Jordan Bayehe, ventenne ala/centro camerunense fresco di ingaggio con Pallacanestro Cantù, è già uno dei giocatori più interessanti della stagione sportiva 2020-’21, quella in cui il nativo di Yaoundé farà il suo esordio assoluto nel massimo campionato italiano, la Serie A.
Bayehe, classe ’99 di 204 centimetri, è un giocatore emergente che si è messo in mostra in A2 con i colori di Roseto, attirando su di sé l’interesse e la curiosità del general manager biancoblù, Daniele Della Fiori, che ha puntato forte sul ragazzo a tal punto da proporgli un contratto biennale.
Il viaggio di Bayehe, però, 21 anni il prossimo 16 ottobre, inizia da molto lontano, ovviamente da Yaoundé, casa sua. Capitale del Camerun con quasi 2 milioni di abitanti, la città natale di Jordan è nota principalmente per il caffè e per il cacao, ma anche per la canna da zucchero e la gomma. Non certo per la pallacanestro: «Quando ero piccolo – racconta Bayehe – nessuno in Camerun conosceva o praticava il gioco del basket, sport che invece negli ultimi anni è andato in crescendo, grazie ad alcune stelle NBA». In questo senso l’ascesa di Joel Embiid ha aiutato moltissimo: il percorso della star dei Philadelphia 76ers – anche lui di Yaoundé come Bayehe – ha fatto da apripista ad altre carriere brillanti di altri campioni camerunensi, come quella dell’ala Pascal Siakam, che ha avuto una clamorosa svolta con tanto di titolo NBA, vinto, con un ruolo da protagonista nei Toronto Raptors, nel giugno del 2019.
«Questi campioni – spiega il neo giocatore biancoblù – hanno aiutato la pallacanestro a conquistare maggiore credibilità nel mio Paese. Il calcio, però, resta lo sport nazionale ed è per questo che da piccolo lo amavo così tanto. Come tanti altri miei coetanei camerunensi, il mio idolo indiscusso era Samuel Eto’o, attaccante straordinario simbolo di una Nazione intera».
Poi, però, la svolta, il tutto nato quasi per caso: «Stavo tornando da un concerto in compagnia di alcuni miei amici, avevo 13 anni, e un allenatore di basket si avvicinò a me, colpito dalla mia altezza sopra la media. A quell’età ero già alto quasi due metri, 198 centimetri per l’esattezza». Quindi, iniziò il corteggiamento. «Quell’allenatore mi voleva a tutti i costi ma, di lui, apprezzai il fatto che rispettò il mio percorso di studi. Come promesso, mi fece finire l’anno a scuola, poi da giugno attaccò con le telefonate. Vista l’età non possedevo ancora un telefono e fui costretto a dargli quello di mia sorella che, poverina, si ritrovò da lì a poco una marea di sue chiamate e messaggi».
La prima volta non si scorda mai: «Non potrò mai e poi mai dimenticare il mio primo allenamento – racconta sorridendo Bayehe -, mi sembrava un incubo. Il coach mi diede appuntamento alle due del pomeriggio, sotto il sole cocente e credetemi che, a quell’ora, in Camerun fa davvero molto caldo. Credevo di andare lì e di divertirmi. Invece, non feci altro che piegamenti e affondi. Ero sfinito. Andai a casa pensando che quello sarebbe stato il mio primo e ultimo allenamento».
L’aneddoto simpatico, però, sta in questo racconto di Jordan: «La cosa divertente è che prima di andare al campo per il mio primo allenamento, passai l’intera mattinata a vedere alcuni video su YouTube con uno dei miei fratelli. Non conoscevo nulla del basket ma quei palleggi tra le gambe e quelle schiacciate mi entusiasmarono. Quindi, mi aspettavo tutto, tranne che di non toccare il pallone per i miei primi allenamenti».
«Il giorno dopo, di andare al campo non se ne parlava proprio. Avevo chiuso!» racconta un Bayehe sempre più divertito da questo aneddoto. «L’insistenza del mio allenatore, però, ebbe la meglio e tornai ad allenarmi».
Tuttavia, nel passato di Bayehe ci sono anche tanti sacrifici, che lui ricorda così: «Il campo da basket distava 50 minuti a piedi da casa mia, quindi andata e ritorno erano quasi due ore. Incominciando poi ad allenarmi sia la mattina che il pomeriggio, il tempo non mi bastava mai e non riuscivo a riposare a dovere. Per questo, però, devo ringraziare un mio amico e, in seguito, anche il mio allenatore che, apprese le mie difficoltà nel tenere quel ritmo, mi invitarono spesso a fermarmi nelle loro abitazioni per riposare un po’, oltre che a offrirmi sempre un posto a tavola. Ma io ci tenevo a non dare disturbo a chi mi ospitava, così ero solito a portarmi con me cibo e acqua. Altre volte, invece, erano i miei fratelli ad aiutarmi. Io sono il sesto di otto fratelli e la differenza di età con quelli più grandi di me è notevole. Loro mi hanno sempre sostenuto economicamente, pagandomi spesso un taxi per rientrare a casa la sera. Lo stesso facevano anche i miei genitori, i quali, nonostante avessero anche altri figli da mantenere e da seguire con altri sport, non hanno mai smesso di supportarmi. Tornavo a casa alle otto tutte le sere, per poi alzarmi presto il giorno seguente per gli allenamenti della mattina e via dicendo. Non è stato facile – confessa Jordan – ma la mia famiglia, in questo, mi ha aiutato moltissimo».
Nell’aprile del 2015 il trasferimento in Italia, con Bayehe protagonista in maglia Stella Azzurra Roma, uno dei migliori settori giovanili d’Europa. Jordan, che parla inglese e francese, non ha faticato molto a imparare anche l’italiano, legando sin da subito con i ragazzi della foresteria romana. «In stanza si ascoltava sempre rap italiano. Io, ovviamente, non capivo nulla ma le canzoni mi piacevano un sacco. Da lì in avanti diventai addirittura un fan della trap, il genere di canzoni che va per la maggiore tra i giovani di oggi. E io le conosco tutte».
Bayehe, che in campo è schierabile come italiano a tutti gli effetti grazie alla formazione acquisita, ama l’Italia e gli italiani: «Qui sto davvero bene e il cibo è buonissimo, riesce a non farmi sentire la mancanza di casa. Per non parlare del fascino di tante città culturali. La differenza più sostanziale tra Camerun e Italia? Al mio Paese tutti conoscono tutti. Ma nel vero senso del termine. Anche a venti minuti di distanza da un posto all’altro, tutti sanno chi sei, dove abiti e di chi sei figlio. È incredibile. Sembra di vivere in un unico grande quartiere».
E per finire, inevitabile la curiosità legata agli idoli, oltre al già citato amore per Eto’o: «LeBron James è sempre stato il mio giocatore preferito. Insieme a lui, però, ci metto anche Draymond Green. È lui la vera stella di Golden State e questo è un aspetto che viene molto trascurato. È l’ago della bilancia del team e io vado matto per il suo stile di gioco. Ha un’energia contagiosa».
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