“Pensavo di tornare subito indietro, invece sono ancora qua”: Ousmane Diop

“Pensavo di tornare subito indietro, invece sono ancora qua”: Ousmane Diop

Ousmane Diop si racconta sul sito ufficiale di Olimpia Milano: dal suo addio al Senegal all’arrivo in biancorosso dopo Sassari

Il Senegal è noto in Africa per la sua storica stabilità politica e sociale. E’ un Paese in cui la democrazia è sempre stata rispettata, le leggi osservate e i governi all’altezza delle aspettative della popolazione. Forse anche per questo, il Senegal è stato il più veloci dei paesi africani a raggiungere un certo grado di rispettabilità internazionale nel basket. La Nazionale ha cinque titoli continentali e sei medaglie d’argento. Tuttavia, l’ultimo oro risale al 1997 e l’ultima medaglia – di bronzo – è stata conquistata nel 2021, proprio quando la stabilità del paese ha cominciato a tremare. Gli ultimi tre anni sono stati dal punto di vista civile complicati, con proteste, malcontento, inflazione e difficoltà a mantenere salari al passo con i costi crescenti dei prodotti essenziali. Sono in programma elezioni politiche che avrebbero già dovuto svolgersi, un rinvio che ha determinato ulteriori proteste.

In questo contesto – essendo lo sport spesso un’immagine riflessa della situazione di un paese – non è strano che il coach della nazionale senegalese – attualmente al numero 47 del ranking mondiale, ma al 21 considerando solo l’attività giovanile – da Dakar abbia tuonato contro la propria Federazione. “Non siamo una squadretta di periferia”, ha detto DeSagana Diop che ha giocato nella NBA a lungo, è stato una prima scelta e da qualche anno ha ereditato la panchina della Nazionale da Boniface N’Dong, un altro centro che ha giocato tanti in Europa, anche al Barcellona. Coach Diop si riferiva a disorganizzazione, malcontento tra i giocatori, una struttura che fatica a convincere i migliori giocatori a rispondere alle convocazioni. Tra i giocatori senegalesi che osservano da lontano c’è anche Ousmane Diop, da quest’anno all’Olimpia Milano. “L’allenatore si è lamentato, ma la disorganizzazione resta. Dovremmo prendere esempio dal Sud Sudan. Se migliorassimo da questo punto di vista potremmo competere con le migliori squadre africane, forse batterle, perché noi giocatori ci siamo. Tanti ragazzi senegalesi giocano in Europa e il potenziale c’è tutto”, dice Diop. In Italia gioca a Brescia, Maurice Ndour, a Vitoria in EuroLeague giocano Khalifa Diop e Ousmane Ndiaye. Ci sono altri elementi nella NBA come il centro Mouhamed Gueye ad Atlanta o il 2.16 Ibou Badji, lo scorso anno a Portland.

Nonostante le defezioni, la disorganizzazione, i colpi di maglio mediatici partiti dal coach verso la Federazione, il Senegal ha vinto tre gare su tre nella finestra di novembre conquistando il primo posto nel proprio girone di qualificazione ad Afrobasket 2025. Diop, da Milano, osserva.

Ousmane Diop viene da Rufisque, 25 chilometri a est della capitale Dakar, un posto che in origine era un villaggio di pescatori. Con il tempo, la vicinanza di Dakar ha danneggiato l’economia locale povera: tutto il turismo e il mercato del pesce gravitano attorno a Dakar. Qui è cominciata la storia, ben riportata, di Ousmane, dal giorno in cui lasciò casa a quello in cui promise che sarebbe tornato con un’abitazione per tutta la famiglia. Promessa mantenuta dopo tanti anni trascorsi senza vedere i genitori o la zia che è la ragione per cui ha cominciato a giocare a basket. “Io facevo il portiere – racconta – di basket non sapevo nulla. Mia zia, che qualche mese fa purtroppo ci ha lasciati, mi ha convinto a provare perché ero molto alto. Sono andato al campetto e mi è piaciuto. Tutto è cominciato così”.

Con Coach Ettore Messina in palestra

Oggi le cose sono cambiate, il Senegal ha tratto beneficio cestistico dagli investimenti sul territorio della NBA, come le NBA Academy, adesso smantellate, o la nascita della BAL, Basketball African League, una sorta di EuroLeague locale finanziata dalla NBA di cui fa parte la squadra del Douanes che ha sede a Dakar. Ma quando Diop ha cominciato a giocare non c’era nulla di tutto questo. Non a Rufisque. “C’era solo un allenatore. Andavamo là alle 14 e ci allenavamo. Poi lui se ne andava verso le 17 e noi restavamo da soli. Non si lavorava tanto sui fondamentali. Eravamo un po’ abbandonati a noi stessi ma ci divertivamo”, racconta. Il grande beneficio era non pagare.

