Olimpia Milano, Naz Mitrou-Long: La sua storia, il rapporto con Pangos, i suoi obiettivi

Olimpia Milano, Naz Mitrou-Long: La sua storia, il rapporto con Pangos, i suoi obiettivi

Il nuovo play di Olimpia Milano si racconta

Tutto è iniziato con un giocatore proveniente dal North Carolina, un atleta surreale. Vince Carter era “Vincredible” all’epoca. Poteva segnare a volontà e poteva volare indossando la casacca dei Toronto Raptors, franchigia NBA nata da un paio di anni, che ha cambiato la storia del Canada cestistico. Carter ha reso i Raptors immediatamente rilevanti, uno spettacolo, una grande squadra soprattutto quando al seguito sono arrivati anche Tracy McGrady e poi Chris Bosh. In tutta la regione dell’Ontario, il basket è diventato cool, anche in un paese fanatico per l’hockey. Naz Mitrou-Long ha fatto parte di questa sorta di rivoluzione del basket locale. È cresciuto a Missisauga, a quaranta minuti di macchina dal centro di Toronto. A quindici minuti dalla riva del lago Ontario. “In Canada, l’hockey è lo sport nazionale, ma sono stato abbastanza fortunato da vedere giocare per i Toronto Raptors fuoriclasse come Vince Carter o Chris Bosh. Da ragazzino ho frequentato i camp dei Raptors. E fortunatamente avevo attorno veri appassionati di basket. La passione per il basket fa parte di me e della mia personalità fin da quando ero davvero molto giovane. E poi anche in un paese devoto all’hockey c’è una buona cultura cestistica”.

Il primo sport di Naz è stato però il pugilato. Non sembra un pugile ora, ma è forte e ha buoni geni. Il padre, Jersey Long, era un peso massimo leggero che ha combattuto per il campionato del mondo a Montreal contro Rick Roufos, uno dei più grandi di tutti i tempi. “Mio padre era un kickboxer di livello internazionale, ha combattuto per i massimi traguardi ed è stato campione nazionale per tanti anni. Inizialmente il pugilato è stato lo sport che ho praticato seriamente. Era pugilato non kickboxing. Ma con il tempo il mio interesse e la mia passione per il basket hanno preso il sopravvento. Vedendo dove stavo andando, mio padre mi ha preso da parte e chiesto di scegliere. Ho detto che avrei giocato a basket e da quel momento non ho più guardato indietro”.

Ma farsi notare in Canada a quei tempi era ancora complicato. Per questo, a 15 anni, Naz ha lasciato casa per trasferirsi negli Stati Uniti. È stata nettamente la cosa più difficile che abbia mai dovuto fare. Io non sono un tipo emotivo, le emozioni che vedete sul campo nascono dalla passione e dall’entusiasmo. Ma lasciare casa per me è sempre difficile”, racconta. Da allora, ogni volta che se va soffre. “Probabilmente perché mi riporta a quei giorni. Ma ne ho parlato con i miei genitori e sappiamo che è stata la miglior decisione che potessimo prendere. I successi più grandi arrivano attraverso i momenti difficili, che ti mettono alla prova”.

 

Dopo due anni in due diversi licei, Naz è passato al capitolo successivo, ad Iowa State. Accanto a lui, molti grandi giocatori, tra cui Georges Niang, Monte Morris, entrambi giocatori NBA. E in cima alla lista Will Clyburn in persona, ormai iconico giocatore di EuroLeague. “Da freshman a Iowa State, giocavo con un gruppo di giocatori esperti che ragazzi come me potevano imitare per capire cosa serva per avere successo. Melvin Ejim, Chris Babb, Tyrus McGee, sono nomi con cui abbiamo familiarità. Ejim a McGee hanno giocato tutti e due in Italia. Ma Will Clyburn nello specifico è un giocatore che è diventato una star in questa parte di mondo. Tanta gente pensa che sia un giocatore NBA, ma è importante giocare ed emergere nel posto in cui più ti senti a tuo agio, dove puoi contribuire con costanza. Lui ha avuto un ruolo importantissimo nel determinare la mia decisione di venire in Europa l’anno scorso. Sono felice di avere uno come lui nel mio angolo, non vedo l’ora di incontrarlo in campo”.

In quegli anni, Mitrou-Long ha sviluppato una forte reputazione come “Clutch Scorer”. “Sono fortunato perché ci sono state tante situazioni in cui ho avuto la palla in mano nei momenti decisivi. Puoi preparati quanto vuoi, andare in palestra, cercare di visualizzare quei momenti in cui il tempo sta per scadere e segni il canestro decisivo. Tutti lo fanno, ma fino a quando non ti trovi in queste situazioni di grande pressione e questi tiri devi prenderli sul serio, non c’è modo di prepararti davvero. Sono grato di essermi trovato in queste situazioni tante volte, qualche volta ho sbagliato, qualche volta ho segnato, ma so cosa serva e so che mi sento relativamente a mio agio nel prendere i tiri decisivi”.

