I 33 anni dall’ultima vittoria conquistata a Tel Aviv, il primo successo a Madrid in EuroLeague, la prima vittoria a Mosca dopo 11 anni o a Istanbul contro l’Efes dopo 15 sconfitte. Sono alcune delle strisce frantumate in una stagione inattesa. Ma la più inattesa striscia interrotta è stata quella spezzata in Gara 5, ovvero 29 anni dall’ultima Final Four. Era datata 1992, Mike D’Antoni era un allenatore al secondo anno, lontanissimo dalla sua carriera NBA, il centro era Darryl Dawkins, che quasi sei anni fa ci ha lasciato improvvisamente, in campo c’erano Piero Montecchi, Antonello Riva, Riccardo Pittis, Davide Pessina, Johnny Rogers. E’ passata una vita. Un’anomalia è stata cancellata. A Colonia, a fine maggio, ci sarà anche l’Olimpia.
Kyle Hines, l’uomo dei quattro titoli continentali, l’aveva detto il primo giorno. “Sono qui per riportare la gloria di EuroLeague a Milano, per vincere titoli e alzare trofei”, fu la sua dichiarazione d’intenti. Non è stato l’unico a parlare chiaro. Malcolm Delaney aveva fatto spaventare tutti quando disse subito che “a questo punto della mia carriera, a livello individuale ho fatto tutto quello che volevo, ma mi manca il titolo europeo”. E il più prudente Gigi Datome aveva trovato delle analogie tra il progetto di Milano e quello del Fenerbahce quando arrivò a Istanbul nel 2015. “Siamo qui per costruire, che è quello che ci chiesero a quei tempi”. Costruire una cultura è quello che Sergio Rodriguez ha sempre sottolineato insieme al senso di responsabilità necessario per rappresentare al meglio Milano, il gruppo Armani e la storia dell’Olimpia. “A questo punto della mia carriera, non c’è un posto in cui vorrei essere più di questo”, ha detto. E in fondo anche Ettore Messina e Christos Stavropoulos non sono nuovi a questi livelli. Il Coach è all’undicesima Final Four, il general manager alla settima.
L’obiettivo era raggiungere i playoff, un grande passo rispetto alla storia recente, ai sette anni di lontananza dall’ultima partita di playoff, giocata a Tel Aviv, ma questa squadra ha vinto tante battaglie prestigiose e ha saputo schivare la tentazione di accontentarsi, “anche se l’obiettivo del club – ha detto subito dopo la vittoria di Gara 5 Coach Ettore Messina – è ritornare l’anno prossimo nei playoff, per dare continuità ai miglioramenti”. Vlado Micov negli anni scorsi non aveva mai nascosto di considerare il mancato raggiungimento dei playoff “un fallimento”. Magari non lo era, ma lui voleva che fosse così. Micov era stato l’autore dell’ultimo canestro della stagione passata, a Valencia, quella tripla allo scadere che aveva alimentato la speranza di poter giocare i playoff già nel 2020. I playoff nel 2020 non li ha giocati nessuno. Tecnicamente, alle Final Four arrivano Sergio Rodriguez e Kyle Hines con la medaglia virtuale di detentori del titolo vinto nel 2019 con il CSKA Mosca, un club che di Final Four ne ha giocate 16 in 17 anni.
Identificare quando è nata questa qualificazione è soggettivo. Ognuno ha la sua risposta. I cinque giorni nel bunker di Madrid, sepolti dalla neve, con il viaggio serale a Valencia a caccia di un aeroporto da cui ritornare finalmente in Italia; la trasferta di otto giorni a caccia della qualificazione ottenuta a Belgrado; o magari è successo in una delle tante vittorie esterne, addirittura 10. Ma è stata soprattutto la stagione del gruppo. Basta guardare le statistiche individuali: non ci sono giocatori di Milano nelle prime posizioni. Nessuno ha vinto il titolo di giocatore del mese. Solo Kevin Punter è stato MVP della settimana, nel turno 28, ed è accaduto a pari merito con Vasa Micic. Shavon Shields l’ha vinto in Gara 5 dei playoff, quando serviva di più. Tutti i traguardi individuali sono stati traguardi storici, frutto di longevità, serietà, impegno.
