Riccardo Tavernelli: Spero che il mio percorso possa essere d’insegnamento

Riccardo Tavernelli: Spero che il mio percorso possa essere d’insegnamento

Da quattro stagioni la casa di Riccardo Tavernelli è a Tortona con cui ha conquistato la Serie A al termine di una serie mozzafiato contro Torino nella finale di A2

Chi dice che bisogna sentirsi realizzati prima dei trenta mente sapendo di farlo, perché spesso in età matura accadono le cose più belle, quelle per cui hai lavorato una vita affinché arrivassero e ti riempissero di soddisfazione. A volte la risposta la trovi nelle stelle, altre volte ce l’hai proprio di fronte ma la trovi solo dopo aver percorso un lungo tratto di strada: a Riccardo Tavernelli è andata così, poiché la sua stairway to heaven è cominciata dopo rispetto alla consueta tabella di marcia; tuttavia, dopo aver scomodato i Led Zeppelin possiamo citare il filosofo tedesco Gotthold Ephraim Lessing e chiedere direttamente al capitano della Bertram Yachts Tortona se “l’attesa del piacere è essa stessa piacere”.

fonte: Legabasket

“Per alcuni come età è tardi, quando leggi debuttante in Serie A a 30 anni pensi sia davvero troppo tardi. In realtà io l’ho sempre detto che mi sarebbe piaciuto arrivarci dopo aver vinto un campionato di A2 ed è quello che è successo; ci ho messo tanto ad arrivare finalmente a vincere quel campionato, però credo abbia un altro sapore e ti dia anche una consapevolezza diversa il fatto di arrivarci sul campo piuttosto che grazie alla chiamata di un club che già fa parte della massima serie. Non voglio togliere i meriti a chi se la conquista con le sue prestazioni, però arrivarci così come ho fatto io credo abbia avuto un gusto diverso e ti lega anche di più alla piazza in cui ti trovi. Io ho avuto la fortuna di vivere tutto questo da capitano di Tortona: vincere e poi presentarmi la stagione successiva per la prima volta – mia e della società – in qualità di capitano della squadra; questo è stato senza dubbio il fatto più bello”.

Nonostante la Bertram Yachts sia in attesa di tornare a Tortona e inaugurare la nuova cittadella, i tifosi accorrono numerosi in quel di Casale Monferrato spinti dalla voglia di vedere all’opera un roster esuberante e un capo allenatore che tra uno scherzo e una strigliata ai suoi giocatori ha creato uno dei gruppi più interessanti del nostro campionato. Essere il capitano di un club ambizioso come Tortona richiede grande responsabilità come fare da collante tra compagni ed allenatore, tenere sul pezzo l’intero gruppo nei momenti difficili e aiutare il coach dalla panchina mostrando tutta la leadership che si possiede.

“Essere il capitano di questo gruppo è sicuramente bello e divertente. Fino ad ora le cose ci sono andate quasi sempre molto bene nel percorso e il merito è anche nostro che siamo stati bravi a tenere questo clima sereno e disteso. All’interno del gruppo abbiamo qualche elemento un po’ sopra le righe (ride, ndr) che però abbiamo imparato a conoscere nel profondo e abbiamo imparato a capire quando farlo scherzare e quando riportare il tutto su binari più seri; dalla loro parte c’è stata subito grande comprensione, sanno perfettamente quando scherzare e quando è giunto il momento in cui si deve lavorare a testa bassa. Questo clima però è quello che secondo me ci sta permettendo di andare avanti serenamente e di conseguenza quello che ci permette e ci ha permesso fin qui di raggiungere determinati risultati. Dal mio punto di vista è sicuramente bello essere il capitano di questo gruppo, è una grande responsabilità ma credo anche il gruppo degli stranieri abbia compreso subito il tipo di clima che si respira qui a Tortona; il clima con cui vengono accolti è familiare e questo sta aiutando anche loro a convincersi di volersi fermare più di una stagione, un fatto non scontato ma che testimonia ancora una volta il lavoro della società e il nostro come squadra”

“I tifosi stessi si sono affezionati ai giocatori dentro e fuori dal campo: (Mike) Daum e (JP) Macura sono i più esuberanti, ma anche quelli che più di tutti hanno trovato un doppio legame col pubblico e il loro modo di fare scherzoso è entrato proprio nel cuore delle persone, perciò riconfermarli è stato – se possibile – ancora più d’aiuto alla piazza per affezionarsi alla squadra”.

