro ho un rapporto viscerale che sarà sempre con me”

Armani lo sceglie come primo coach quando diventa proprietario dell’Olimpia, anche se eredita una difficile situazione economica, che si riflette almeno inizialmente sul budget della squadra. Bucchi arriva due volte in finale Scudetto contro quella Siena che aveva creato un sistema difficilmente battibile.

“Armani è una persona eccellente, di grandissimo spessore, amabile che ti mette sempre a tuo agio”

Bucchi però incrocia ancora il suo destino con la Stella del Sud, 5 anni a Brindisi, la prima presidenza di Marino, la promozione in serie A, la salvezza, un periodo incredibile, bellissimo, dove il coach riesce a lasciare un’impronta incredibile e a vivere un periodo eccezionale con emozioni uniche.

“Non mi interessa la categoria se il progetto è interessante, mi piace la sfida, ho preso anche situazioni complicate ma sono sempre stato pronto ad ogni situazione”

Un’altra promozione in serie A con Roma, un’altra metropoli, poi le difficoltà prima del fallimento, il Covid che gli gioca un brutto scherzo mentre sta salvando Cantù, Bucchi passa attraverso ogni tipo di esperienza, non ha mai paura di “sporcarsi” sportivamente le mani, lotta e combatte ogni tipo di sfida, ci mette sempre la faccia, non si tira mai indietro

“A Cantù avevamo girato la stagione, soffrivo più davanti alla televisione che per il Covid, a volte ci sono cose che non possiamo controllare”

Il basket cambia ogni anno, dopo oltre 25 anni di carriera e 700 partite in serie A, se alleni Sassari e rimani ad alto livello significa che hai dentro qualcosa di speciale, che hai qualità umane e capacità di capire dove vai, con chi sei e cosa devi fare, che non sono comuni a tutti.

“La persona non cambia, ma cambia l’esperienza, la capacità di adattarsi, l’intelligenza nel saper riconoscere le situazioni e sapersi adeguare. Lo stimolo nell’aggiornarsi, che è vitale per continuare ad allenare, senza quello non puoi starci”

La gestione del gruppo, la motivazione, il non prevaricare l’ambiente, la capacità di scegliere le persone e metterle insieme, vengono prima di qualsiasi discorso tecnico-tattico.

“E’ molto importante lavorare sul singolo, è fondamentale che tutti sposino il progetto della società e il credo dell’allenatore, creare questa sinergia, altrimenti puoi fare pugno alto, basso o lato che non vai da nessuna parte”

Questo è il riassunto del motivo per cui crediamo che oggi Piero Bucchi possa fare anche le fortune della Dinamo, per il suo modo di essere, per la sua esperienza e cultura del lavoro, per la sua capacità di adattarsi e di aggiornarsi continuamente in un mondo che cambia e che ti dimentica immediatamente se non ottieni risultati. Ecco perché Bucchi oggi nel 2022 è ancora qui, il “Normal One” per eccellenza è pronto ad una nuova sfida, quella di girare la stagione del Banco e di costruire un progetto duraturo.

 

Fonte: Ufficio Stampa Dinamo Sassari.