A una ventina di giorni dal suo 50° compleanno (che avverrà il 15 settembre) il ct della Nazionale Italiana Gianmarco Pozzecco ha concesso una lunga intervista a “Sportweek”, scherzando subito sulla sua età: “Cerebralmente sono diciotto. Diciamo quindi che ho appena raggiunto la maturità”.
Poi il ct ha rimembrato i suoi inizi con la pallacanestro: “Una domanda che mi hanno sempre fatto è: quando hai iniziato a giocare a basket? E io: e tu, quando hai iniziato a camminare? Per dire che non ricordo un Gianmarco senza pallacanestro. E pensare che, data la mia conformazione fisica, non ero portato per questo sport. Perciò, a differenza dei predestinati, non ho mai avuto aspettative particolari, ho sempre giocato per divertirmi senza prendermi troppo sul serio, anche perché ho avuto la fortuna di cominciare la carriera da professionista molto tardi. Insomma, non ho mai fatto bilanci perché non avevo obiettivi particolari la cui realizzazione andasse verificata”.
Quali sono tre motivi di orgoglio per la sua vita? “Il primo: ho vissuto più per far felici egratificare gli altri che me stesso. Secondo: mi sono sempre assunto le mie responsabilità e ho riconosciuto gii errori. È la sola maniera per superare gii ostacoli. Il terzo: ho più amici che nemici. Forse ne vedo meno di quanti siano in realtà proprio perché mi interessa più stare bene con gli amici che combattere i nemici”. E cosa invece cancellerebbe? “Nel 1990 distruggersi un ginocchio come ho fatto io poteva condizionarti la carriera. Ma, tornassi indietro e sapendo dunque quel che mi succederebbe allenandomi quel certo giorno, accetterei lo stesso di fracassarmelo: quell’infortunio mi diede gli stimoli per diventare più forte. Perciò, non c’è nulla di cui mi possa pentire amaramente, mi dispiace solo di non aver giocato nella Nba. Ne avevo le potenzialità. Ma in realtà sono un fallito perché nella vita volevo due cose: diventare un giocatore di basket e aprire poi un negozio di articoli sportivi. Il negozio non l’ho mai aperto”.
Il suo desiderio era in passato quello di allenare la Nazionale. E adesso che è occupa la posizione da ct, non tutto era così prevedibile: “Non pensavo a una responsabilità così grande. Ho la testa di un bambino e vedo sempre il lato positivo, ludico, delle cose. Poi mi accorgo che la realtà è sempre più complessa di come l’avevo immaginata. Il mio è un ruolo istituzionale, le responsabilità sono maggiori e più alte rispetto a quelle che hai in un club”.
Questo incarico è quindi una chiusura del cerchio? “Sì, perché non credo che allenerò ancora per molto. Non ho le energie per farlo a lungo. E poi la Nazionale era appunto l’aspirazione massima, e l’ho raggiunta relativamente in fretta. Non so quanti allenatori abbiano il mio stesso rispetto verso i giocatori italiani: sono convinto che possano giocare contro chiunque. Seconda cosa, sono stato l’unico giocatore in Italia a essere escluso per due volte immeritatamente dalla Nazionale, nel ’99 e nel 2003. Ero più forte di quelli convocati al mio posto, ma meno alienabile e più scomodo. La sofferenza per quelle due esclusioni fa sì che ora viva con ancora maggiore responsabilità il mio ruolo”.
Infine, un commento su questa Nazionale: “Difficile da allenare perché sono giocatori fatti e finiti, c’è poco da costruire. Potrei avere 12 fenomeni, ma essere privo di un centrocampista o un attaccante. All’Europeo conterà molto la fortuna, beccare l’incrocio giusto con un avversario meno forte. L’obiettivo minimo è creare entusiasmo, soprattutto giocando in casa. La gente percepisce quando si gioca con passione e condivisione”.
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