TEL AVIV – Quella in Israele è sempre una trasferta speciale per l’Olimpia. Ci sono tanti motivi che la rendono tale. Intanto, la storia del confronto, che affonda le radici negli anni ’80, e di conseguenza le sfide epiche tra le due formazioni, l’ultima tale è quella dei playoff del 2014. Poi il grande rispetto che accompagna questa sfida. Due anni fa Dino Meneghin volle che la sua maglia fosse formalmente ritirata durante la gara con il Maccabi perché era sempre stato l’avversario preferito, terribile sul campo, leale fuori. E Meneghin a Tel Aviv è sempre stato accolto da applausi, come si fa quando l’avversario è temuto ma gli si riconoscono doti di lealtà indiscutibili. Il presidente storico, Shimon Mizrahi, da oltre cinquant’anni in carica, quella sera volle omaggiare Meneghin a nome del suo club. Il confronto vanta 36 precedenti e il bilancio è in parità: l’Olimpia vincendo gli ultimi tre confronti ha ristabilito il pareggio. Ma l’anno passato la vittoria firmata da Malcolm Delaney dopo un tempo supplementare fu la prima dal 1988 dell’Olimpia in Israele. Adesso, il Maccabi è in piena lotta per i playoff: l’eliminazione delle squadre russe gli ha offerto una chance inattesa, materializzatasi dopo l’esonero del coach Ioannis Sfairopoulos. Il clima anche per questo motivo sarà opprimente: il tifo che accompagna il Maccabi è ineguagliabile in Europa. Corretto, ma incessante. Sarà così domani sera. Il Maccabi non rappresenta solo sé stesso e la città di Tel Aviv, ma l’intero stato di Israele. È una specie di squadra-nazione. L’unico paragone possibile è con lo Zalgiris Kaunas inteso come simbolo lituano. Vale nel bene e ovviamente nel male, perché le aspettative sono sempre enormi, la pressione sconfinata. Inoltre, sono cresciute le avversarie e anche il titolo israeliano, un tempo automatico, adesso va conquistato ogni anno e non è sempre facile. Forse non lo è e basta. Il Maccabi ha vinto la sua prima Coppa dei Campioni nel 1977 battendo a Belgrado l’Ignis Varese con Meneghin – ancora lui – in campo. Era la squadra capitanata da Tal Brody. Chi conosce la storia del Maccabi identifica un’era, quella precedente Brody, e quella successiva all’arrivo di Brody, ex stella ebrea di Illinois, scelto nei draft NBA al numero 12 che dopo una visita a Tel Aviv scoprì di non volersene più andare, convinto addirittura dall’iconico generale Moshè Dayan a prendersi cura dello sviluppo del basket israeliano. Brody portò la nazionale all’argento europeo e appunto il Maccabi al titolo. Vive ancora a Tel Aviv ed è una presenza fissa alle gare del Maccabi.
IL RICORDO – Se parliamo di Maccabi, dovremmo parlare della finale di Coppa dei Campioni del 1987, a Losanna. La tripla finale di Doron Jamchy senza speranze, il grande rimbalzo di Bob McAdoo e il trionfo dopo una battaglia ricca di colpi di scena, a tratti dominata da Roberto Premier. Un anno dopo a Gand andò a finire in modo simile. Ken Barlow che nel 1987 giocava per Milano, nel 1988 giocava per Tel Aviv. Ma il ricordo più forte è l’ultimo, quella della passata stagione, il missile dalla media distanza di Malcolm Delaney contro Scottie Wilbekin che consegnò all’Olimpia la vittoria all’overtime, in parte rocambolesca perché prima di quella prodezza ce ne fu un’altra di Kevin Punter, un gioco da quattro punti che ristabilì la parità concedendo all’Olimpia cinque minuti in più per vincere finalmente nel palasport di Yad Elyahu.
L’ARENA – Yad Elyahu in realtà il nome del quartiere, nella parte orientale di Tel Aviv, nel quale sorge l’arena che sta a Tel Aviv come il Palalido a Milano in termini di affetto e storia, solo che può contenere 11.000 spettatori e proprio per questo è ancora strettamente attuale (in realtà ci sono piani per una nuova arena), per quanto ovviamente sia stato rimodellato tante volte. Qui il Maccabi ha vinto l’EuroLeague nel 2004 battendo in finale la Fortitudo Bologna con Gianmarco Pozzecco in campo. Curiosamente, il Maccabi ha vinto finali europee contro tre squadre italiane, Varese, Virtus Bologna e Fortitudo, giocandone altre tre contro Cantù e Milano (due volte) ma perdendole. Il palasport venne costruito all’inizio degli anni ’60, ma per ospitare 5.000 spettatori. Una decina di anni dopo venne costruito il “secondo piano” e la capienza raddoppiata. In seguito, è stato ritoccato. Indubbiamente, mostra i suoi anni soprattutto esternamente, ma non nell’arena anche se gli spazi sono stretti.
TRAVEL NOTES – L’Olimpia, come succede spesso quando le trasferte sono particolarmente lunghe (e qui si perde anche un’ora di fuso orario) è partita da Malpensa alle 10:30 di mattina quindi spostando l’allenamento della vigilia alla serata. Il volo per Tel Aviv dura tre ore e 40. La squadra ha pranzato in volo ed è atterrata alle 15:10 locali. Solo che le procedure di sbarco in Israele, solitamente lunghe, lo sono molto di più adesso. Le regole locali impongono un tampone molecolare prima di uscire dal terminal. Con l’aggiunta del traffico, la squadra è arrivata in hotel due ore e mezzo dopo aver toccato terra in Israele. Il resto dell’attività previsto, meeting, lavoro atletico, è stato svolto usando le infrastrutture dell’hotel. L’allenamento di questa mattina si è svolto alle 11 locali ed è durato circa un’ora in una Tel Aviv baciata dal sole.
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