Il Commissioner NBA guarda alle accademie europee come chiave per il futuro della lega. Dalla Germania alla Serbia, passando per la Francia e la Spagna, il modello formativo del Vecchio Continente è diventato un punto di riferimento globale.
L’espansione della NBA in Europa non è solo una questione di marketing o di business. Adam Silver lo ripete spesso: “Vogliamo sostenere l’ecosistema del basket europeo”. Ma dietro le parole del Commissioner si nasconde un obiettivo più profondo e strategico — avere accesso diretto al sistema di accademie che forma, da adolescenti, i migliori talenti del basket mondiale.
Oggi, un quarto dei giocatori NBA è nato fuori dagli Stati Uniti, e circa il 58% di questi proviene dall’Europa. Gli ultimi sei MVP (molto probabilmente anche sette) sono internazionali. Dal 2013, ben sette prime scelte al Draft erano nate fuori dagli USA. “È naturale voler entrare in contatto diretto con una pipeline che funziona”, spiega Marco Baldi, CEO dell’Alba Berlino, club che gestisce una delle accademie più avanzate del continente.
Il modello europeo si basa su concetti molto diversi da quelli americani. Nessun sistema scolastico, niente AAU. I giovani talenti si allenano quattro o cinque volte alla settimana per tre ore al giorno. Tecnica individuale nella prima parte, poi allenamento di squadra. Le partite? Una o due a settimana. E i giocatori crescono insieme, imparando prima a passare e difendere, piuttosto che a dominare uno contro uno.
“Lo sviluppo dei fondamentali, soprattutto nell’area ex jugoslava, è dieci volte superiore a quello americano,” afferma Miško Ražnatović, storico agente serbo di Nikola Jokić. “Se non insegni a Jokić, Dončić o Wembanyama a giocare, restano giocatori anonimi: non hanno l’atletismo per emergere da soli.”
A Berlino, l’Alba gestisce programmi in oltre 100 scuole elementari, monitorando ogni bambino con un pallone in mano. A Madrid, il Real forma i giovani insieme al settore giovanile del club di calcio. In Francia, Chalon e Cholet formano talenti con finanziamenti pubblici e bilanci da 500mila euro. A Belgrado, Mega Basket segue 30 giovani ogni anno, offrendo alloggio e formazione a costo zero per le famiglie.
Chris Paul, che ha vissuto il sistema AAU e oggi è compagno di squadra di Wemby, osserva: “Victor viveva da solo a 14 anni e giocava da professionista. Mio figlio ha 15 anni, non riesco nemmeno a immaginarlo”.
Silver non potrà copiare il modello europeo negli Stati Uniti, ma vuole allearsi con esso. E il primo passo, con una nuova lega europea a 16 squadre, potrebbe essere solo l’inizio. “Collaborare è l’unica strada possibile per portare più talento in NBA,” ribadisce Baldi.
La prossima generazione di stelle NBA potrebbe non arrivare più dal liceo americano, ma da una palestra di periferia a Belgrado, Madrid o Berlino. Silver l’ha capito bene.
Commenta
Visualizza commenti