Sulle colonne della Nuova Venezia una lunga intervista a Mauro Sartori responsabile scouting degli orogranata protagonista, affiancando il presidente Federico Casarin, di un mercato intrigante della nuova Reyer Venezia di coach Neven Spahija e Lele Molin. Un lavoro dietro le quinte molto importante che negli anni si rivelato utilissimo.
Una strada diversa intrapresa dal club che ha firmato giocatori giovani, con determinate caratteristiche, certificate da coach Spahija. Che mercato è stato?
“Sicuramente è stato un mercato diverso dai precedenti, con una visione a 360° e giocatori che non hanno mai giocato in Italia e in alcuni casi anche in Europa. La maggior parte sono atleti che hanno avuto esperienze diverse rispetto a quelli già visti, conosciuti e magari anche incrociati da avversari. Comunque al giorno d’oggi gli atleti sanno di avere la necessità di doversi adeguare ad ogni nuova esperienza impattando con una pallacanestro diversa. Il basket è sempre stato considerato uno sport per giocatori intelligenti, poi in generale per essere vincenti si deve avere una certa predisposizione ad ambientarsi poi può anche capitare che non ci si riesca, però seguendo quelle che sono le direttive tecniche più o meno si arriva ad entrare nel modo di giocare che vuole l’allenatore”.
Che squadra si aspetta e che stagione potrebbe essere per la Reyer quella 23/24?
“La speranza è che si possa ottenere un gioco brillante come vuole coach Spahija e quindi alti ritmi, molto atletismo e con ruoli dinamici. Una squadra che corre il campo, composta da giocatori giovani e atletici e con la possibilità di avere un certo valore difensivo per poi poter sprigionare tutto quello che è il talento fisico e tecnico in contropiede. Ci auguriamo dunque che sia una pallacanestro divertente per tutti quanti, dentro e fuori dal campo”.
Come si fa scouting?
“Al giorno d’oggi buona parte dello scouting viene fatto con la lettura dei numeri dell’atleta. Personalmente guardo tanti fattori, ma come prima cosa mi concentro sull’aspetto umano. Cerco di guardare quello che un giocatore fa in campo: i comportamenti, come reagisce a un fallo chiamato, se si confronta con i propri compagni, con l’allenatore, con l’arbitro. Tutto questo è un contorno all’aspetto tecnico, talvolta ci si innamora di giocatori che però per caratteristiche tecniche non possono essere incastrati nel nostro contesto. L’analisi comincia all’inizio della stagione quando partano tutti i campionati. Ci si fa un’idea di quelli che sono i roster e dopo un paio di mesi si inizia a notare chi sta facendo bene. É importante seguire i giocatori da quando sono rookie per valutarne non solo il percorso tecnico, ma anche di ambientamento e di adattamento alle diverse realtà. Ci sono inoltre giocatori che si mettono in evidenza dopo qualche stagione di pallacanestro ‘normale’ e per questo non bisogna mai dimenticarsi di nessuno perché le dinamiche e le richieste delle diverse squadre cambiano influenzando il percorso di crescita dell’atleta. Vedere tante partite dal vivo, guardare tanti video, viaggiare spesso, confrontarsi con i diversi intermediari e, quando è possibile, parlare con il giocatore: questo è il lavoro dello scout ”.
C’è un giocatore in particolare che ha “scautizzato” e portato a Venezia che l’ha resa orgoglioso più di altri per il rendimento avuto in campo.
“Premesso che è un lavoro di squadra quello che fa la Reyer, i nomi proposti in questi anni sono stati tanti, alcuni di questi sono arrivati anche in Eurolega. Se devo dire un nome che ha fatto molto bene con la Reyer faccio quello di Julyan Stone. Quando lo abbiamo preso non era conosciuto nonostante avesse già fatto parte dell’NBA con i Toronto Raptors. Quell’anno cercavano un playmaker con fisicità e centimetri per sopperire a quello che mancava a Phil Goss che era la nostra guardia. Negli Stati Uniti si monitoravano diversi profili: a partire da Lorenzo Brown che avevamo firmato e dal punto di vista offensivo era perfetto, ma che non giocò poi per noi per motivi legati all’idoneità sportiva. All’epoca avevo già visto Stone e presentato con un identikit ben preciso. Oltre l’altezza, Julyan aveva un certo atletismo legato soprattutto alla voglia di andare a rimbalzo. Un giocatore di quasi 2metri che difenda su un play di 1,85 scivolando con le mani dietro la schiena è raro, e anche solamente considerando la sua velocità di piedi rappresentava il giocatore giusto per noi, pur avendo dei limiti sui quali però ci si poteva lavorare”.
