da Manila, Filippine – “La storia si inizia a scrivere adesso, quanto accaduto fino a ieri è un antipasto”. Sergio Hernández ha scritto, con la sua Argentina, la storia della FIBA World Cup quattro anni fa portando l’albiceleste alla Finale di Pechino. Nelle Filippine per seguire le gare, l’ex allenatore della grande esclusa dall’edizione 2023 ha parlato di diversi temi in un’intervista esclusiva con Sportando e Eurohoops.
Sul Mondiale 2023: “Credo che i Mondiali inizino a mostrare il loro livello in queste fasi, quando non c’è un domani. È quando si inizia a vedere la vera faccia delle squadre: il carattere, il margine d’errore, le rotazioni più corte. Si mettono in mostra i leader, i punti di riferimento, si vedono le differenze tra le squadre europee e il resto della competizione. Ai Mondiali e alle Olimpiadi si giocano con le tendenze e il ritmo dell’Eurolega. Chi vince è chi ha giocatori di Eurolega, o che hanno esperienza in Eurolega, o che sanno adattarsi in fretta. È puro basket FIBA. Di questo Mondiale mi ha infastidito vedere le tante assenze, perché qui non si gioca solo per le medaglie ma anche per la qualificazione olimpica. Mi è dispiaciuta l’eliminazione di Francia e Australia, perché sono composte di giocatori che ci mettono sempre la faccia e partecipano a questi eventi. Uno come Gobert nel basket FIBA non è efficace come in NBA, eppure viene sempre e gioca. In un Mondiale con tante assenze ci sono state squadre che ci hanno messo la faccia, venendo con tutti gli effettivi, e mi è dispiaciuto vederli eliminati”.
Sul rapporto tra i campionati nazionali e l’attività internazionale: “Ci sono momenti in cui sembra che non ci sia un futuro, ma in realtà c’è sempre. Francia e Australia sono esempi come metodo nel mondo, e hanno dei campionati interni sempre migliori anche se l’Australia non partecipa alle coppe europee. Sempre emergono nuovi talenti, se hai un processo fatto di metodo e lavoro i giocatori di livello riesci a svilupparli. Anche mentre hai i veterani di livello, i giovani riescono ad emergere anche se ci mettono tempo. La cosa da capire davvero è che il livello del campionato di un paese incide direttamente su quello della nazionale. Ad esempio l’Italia: quando era un campionato di vertice anche la nazionale andava bene, calato il primo la seconda ha avuto difficoltà. Adesso il campionato è tornato a crescere e la nazionale sta facendo bene. Ci sono esempi ovunque, perché se hai un buon basket nazionale hai un’identità. Se ce l’hai – ed è la cosa più difficile da avere, sei già a ottimo punto e puoi competere con chi ha più talento di te”.
Su un parallelo tra Argentina 2019 e Italia 2023: “Argentini e italiani si assomigliano in molte cose. Al di là della lingua, quando veniamo nel vostro paese ci sentiamo quasi a casa e per voi è lo stesso. In comune c’è sicuramente il temperamento, il desiderio di competere. Sappiamo che altri sono meglio di noi, ma devono dimostrarcelo in campo. Rispetto alla mia Argentina l’Italia gioca con un pace più basso, ma il ritmo alto per noi era una necessità per alzare il nostro livello e provare a competere davvero. L’Italia è più conservatrice, gioca di set offensivi, Portorico ha fatto 57 punti non solo per l’ottima difesa ma anche perché non ha visto il pallone. Gli azzurri non dipendono da un solo giocatore, ogni partita può avere un protagonista diverso perché sono tutti connessi. Tutti si passano il pallone e si vede la chimica che Pozzecco ha con la squadra”.
Sul Mondiale cinese, Tokyo 2020 e Luis Scola: “Il Mondiale 2019 è tutto un bel ricordo. Non ha macchie, fu tutto perfetto. È qualcosa che rimarrà per sempre: non eravamo neanche lontanamente accreditati per vincere una medaglia, il massimo possibile ci sembravano i quarti di finale. L’unico che ci credeva, all’inizio, era Luis Scola. Durante le finestre avevamo giocato contro Portorico, che schierava il roster migliore. Dopo averli battuti mi venne a dire che i nostri giovani erano forti per davvero, e che dovevamo iniziare a puntare la possibilità di entrare tra le prime quattro. Luis aveva capito che quei giocatori avevano bisogno di non sentire parlare di Generacion Dorada, ma del presente e di quello che valevano. Siamo arrivati in Finale da imbattuti, giocando un basket migliore della Spagna poi campione. Tokyo fu un discorso diverso, un cammino molto più complesso anche per la pandemia, ma porterò sempre con me il ricordo di aver partecipato all’ultima partita di Luis Scola. Mi fa venire la pelle d’oca ancora oggi a ripensarci, a ricordare gli australiani con le lacrime agli occhi all’uscita dal campo. Non avete idea della fortuna che avete ad avere Luis Scola in Italia. Ha un carattere tutto suo, ma è unico. È un faro, diverso da tutti. Il leader più grande che ho visto nella mia vita. L’Argentina non avrebbe potuto raggiungere i risultati che ha ottenuto dal 2007 in poi senza di lui. È in grado di portarti a livelli che non immagini siano possibili”.
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