Alex Poythress ha già visto tutto. Quando hai giocato quattro anni e oltre 100 partite a Kentucky sai cosa significhi giocare sotto pressione, dover rendere conto ad una fanbase illimitata, per un allenatore carismatico, nell’occhio del ciclone mediatico e accanto, insieme e in allenamento contro giocatori di livello estremo, come Karl-Anthony Towns, come Devin Booker, come Julius Randle. In più lui è stato anche al Maccabi, un club che in Israele è un’istituzione e gioca sempre davanti ad un impianto tutto esaurito. Per questo quando parla di giocare sotto pressione aggiunge che per lui è come una seconda natura. È ciò che ha sempre fatto. Qui ci racconta la sua storia tra i canestri di tutto il mondo.
Alex, con il basket è stato amore a prima vista?
“Ho cominciato a giocare a basket che ero davvero molto piccolo. In realtà, mio padre giocava a football americano e mi spingeva verso il football, ma io e la mia sorella gemella crescendo abbiamo sempre e solo giocato a basket. Credo avessi quattro o cinque anni”.
Venendo dal Tennessee ci si aspettava che scegliessi, potendolo fare, un college vicino a casa.
“Praticamente sono stato reclutato da tutte le università di casa. Tennessee, Vanderbilt, Memphis, ma quando è arrivata Kentucky ho avvertito subito un legame speciale. Con Kentucky, con la Rupp Arena, il campo di casa, quello che stavano facendo, come, i professionisti che stavano producendo. Ho pensato che nel mio percorso come giocatore di basket quello sarebbe stato il passo giusto da compiere, quello che volevo fare, così ho abbassato la testa alla ricerca dei miei obiettivi”.
Sei rimasto quattro anni a Kentucky, hai un legame forte con il leggendario John Calipari?
“Siamo ancora oggi in stretto contatto. Ogni tanto ci sentiamo, mi ha fatto i complimenti quando ho vinto il titolo in Israele, ma l’avevo visto nel dicembre scorso quando ero dovuto andare a New York per operarmi. Lui ha costruito questa specie di Big Blue Family a Kentucky e quando ne fai parte ci resti tutta la vita. È molto bello”.
Kentucky è una situazione altamente competitiva, ogni anno ci sono prospetti NBA in tutto il roster.
“Mi ha preparato perfettamente per la NBA e per l’EuroLeague. Ogni allenamento a Kentucky è come una guerra, il livello di talento è altissimo, e la competitività più alta che in partita. Ho giocato con All-Stars, con giocatori NBA, di EuroLeague. Willie Cauley-Stein quest’anno sarà a Varese e tanti altri stanno ancora giocando ad alto livello. A Kentucky è così”.
Due volte alle Final Four, ma il titolo NCAA non è mai arrivato. Deluso?
“Naturalmente sì, sono ancora deluso soprattutto il primo anno quando abbiamo perso la finale contro Shabazz Napier e Connecticut, e ancora non so bene come. L’anno dopo ci siamo ripresentati lì, ci siamo andati vicino ancora, ma questa è la vita, questo è il basket. Qualche volta hai obiettivi che non riesci a raggiungere e allora quello che devi fare è riprovarci”.
La NBA e le sue squadre ti hanno sottovalutato?
“Sì, penso di essere stato sottovalutato, credo di avere abbastanza talento da giocare lì, e credo di averlo anche mostrato ogni volta che ho avuto la possibilità di andare in campo. Ho lavorato sempre duro. Ma al tempo stesso questo ruolo di “underdog”, di giocatore che passa inosservato in qualche modo mi piace. Di solito faccio bene in quella situazione”.
Negli ultimi due anni hai finito vincendo il titolo nazionale, prima in Russia poi in Israele.
“Ogni volta che vai in campo a giocare l’obiettivo è vincere il titolo. A me è successo in due anni consecutivi, in Russia e Israele. È come la ciliegina sulla torta. Lavori duro da agosto fino a giugno, senza soste, e poi puoi tornare a casa e prenderti una vacanza, ma se lo fai dopo aver vinto un titolo tutto è molto migliore. La penso così”.
A Tel Aviv hai sperimentato cosa significhi giocare in ambiente con tanta pressione addosso.
“La tifoseria del Maccabi ha grandi aspettative, ma io avevo sperimentato cosa significa giocare per quel tipo di tifosi a Kentucky. Non sono tanto diversi. Quindi quando sono arrivato a Tel Aviv ho trovato una situazione che conoscevo già, non era nuova. Per come è come una seconda natura. Certe situazioni possono distarti quando vai alla ricerca di un traguardo, ma se tieni la testa sulle spalle, la barra dritta, riesci anche a bloccare tutto il rumore di sottofondo”.
Che tipo di giocatore sei adesso?
“Sono un lavoratore, sono versatile, posso giocare da ala forte e da centro, marcare tipi di giocatore differenti, riesco a giocare sopra il livello del ferro. Non ho caratteristiche rigide, vedrete tante cose diverse, utilizzare tante opzioni, questo è quello che sono”.
Cosa possiamo aspettarci da questa stagione?
“In un grande club come questo, le aspirazioni sono molto alte. Personalmente, vorrei tornare a giocare una Final Four, andare fino in fondo. Coach Messina ha costruito una squadra con tanta profondità, tanti veterani, persone serie. Credo sia una buona miscela, abbastanza buona da poter tentare di arrivare alle Final Four. Questo è sempre il mio obiettivo, competere per vincere ad ogni livello. So benissimo che sarà dura, che nulla risulterà facile. In EuroLeague vedo tantissime grandi squadre quest’anno, soprattutto con tanti giocatori che hanno cambiato maglia, ma se rimaniamo concentrati possiamo arrivare lontano perché come ho detto qui c’è tanto talento e i pezzi giusti”.
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