Lei è sempre stata una figura dirigenziale in affianco a Federico Casarin. Come si lavora con il presidente?
“Il Presidente ha una grande mole di lavoro considerando la squadra maschile, quella femminile, il settore giovanile e poi l’impegno con la Federazione. A livello cestistico ha una conoscenza molto alta di tutti quelli che sono gli aspetti del gioco e dei giocatori. È stato un atleta per tantissimi anni ad alti livelli e questo è un valore aggiunto. Inoltre, è una persona speciale e la fiducia che ha riposto in me è aumentata nel corso del tempo e ovviamente per me è uno stimolo ulteriore a fare bene. La stessa fiducia che ho sempre avvertito dalla proprietà e dal dott. Brugnaro che ringrazio. Sono molto legato a questo club in cui lavoro da tanti anni e in cui sono entrato come primo giocatore firmato dell’era Umana Reyer”.
In questi anni ha tessuto rapporti con tantissimi personaggi del mondo del basket che sono stati anche ospiti al Taliercio.
“Si sono molti. Una persona a cui sono legato particolarmente è coach Matteo Boniciolli con il quale ho un rapporto di lunghissima data parendo dai tempi della Stefanel Trieste, con lui sono diventato vice campione d’Italia juniores e poi l’ho ritrovato in A1 sempre con Trieste fino al 1992. Una volta rientrato dalla Germania ho riavuto lui come allenatore nel 1999 a Udine e insieme abbiamo raggiunto la promozione. Poi ancora insieme in Belgio Siemens Damme (la seconda squadra di Ostenda) dove presi il posto di Sylvere Bryan a causa del suo infortunio. Poi mi chiamò anche a Teramo. Un’altra persona che vedo sempre molto volentieri al palasport è Massimo Iacopini che è stato protagonista negli anni d’oro della Benetton Treviso. Inoltre al Taliercio mi è venuto a trovare Boša Tanjevic sotto la sua guida tecnica ho giocato a Trieste. All’epoca avevo 17 anni e venivo da Treviso, mi mandò in campo senza alcun timore. Quella era una squadra molto giovane e Boša aveva il coraggio di far giocare i giovani. Credo sia la strada giusta anche nella pallacanestro attuale: proporre i giovani dandogli spazio. Non è facile da un certo punto di vista, ma bisognerebbe farlo”
Ci racconta cosa è il Reyer Project Europe che lei ha curato in prima persona.
“Il progetto Reyer coinvolge un numero importante di società del territorio, poi ci siamo allargati nel resto d’Italia con le società che condividono i nostri ideali. Per noi non è importante solamente formare l’atleta, ma soprattutto la persona. Ad esempio siamo orgogliosi di Pietro Ballarin che ha vinto per due anni di fila il premio di miglior studente/atleta della Serie A ed è uscito col 100 dalla maturità. L’importante è cercare di riuscire di tirar fuori dai ragazzi la meglio persona possibile e offrire loro le migliori esperienze sportive e di vita perché la società è parte importante della loro vita e come detto svolge anche il ruolo di educatore. Non ci permettiamo di sostituirci ai genitori, ma pensiamo di poter dare un contributo. Con questa premessa abbiamo pensato di allargare i nostri confini e di andare a coinvolgere delle società estere che possano avere una condivisione di punti di vista a riguardo del lavoro sui giovani. Inoltre abbiamo voglia di portare il nome Reyer in giro per l’Europa e abbiamo trovato tantissimi estimatori nelle vicine Croazia e Slovenia. L’obiettivo primario è quello di trovare connessioni a livello giovanile per fare delle amichevoli, organizzare dei tornei (vedi quello di Natale e quello di marzo alla Palestra Davide Ancilotto), e conoscere i migliori giovani atleti ed il loro istruttori. Nel frattempo abbiamo firmato con una società islandese e siamo parlando con una finlandese così come altre in Ungheria e in Bulgaria. In sostanza, se riusciamo a trovare un giocatore per il futuro buono sarebbe ottimo, ma fondamentalmente cerchiamo di offrire delle esperienze nuove a questi ragazzi”.
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