Nonostante questo, dopo una carriera importante con i Cyclones, un infortunio nella stagione da senior l’ha convinto ad approfittare delle regole, fermarsi, e tornare per un quinto anno quando però aveva già 24 anni. “Sì, penso che possa aver influito sulle mie azioni al draft, sapendo che nella NBA vogliono talento giovane, potenziale, investire in progetti. Detto questo, del mio percorso non cambierei nulla, perché alla fine il mio quinto anno è stato il migliore, anche come risultati individuali. Avevo degli obiettivi che intendevo raggiungere, fare di più in una squadra con meno talento, sviluppare fiducia per diventare il giocatore che sono. Alla fine, le cose avrebbero potuto essere differenti o forse no, non sono sicuro. Ma sono contento e fortunato di essere dove sono e del percorso che ho fatto”.

E in fondo nella NBA ha giocato lo stesso, tre anni a Utah poi a Indiana. “Nella NBA non ero un giocatore che stava tanto in campo, ma qualcuno che doveva sempre farsi trovare pronto. Ma la NBA mi ha dato la fiducia di credere di essere il giocatore che penso di essere, ho giocato contro i migliori, ho aiutato i miei compagni in allenamento, ho sempre lavorato duro, non ho mai preso nulla alla leggera. E alla fine questa esperienza mi ha dato la fiducia e la preparazione per venire qui lo scorso anno e avere la stagione che ho avuto e mi ha portato fino qui”.

Quindi dopo la NBA, c’è stata Brescia. “Ho avuto la fortuna di trovare una società come Brescia che ha puntato su di me, ha messo la palla nelle mie mani, mi ha permesso di creare e di essere il giocatore che sono. Mi hanno aiutato ad avere successo e io sono uno che crede completamente nel rispetto del gioco. Significa giocare duro, con il cuore, significa dare tutto quello che hai. Non ho mai sbagliato una partita perché ho sottovalutato un avversario. Io sono sempre pronto a competere. E non mi tiro mai indietro, fa parte del modo in cui sono stato educato, fa parte della persona che sono. Ringrazio Brescia: mi ha permesso di essere l’uomo che sono. E adesso ho una nuova casa a Milano e ho totale fiducia in quello che mi aspetta, negli allenatori e nel club”.

A Milano ha trovato anche un compagno di squadra con il quale condivide ruolo, provenienza, anche ricordi. “Ho tanti ricordi del mio amico Kevin Pangos. Francamente, è uno dei motivi principali per cui ho scelto di venire qui. Quando ho parlato con Coach Messina o saputo che era sul punto di salire a bordo con noi. Kevin gioca a basket fin quando era molto piccolo. È sempre stato un professionista esemplare, sempre determinato a migliorare, ha sempre giocato ad alto livello. Chiunque lo conosca desidera solo andare in campo con lui. È un leader attraverso l’esempio, sono contento e fortunato di poterlo considerare di nuovo un mio compagno di squadra. Abbiamo giocato insieme da ragazzi con il Team Canada. Qui in sostanza chiudiamo un cerchio”. Ruolo simile, ma caratteristiche diverse.  “Al giorno d’oggi, il basket è sempre più uno sport senza ruoli – dice Naz -. Detto questo, non voglio togliere nulla ai playmaker puri dediti al passaggio e nulla alle combo che possono segnare tanto. Io sono una via di mezzo, leggo le situazioni, gli spazi e ciò di cui la squadra ha bisogno. Se devo segnare segno, se devo passare passo. Alla fine, credo sia importante fare ciò che serve alla squadra per essere al meglio. Mi considero un playmaker, non in senso tradizionale, e ci tengo a giocare nel modo corretto e prendere quello che mi viene dato”.

Ma nonostante sia un giocatore che ha fatto molto, Naz a livello di EuroLeague sarà un rookie. Dovrà dimostrare tutto daccapo. “Quello che ero cinque anni fa, l’anno scorso o ieri non conta più, ora sono qui. Ogni giorno quando entro in palestra, ogni volta che ho l’opportunità di indossare la divisa della mia squadra vedo un’opportunità di dimostrare a me stesso che sono davvero quello che credo di essere, se lavoro duro, se tiro fuori il 110 percento di me stesso ogni giorno. Se lo fai, stai facendo qualcosa per essere ogni giorno una versione migliore di te stesso e tutti capiscono che tipo di persona sei. Non è un segreto che quando giochi solo nei campionati nazionali, non importa in quale paese, fai un cerchio sulle partite contro le squadre di EuroLeague o di Eurocup, perché c’è più taglia fisica e un diverso livello di fisicità nel modo in cui giocano. Ma non è nulla cui non sia abituato. Ho visto taglia e fisicità altre volte, si tratta di adeguarsi per qualche tempo. In EuroLeague ci sono alcuni dei migliori talenti del mondo, non è una coincidenza, qui semplicemente tutti sanno come si gioca”.

L’ultima sfida personale sarà adattarsi ai compagni che troverà all’Olimpia. “Credo di poter essere me stesso. Sono orgoglioso di essere un giocatore che può inserirsi in qualunque contesto in base alle necessità della squadra. Io non sono mai stato una persona egoista. Abbiamo tanti grandi giocatori in questo roster, non c’è bisogno di fare nomi, li conosciamo tutti. Abbiamo giocatori che ogni sera possono esplodere e segnare 28 punti. Non penso a me stesso, è solo desiderio di inseguire qualcosa di importante, perché quando indossi questa maglia, la maglia di Milano, insegui solo il successo, devi aspettarti di vincere. Così tutto quello che serve che sia essere aggressive e segnare in attacco, passare la palla o difendere, questo è quello che voglio fare”.