Nella conferenza stampa di presentazione del neo coach pesarese Romeo “Meo” Sacchetti, a prendere la parola per primo è il presidente Ario Costa: “Ringrazio Maurizio Buscaglia che ci ha portato fin qui. Ha vinto 5 partit d ha svolto un ottimo lavoro. Purtroppo però il mondo del basket è fatto così. Ora speriamo di scrivere una nuova storia con coach Sacchtti. Grande persona e grande tutto.”
Il microfono passa poi al presidente del Consorzio Basket Pesaro Franco Arceci: “Bisogna Essere ottimisti perchè lo sport è fatto anche di momenti difficili e insieme dobbiamo superarli. Ci aspetta un girone di ritorno in cui dobbiamo fare molto meglio. Siamo ottimisti come consorzio e come società perchè è giusto essere così. Le competenze e l’esperienza di Sacchetti ci serviranno. In bocca al lupo.”
E finalmente ecco Meo Sacchetti: “Perchè ho accettato la proposta di Pesaro? Ho accettato perchè martedì mi ha chiamato il mio procuratore Virginio Bernardi, avvisandomi che mi avrebbe chiamato Costa. Quindi sono partito molto presto alle 6, che era ancora notte perchè non volevo trovar traffico nella tangenziale di Milano e così mi sono presentato qua. Non è facile la situazione qui, lo so. Buscaglia si è trovato in difficoltà con l’infortunio di Bamforth. Il destino a volte è beffardo. Ma la pallacanestro è così a volte. Ho accettato una situazione così perchè faccio l’allenatore di basket e Pesaro, che ho sempre affrontato come avversaria è una piazza molto importante. Basta vedere la conferenza stampa di oggi con tutta la gente che c’è. Io non ho mai allenato squadre veramente blasonate. La Fortitudo forse, dove non è andata bene e Cantù dove è stato un anno “così”. Voglio fare una cosa diversa qui a Pesaro. Un allenatore è bravo perchè i giocatori sono bravi e io mi devo mettere nelle condizioni di far rendere al meglio loro. Non ho mai visto una squadra con giocatori scarsi. L’allenatore deve metterli in condizione di dare il massimo e per far questo devono essere felici di giocare. La soddisfazione del giocatore è 100, del coach è 30, del dirigente è 10. Io forse sono l’unico allenatore che ha allenato tutte le serie, dalla C2 in su. Io ho nel cuore 3 squadre tra quelle dove sono stato: Asti in C2 è la prima, poi sicuramente Sassari e Cremona. Ho allenato giocatori che sono diventate persone che ho nel cuore. Posso assicurare di tirare fuori il meglio dai giocatori. Il giocatore deve capire che può migliorare sempre. L’ho provato con giocatori che ho allenato. Ad esempio Pippo Ricci, che giocava in A2 prima di me. I giocatori fanno bravo l’allenatore, non il contrario. Io cerco solo di fargli capire di migliorare sempre più, poi sta a loro. Alcuni hanno delle qualità e forse non lo sanno. Il basket non si gioca con la paura, ma col sentimento di migliorarsi e ambire a volere sempre qualcosa di più e puntare sempre al livello più alto. Voglio trasmetter il piacere e la voglia di giocare. Spero di riuscirci. Mi piace vedere la pallacanestro. Preferisco che una partita finisca 90-89 piuttosto che 50-49. L’hanno chiamata pallacanestro perchè bisogna far canestro. I bambini capiscono più un canestro da 3 o una schiacciata che una difesa. Poi è logico che gli esperti riescono a capire anche altro. A me piace questa pallacanestro. A volte riesco a farla, altre volte no. Parlando dei singoli in squadra, per ciò che conosco io, Tambone e Mazzola possono dare molto di più. Hanno le capacità di farlo. Sono giocatori che hanno già dimostrato di essere importanti. E’ logico che ci sono periodi in cui non si fa canestro. Drake Diener era un tiratore incredibile, ma quando arrivava nel periodo no, c’erano partite in cui tirava male. L’allenatore deve capirlo. Porto sempre l’esempio di Pippo Ricci. Un suo episodio a ripensarci mi fa commuovere: lo faccio partire in una partita e lui fa 0/3, lo tolgo. Lo rimetto alla fine e mi fa 2/2 nelle bombe e vinciamo. Pippo mi ha detto che io sono l’unico che ha avuto il coraggio di rimetterlo dopo la prima parte di gara negativa. Ci sono giocatori che possono dare di più. Sta a me farglielo capire. Bamforth a Napoli non può giocare. Non si può rischiare. I medici lo sconsigliano. Stiamo vedendo di prendere un altro giocatore e e difficilmente arriverà per la gara di Napoli. La mancanza di due giocatori in questo momento significa che c’è più possibilità per altri che hanno fatto veder solo sprazzi. Ieri sono rimasto impressionato da due ragazzi che si allenano. Sono due begli “animali”: Stazzonelli e Maretto. Mi hanno fatto impressione tutti e 2. Non pensavo avevate in panchina due giocatori così. Vorrei vedere l’unione della squadra e questa si capisce dalla panchina. Quando i giocatori tornano in panchina, guardo come reagiscono loro e gli altri. Quando la panchina è viva e tutti sono coinvolti, danno un quid alla squadra. Se invece la panchina è smorta e tutti stanno per conto loro, allora ci sono problemi. La pallacanestro non è un gioco singolo, i giocatori fanno parte di una squadra. Se volevano fare un gioco singolo, giocavano a tennis. Le cose importanti, le vittorie, nascono sempre con l’unione di squadra. Quando abbiamo giocato la 7a partita a Reggio nelle finali scudetto con Sassari, un nostro giocatore fu espulso. La squadra si è messa lì tutta unita e hanno tirato fuori la rabbia che ci ha permesso di ribaltare la partita. Io son stato fortunato, forse se non succedeva quella cosa lì, lo scudetto non lo vincevamo. Far giocare assieme i due pivot Totè e Mockevicius? Io sono uno che se poteva accorciava i giocatori e giocava senza lunghi, ma nella vita si può provare tutto, anche Totè e Mockevicius insieme. A Napoli sarà un test importante per la squadra per provare che anche senza di compagni si può dimostrare qualcosa di più. E’ stimolante sotto questo aspetto. Ricordo l’episodio del 1990, quando mi ruppi il ginocchio in finale scudetto con Varese contro Pesaro. Non volli riguardare in TV quell’azione per 3 mesi. Poi la guardai e vidi che non era così brutta. Col senno di poi forse sarebbe stata più dura per Pesaro vincere senza quell’episodio. Chi lo sa?”
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