Il giorno in cui tutto cambiò fu quando menzionarono a Ousmane che ci sarebbe stata questa possibilità di fare un provino per andare a giocare in una squadra italiana. “Fui uno dei ragazzi che vennero scelti. Parlarono con i miei genitori per avere l’autorizzazione a portarmi via. Non avevo dubbi né paure. Avevo dei cugini che erano già venuti in Italia. Io non sapevo nulla dell’Italia, ma sapevo qualcosa di cosa significhi lasciare casa. Poi pensavo di tornare in breve tempo quindi non ero preoccupato. Pensavo di ritornare in Senegal velocemente”. Sarebbero passati anni prima che lo rivedessero. “Nostalgia? All’inizio era tutto nuovo, non sapevo come comportarmi, il cibo era completamente diverso dal nostro, a Udine, la mia prima tappa, faceva freddo e io non ero abituato a quelle temperature. Ma ho avuto una famiglia italiana, la famiglia Caruso. Loro mi hanno accolto bene, mi hanno aiutato, educato. Il resto è stato facile”.

Ousmane Diop quando giocava a Torino

Anche in campo: “Ho capito subito nel mio primo anno a Udine che potevo fare il professionista. Anche perché attorno a me c’erano giocatori forti e io riuscivo a stare in campo anche tanti minuti. Certo, se parlassero i miei compagni di allora non direbbero mai che era chiaro dove sarei arrivato”, dice Diop. A quei tempi il suo idolo era Kevin Durant, “ma cercavo di guardare tante cose e il primo giocatore a colpirmi in Italia fu Valerio Amoroso che in quel momento era alla Fortitudo. Aveva dei movimenti in post basso incredibili. Mi ha ispirato. Quando l’ho conosciuto gliel’ho anche detto”.

Nel 2018 venne firmato da Sassari. “Volevo giocare ad un livello più alto, volevo la Serie A perché mi sentivo in grado di provarci anche se ero consapevole che all’inizio non avrei giocato. Pensavo però che migliorando avrei avuto il mio spazio. Invece no. Sono andato a Cagliari e ho aiutato la squadra a salvarsi, ma ero sulla strada giusta”. La tappa successiva fu il prestito a Torino. “Se parlo di basket sono stati i due anni più belli della mia vita. Ero abituato diversamente, ma lì facevamo tutto insieme, dentro e fuori del campo, era un gruppo incredibile, così sono migliorato anche umanamente. Ho solo il rimpianto di quella finale di A2 persa. Peccato”. A quel punto, a Sassari avrebbero visto un giocatore diverso, il Diop protagonista sia in campionato che a livello internazionale.

Diop con la maglia di Sassari contro Kyle Hines

“Sassari è casa mia, perché sono stato lì anni, ho conosciuto la mia ragazza, sviluppato tante amicizie. Ma è casa mia anche Udine, anche lì ho tanti amici e la mia famiglia italiana – spiega Ousmane – E poi ho la mia famiglia in Senegal: qualche amico gioca a basket e capisce cosa sta succedendo. I miei genitori non tanto: conoscono Milano ovviamente ma non conoscono il basket. Ho spiegato che gioco nella squadra più importante d’Italia e allora rispondono che sono felici per me. Non hanno la percezione totale di quello che sto facendo”. Come ad esempio giocare in EuroLeague. “C’è differenza, fisicamente, la velocità, tutto cambia a devi adattarti, ma ho la fortuna di giocare ogni giorno in allenamento con gente che l’EuroLeague la disputa da anni. Quello che loro fanno in allenamento è ciò che poi trovi anche in partita, come intensità. Poi qui c’è Josh Nebo: se parliamo di fisicità nessuno lo batte. Per me la chiave è migliorare mentalmente, restare pronto di testa prima, durante e dopo la partita, perché oggi puoi giocare venti minuti, domani cinque e un’altra volta zero. Ma devi essere sempre concentrato e pronto, non devi scivolare su banalità perché stai andando male o stai andando bene o non del tutto bene. Non devi farti condizionare da queste cose, ma rimanere pronto perché possono chiamarti in qualsiasi momento. Sto lavorando su questo”.

Milano ha rappresentato un ulteriore passo avanti nella propria carriera. “Di dubbi non ne ho avuti. Ho provato, anzi, orgoglio. Ho pensato che, se Milano chiama, allora qualcosa di buono l’ho fatta. Poi mi chiamato Ettore Messina. Lì ho detto: ok, vado. E qui ho trovato un club organizzatissimo, dove tutto è programmato in modo da permetterti di pensare solo a rendere al meglio in campo. Ed è bellissimo”.