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Da quattro stagioni la casa di Riccardo Tavernelli è a Tortona con cui ha conquistato la Serie A al termine di una serie mozzafiato contro Torino nella finale di A2, indimenticabile per giocatori e tifosi. Prima di arrivare alla tanto agognata massima serie, Ricky ha dovuto attraversare letteralmente tutta l’Italia partendo dalla sua Lombardia, passando per il Lazio e arrivando sino alla punta nord-ovest della Sicilia; dalle prime vittorie con la Sangiorgese alle gioie in divisa Bertram Yachts nel mezzo c’è stato un cammino lungo e tortuoso che rimane saldo nella mente del nativo di Monza.

“Il mio è stato il cammino di un ragazzo normale che alle giovanili era bravino, ma niente di eccezionale. Non ho mai fatto le nazionali giovanili anche perché quelli della mia leva (1991, ndr) erano tutti davvero molto forti: ricordo che persero in finale contro la Spagna di Mirotic i campionati europei under 20, quindi il gruppo era davvero talentuoso. Sono sempre stato un po’ una seconda, terza scelta e diciamo che gli infortuni subiti non mi hanno sicuramente aiutato, soprattutto la rottura del crociato a 17 anni penso abbia rallentato un po’ tutto quanto. Successivamente ho deciso di dire basta con le giovanili e tentare la sorte con la Sangiorgese in Serie C; ero ancora in quinta superiore quando mi sono affacciato al mondo delle ‘Minors’ e si è rivelata essere la scelta azzeccata perché quell’anno abbiamo conquistato la promozione in Serie B. Alla fine ho vissuto sempre una vita normale: andavo in università in Bicocca a Milano la mattina, la sera andavo ad allenarmi con la squadra; in quel periodo pensavo magari di poter arrivare in qualche categoria sopra, ma in testa non avevo un obiettivo preciso o la certezza che sarei arrivato dove sono ora. Mi sono sempre dovuto conquistare con le mie forze i traguardi che si ponevano davanti: ho giocato in Serie B perché l’anno precedente avevo vinto la Serie C con la Sangiorgese, ho giocato in A2 perché avevo vinto la Serie B a Legnano e poi appunto gioco tutt’ora in Serie A perché ho avuto modo di trovarmi in una squadra ambiziosa che puntava a vincere il campionato. Quello che di sicuro mi ha aiutato di più ad acquisire consapevolezza è stato il fatto di conquistarmi tutte le promozioni sul campo e ogni volta dirmi “ok, sei tagliato per giocare in questa categoria, vediamo se sei all’altezza di quella successiva” nonostante le critiche nei miei confronti non siano mai mancate. Spero il mio percorso possa essere d’esempio per tanti altri ragazzi che magari alle giovanili non sono dei fenomeni così come non lo ero io, ma con il duro lavoro e la costanza possano loro garantirsi lo spazio in una categoria superiore alle aspettative che hanno gli altri”.

“Oltre al credere in me stesso devo assolutamente ringraziare tutti gli allenatori avuti in questi anni che mi hanno concesso spazio pur essendo un playmaker puro che preferisce far giocare la squadra piuttosto che essere uno scorer puro o un giocatore che attacca il ferro. In questo davvero devo dire grazie a coach Ferrari, coach Magro, coach Gramenzi e coach Ramondino e alla loro capacità di credere nei miei mezzi a disposizione”.

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“Quando giocavo in Serie B frequentavo come studente l’università, per me era la normalità all’epoca: finisci le scuole superiori, successivamente ti prendi la laurea come hanno fatto tanti miei amici. La mia fortuna è stata poi quella di cavalcare la passione della pallacanestro che con il passare del tempo è diventata un lavoro anche costringendomi a mollare per un attimo la presa sullo studio; nonostante abbia sempre dato gli esami, ad un certo punto quando mi sono dovuto trasferire a Latina e poi a Trapani, tornare a Milano per le sessioni mi veniva impossibile se non durante l’estate. Con l’introduzione delle lauree telematiche ho potuto anche da Trapani dare gli esami per laurearmi sebbene ci abbia messo un po’ più del dovuto. Proseguire gli studi per me è importante per due fattori principalmente: il primo è che se inizi un percorso non devi mai mollarlo, perché arrivato alla fine sei sicuramente soddisfatto di ciò che hai fatto e non vale solamente per lo studio, ma per tutto ciò che si vuole intraprendere nella propria vita; il secondo è che la laurea al giorno d’oggi la reputo fondamentale, specie perché la vita del cestista è relativamente breve e potrebbe finire in qualsiasi momento perciò avere già un’opzione una volta finita la carriera ti dà modo di vedere il tutto sotto un’altra ottica. Da giocatore puoi avere infortuni gravi oppure ci possiamo ritrovare in situazioni come quella della pandemia dove nessuno poteva sapere come sarebbe andata a finire, se le società sarebbero state in grado di continuare; per questo motivo avere un piano B nella vita è fondamentale e in questo momento una laurea è altrettanto fondamentale a prescindere dal post-carriera anche a livello proprio di cultura personale”

