Con una prova da 21 punti e 10 rimbalzi contro la capolista Brescia, Paul Eboua ha trascinato la sua Vanoli Cremona alla vittoria che è valsa la salvezza ed è stato il nuovo protagonista della rubrica settimanale “5 domande a…”
Sabato avete trovato la salvezza grazie ad una grande vittoria sulla capolista Brescia, tua ultima squadra prima dell’approdo alla Vanoli. Tu sei stato il protagonista con un’ottima prova sui due lati del campo, la tua miglior partita della stagione. Come ti senti e come vi sentite dopo aver raggiunto questo traguardo?
Siamo contenti, perché avevamo bisogno di questi due punti. Abbiamo sfiorato la vittoria a Bologna e la partita persa contro la Virtus ci ha aiutato poi ad approcciare al meglio alla gara contro Brescia; sabato abbiamo messo in campo il duro lavoro svolto in allenamento durante la settimana, ma abbiamo anche evitato di ripetere gli errori fatti nel weekend precedente. Siamo molto contenti di aver raggiunto la salvezza, perché così possiamo approcciare le ultime due partite con maggior serenità tirando anche un bel sospiro di sollievo. Personalmente mi sento felice, questo risultato è il frutto del duro lavoro svolto durante la stagione; una piccola soddisfazione nonostante ci sia ancora tanto da fare, però è bello sapere che il modo in cui lavori sul lungo periodo dia i suoi frutti, serve solamente avere tanta pazienza per riavere indietro ciò che hai dato da inizio anno.
Questo viaggio dalla A2 alla Serie A lo hai compiuto insieme ad alcuni dei tuoi compagni e soprattutto insieme al capo allenatore Demis Cavina. Che tipo di rapporto si è instaurato in queste due stagioni tra te e il coach?
Con il coach posso dire che si è instaurato un grandissimo rapporto fin dall’inizio della scorsa stagione. Abbiamo parlato e subito la fiducia è stata reciproca: mi ha aiutato a capire come tirare fuori tutto il mio talento, mi ha aiutato a capire come stare in campo e mi ha aiutato a capire quali fossero i mezzi a mia disposizione. Più volte mi ha detto “Tu non capisci quanto sei forte, ancora non lo hai veramente capito” e io magari ne ero consapevole, però non sapevo come far uscire fuori tutto quanto; abbiamo fatto un percorso insieme dallo scorso campionato e tutto ciò che sto tirando fuori per gran parte è merito suo, dallo stare in campo alla mia “metamorfosi” come giocatore. In generale però vorrei ringraziare la società per aver creduto in me e avermi dato la possibilità di esprimermi al meglio fin da quando sono arrivato.
Nel 2020 hai provato l’esperienza oltreoceano tra il contratto non garantito con Miami, alla G-League giocata a Long Island fino alla Summer League con Milwaukee. Cosa ti ha insegnato un percorso del genere e cosa hai potuto mettere nel bagaglio quando sei tornato in Italia?
Mi porto dietro soprattutto l’esperienza nonostante ci sia stata una grande delusione per non essere stato scelto al Draft. Ho potuto allenarmi con i Miami Heat, ho fatto esperienza in G-League, ho giocato la Summer League; ho potuto capire come approcciano i giocatori della NBA alle partite, quale tipo di lavoro svolgono in offseason e questo provo sempre a replicarlo anche qui, perché penso sia lì che parta tutto, cioè da come affronti la pre-season. È stata un’esperienza che a guardarla così a primo impatto non è andata bene perché non sono stato draftato, però poi capisco che è stata utile per il mio futuro e mi aiuterà sempre a capire come affrontare le difficoltà, mi aiuterà a capire come prendere il positivo e lasciare alle mie spalle tutta la parte negativa. Quando sono tornato in Italia avevo comunque la rabbia per non essere riuscito a raggiungere il mio obiettivo, però tutto questo mi ha insegnato ad essere un professionista e ad allenarmi seriamente ogni giorno. Due anni fa giocatori come David Moss, Tyler Cain, Amedeo Della Valle e Naz Mitrou-Long mi hanno fatto capire quale fosse la strada giusta da intraprendere; lì ho capito che la cosa giusta per me era fare un passo indietro per avere fiducia, imparare come stare in campo e trovare un posto dove poter far uscire tutto il mio talento, per questo motivo ringrazierò sempre Cremona per aver creduto in me e sono davvero felice di far parte della Vanoli Family.
Tu sei nato in Camerun, una terra che sportivamente parlando ha una storia filocalcistica e che solo negli ultimi anni, grazie anche a Joel Embiid e Pascal Siakam per esempio, si è avvicinata alla pallacanestro. Qual è stato il tuo approccio verso questo sport? E cosa si prova ad indossare la maglia della propria nazionale in un paese come il Camerun?
Ho iniziato tardi con la pallacanestro: avevo 14 anni quando ho toccato per la prima volta una palla da basket, perciò è andato tutto molto velocemente. È partito da un amico che mi ha portato il campetto facendomi innamorare di questo gioco e poi è proseguita nel momento in cui ho incontrato una persona super come Maurizio Balducci che mi ha dato l’opportunità di andare alla Stella Azzurra per cominciare questo sogno. Sì, devo dire che è stato tutto talmente rapido da cambiarmi radicalmente la vita e mi sono accorto in pochissimo tempo che quando entravo in campo mi sentivo vivo, era quello il posto in cui volevo stare. Rappresentare i colori del mio paese è una fortuna, mi sento davvero fortunato a poterlo fare e voglio dare al mio paese una mano per vincere qualcosa; il mio sogno sarebbe diventare campione d’Africa con il Camerun, sarebbe stupendo e il progetto che c’è dietro è importante, stanno costruendo qualcosa di serio e in questo gruppo ci sono anche altri due ragazzi che giocano in Serie A come Jordan Bayehe – con cui sono grande amico – e Aristide Mouaha. Siamo tutti quanti molto fortunati, crediamo tantissimo in quel progetto e sappiamo di poter fare molto bene con questa nazionale.
Paul Eboua schiaccia, stoppa, segna e cattura rimbalzi, ma quali sono i suoi hobby quando suona la sirena di fine partita o fine allenamento ed esce dalla palestra?
Fuori dal campo mi piace leggere, giocare un po’ ai videogiochi e parlare davvero tanto con la mia famiglia, passo tante ore con loro in videochiamata. Mi piace anche guardare le partite per studiare il gioco, “rubare” qualche movimento e migliorare alcuni aspetti del mio gioco; inoltre provo a capire il comportamento dei giocatori in campo e le loro mosse. Forse più che studioso, mi potrei definire curioso in generale, mi piace scoprire nuove cose anche mentre sono in giro a fare due passi per prendere una boccata d’aria.
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