La prima settimana (abbondante) di lavoro dell’Olimpia è trascorsa tra la palestra del Mediolanum Forum e il Teatro/Armani di Via Bergognone a Milano, che normalmente ospita sfilate ed eventi di moda, mentre questa volta è stato riservato al basket e ai nuovi giocatori dell’Olimpia, come il murales collocato in fondo alla via per dare il benvenuto ai sette nuovi acquisti del club. “Voglio ringraziare la proprietà per averci permesso di organizzare queste presentazioni in una location così prestigiosa e famosa in tutto il mondo”, ha puntualizzato il general manager Christos Stavropoulos.
Esordio bagnato… Gigi Datome si è presentato per primo al rito delle dichiarazioni di intenti prestagionali, ma l’ha fatto sotto un autentico diluvio. “Milano è un club in crescita come società, come ambizioni e come struttura. Ho sempre avuto il desiderio di vincere in Italia. Ho fatto un bel percorso personale, all’estero, ma ora vorrei vincere qualcosa in Italia, giocando in una squadra italiana. Poi, Armani, Milano, l’Olimpia, rischio di essere retorico, c’è un coach come Ettore Messina, compagni con cui non vedo l’ora di giocare, è tutto molto motivante, sono tutti valori aggiunti, ma la scelta è stata tecnica, quella che ho ritenuto la migliore possibile”.
Kyle Hines ha vinto l’EuroLeague quattro volte, ma ha cercato una nuova sfida a Milano, con l’obiettivo di “aggiungere nuovi trofei, nuove vittorie alla storia di questo club, riportare la gloria di EuroLeague all’Olimpia”, ha detto. Hines ha ritrovato a Milano oltre che Sergio Rodriguez con il quale ha vinto il titolo europeo del 2018 con il CSKA Mosca anche Christos Stavropoulos, il general manager dell’Olympiacos quando a inizio carriera vinse due volte di fila l’EuroLeague.
Se Hines è il grande veterano, il suo compagno di viaggio nel primo giorno a Milano è stato il pulcino della compagnia, Davide Moretti, 22 anni, un rookie appena uscito – con una stagione di anticipo – da Texas Tech. Lui ha già avuto al Torneo NCAA platee immense cui rivolgersi. “Porterò la mia voglia di vincere e farò quello che mi verrà chiesto, posso far girare la squadra o anche il tiratore. Finora ho sempre avuto bisogno di un po’ di tempo per adattarmi ad un nuovo basket, soprattutto a livello fisico, per poi – capite le cose – dare il meglio utilizzando la forza mentale che è quello su cui ho sempre contato. Il mio obiettivo è accorciare i tempi questa volta. Ho scelto Milano perché era un’occasione che non potevo perdere, anche se lasciare un posto in cui sono stato benissimo non è stato facile. Ho avvertito il carisma di Coach Messina e sono ansioso di imparare da compagni di altissimo livello come Rodriguez, Delaney e Cinciarini”.
Shavon Shields ha giocato a Milano da avversario fin dai tempi di Trento. Tutti ricordano ancora i 31 punti di gara 5 della finale del 2018, i 16 dell’ultimo quarto in cui sembrava Michael Jordan travestito da Shavon Shields. “Ma qui non credo ci sia bisogno di quel tipo di prestazioni, non sempre, un giorno sarà Punter, un altro Delaney, un altro ancora Rodriguez e alla fine puoi scorrere il roster e trovare tutti giocatori in grado di risolvere le partite”, spiega. Shields aveva cominciato la carriera giocando da ala forte a Francoforte, poi a Trento si era trasformato in una guardia. “Il giocatore che vedrete è maturato rispetto ai tempi di Trento grazie alla semplice esperienza sviluppata in Spagna e giocando due stagioni in EuroLeague”, racconta. Kevin Punter ha giocato solo un anno in EuroLeague con due squadre diverse, ma alla Stella Rossa ha finito in crescendo, “con più fiducia, ma dopo aver studiato il gioco, soprattutto da fuori, per capire bene quando serve tirare o non tirare, quando passare o non passare. Sono i piccoli dettagli a fare la differenza”, spiega. Ambedue non sono stati scelti nei draft NBA anche dopo stagioni importanti al college, ma sia Shields che Punter si sono fatti carriere importanti in Europa. “L’Europa – dice Punter – è il posto in cui ho capito che più che altrove avrei potuto continuare a crescere e migliorare. Devi cercare di essere il miglior giocatore possibile, non importa dove”.
L’ultimo giorno delle presentazioni è stato rocambolesco, perché in attesa del via libera a Zach LeDay, appena uscito dalla quarantena obbligatoria, ha parlato solo Malcolm Delaney. Quindi in extremis è arrivato anche LeDay. “Il mio gioco si basa su energia, durezza e versatilità, non conosco un altro modo per giocare. Mi aggrappo, lotto, combatto, mi tuffo in campo e non faccio domande. Sono questo”, dice LeDay. Malcolm Delaney ha le idee chiare, soprattutto è ansioso di dividere il campo con Sergio Rodriguez, “uno dei migliori contro cui abbia giocato, un vincente, un grande passatore che segna quando serve. Io e lui possiamo divertirci, creare illimitate opportunità e rendere i nostri compagni migliori. Il bello è che io posso adattarmi a chiunque, posso essere solo un regista, solo un realizzatore o fare un po’ di tutte le cose. Alla fine, i compagni sono contenti di giocare con me e io sono qui solo per vincere. Dopo l’esperienza di Atlanta volevo rimanere nella NBA, pensavo di valerla, dopo la Cina volevo riprovarci perché avevo ritrovato la fiducia che mi serviva. Per questo a Barcellona sono arrivato tardi, stavo discutendo con New York e Golden State. Ma la NBA ha i suoi tempi e a Barcellona potevamo vincere l’EuroLeague, che è l’obiettivo della mia carriera. Ora alla NBA non penso più, Milano è la mia casa, parlando con Coach Messina ho capito che questo è il posto in cui volevo essere”.
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