Dulcis in fundo, “il dolce viene in fondo” come sottolineato dal bibliografo Giuseppe Fumagalli e niente è paragonabile al costruirsi il proprio nucleo familiare. Un nido arrivato dopo anni di viaggi su e giù per l’Italia, aspettando la persona giusta e la stabilità che non sempre è scontata quando sei un giocatore professionista. La vita di Riccardo si è riempita dapprima con la conoscenza di Veronica, infine con l’arrivo del piccolo Gioele, l’erede di casa Tavernelli che ha riempito le giornate della coppia e sicuramente diminuito le ore di sonno a disposizione.

“All’inizio è stato difficile. Noi ci siamo conosciuti in estate all’Eurocamp di Cesenatico, lei giocava a Cerignola e io ad Omegna che credo siano a distanza più o meno 1000km l’una dall’altra (899km, ndr) perciò penso ci saremmo visti tipo due o tre volte in tutto il primo anno; da lì ci siamo detti: “se funziona a questa distanza, vedendoci così poco allora siamo davvero fatti l’uno per l’altro”. L’anno seguente io sono andato a Latina e lei ha messo da parte la pallavolo per entrare all’università di Roma; siamo riusciti a stare di più insieme fino a che io non sono andato a Trapani e lei è rimasta nella capitale, così abbiamo vissuto nuovamente un anno parecchio distanti vedendoci pochissimo. Dal mio ritorno a Latina fortunatamente non ci siamo più dovuti separare e da allora conviviamo, ci siamo poi sposati e abbiamo avuto il bambino. Lei per me è stata fondamentale in tutto e per tutto soprattutto per il mio carattere: prima vivevo peggio le partite e le sconfitte, adesso ho imparato che c’è altro, cioè crescendo impari che esiste altro oltre una partita o una sconfitta, sei consapevole di vivere una vita al di fuori della palestra; quando sei giovane pensi solo ed esclusivamente alla pallacanestro, ad allenarti e quando perdevi ti fracassavi la testa perché pensavi di aver perso tutto quanto. Ora quando torno a casa so di avere una persona che mi aspetta, una persona con cui condividere tutti gli aspetti della vita e averne una terza appena arrivata rappresenta un circolo di felicità che si è creato al di fuori della semplice vita da giocatore. In campo sono ancora il Riccardo Tavernelli che non vuole assolutamente perdere e vuole dare il massimo, però quando finisce la partita so che c’è altro una volta uscito dal palazzetto mentre prima questa dimensione per me non esisteva e appunto pensavo solamente al parquet. Avere avuto Gioele mi ha cambiato innanzitutto perché diventare padre è una sensazione bellissima, un’emozione incredibile e una responsabilità grandissima che ti cambia tanto: una volta magari tornavo dagli allenamenti e potevo guardarmi la TV o stare rilassato sul divano; invece oggi torno e c’è lui ad aspettarmi, magari non vuole stare seduto e quindi cammino per casa tenendolo in braccio. In pratica mi riposo quando vado ad allenarmi (ride, ndr). No, a parte gli scherzi avere un bambino è sicuramente bello, stancante ma allo stesso tempo gratificante. Quando sei lì che lo tieni e lui ti guarda e ti sorride poi impazzisci, non capisci più niente dall’emozione”

Ecco segnata la ‘stairway to heaven‘ da un percorso spesso in salita, certamente non sempre dritto piuttosto raddrizzato dalla caparbietà e dalla capacità di non arrendersi mai. La Serie A, la laurea, il matrimonio, la nascita di un figlio sono tutte tappe di una vita fatta di conquiste in cui nulla è stato dato per scontato, ma la strada per il capitano è ancora lunga e al termine della carriera da giocatore ci sarà un ulteriore portone da aprire. Lui stesso fatica a vedersi in un contesto differente da quello della pallacanestro; così la laurea in economia e il corso da dirigente aprono nuovi spiragli per la sua legacy nata dentro un palazzetto quando aveva solo due settimane e in futuro magari aprirà le porte direttamente alla terza generazione.

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