Kaleb Tarczewski aveva gli occhi che brillavano quando è diventato il primo giocatore della storia dell’Olimpia a giocare oltre 100 partite nella massima competizione europea. Poco dopo Vlado Micov ha tagliato lo stesso traguardo. E nel frattempo Kyle Hines, Sergio Rodriguez, Gigi Datome ne celebravano altri e i giovani leoni, pronti ad assorbire la leadership dei veterani, imparavano il mestiere. Shavon Shields a Monaco, Round 1 della stagione regolare, ha segnato il canestro della vittoria; Zach LeDay a Milano, Gara 1 dei playoff, ha segnato quello della prima vittoria nei playoff dal 2014. Malcolm Delaney ha segnato il canestro della vittoria di Tel Aviv ed eseguito l’assist per LeDay in Gara 1 dei quarti di finale. Nei playoff i suoi numeri si sono impennati rispetto alla stagione regolare. Esiste il “Regular Season Delaney” e il “Playoff Delaney”. Kevin Punter ha segnato 32 punti, il record carriera, a Mosca contro il CSKA. Quest’anno nessuno ha fatto meglio a Milano, fino a quando Shields non ne ha fatti 34 in Gara 5. Il gioco disegnato da Coach Ettore Messina per segnare con 1.2 secondi da giocare contro il Bayern ha raccolto consensi in tutto il mondo degli allenatori o sui social. Ma quando in conferenza stampa ha deviato gli elogi sui propri giocatori intendeva dire esattamente quello che ha detto: basta un dettaglio per fare la fortuna di un’esecuzione o rendere la stessa idea ininfluente. Lo stesso gioco era stato eseguito contro il CSKA in casa. Kyle Hines aveva ricevuto palla e subito il fallo. L’1/2 aveva forzato il tempo supplementare in cui l’Olimpia non è riuscita a completare il lavoro e così quella prodezza è rimasta nascosta. Al tempo stesso, di quell’esecuzione si notano il grande passaggio di Delaney per LeDay e la conclusione acrobatica dell’ala, ma andrebbe notato anche il blocco con cui Kyle Hines ha fermato due giocatori e permesso agli altri di giocare in sovrannumero. Piccoli gesti, grandi risultati.
Identificare quando è nata questa qualificazione è soggettivo. Ognuno ha la sua risposta. I cinque giorni nel bunker di Madrid, sepolti dalla neve, con il viaggio serale a Valencia a caccia di un aeroporto da cui ritornare finalmente in Italia; la trasferta di otto giorni a caccia della qualificazione ottenuta a Belgrado; o magari è successo in una delle tante vittorie esterne, addirittura 10. Ma è stata soprattutto la stagione del gruppo. Basta guardare le statistiche individuali: non ci sono giocatori di Milano nelle prime posizioni. Nessuno ha vinto il titolo di giocatore del mese. Solo Kevin Punter è stato MVP della settimana, nel turno 28, ed è accaduto a pari merito con Vasa Micic. Shavon Shields l’ha vinto in Gara 5 dei playoff, quando serviva di più. Tutti i traguardi individuali sono stati traguardi storici, frutto di longevità, serietà, impegno.
Kaleb Tarczewski aveva gli occhi che brillavano quando è diventato il primo giocatore della storia dell’Olimpia a giocare oltre 100 partite nella massima competizione europea. Poco dopo Vlado Micov ha tagliato lo stesso traguardo. E nel frattempo Kyle Hines, Sergio Rodriguez, Gigi Datome ne celebravano altri e i giovani leoni, pronti ad assorbire la leadership dei veterani, imparavano il mestiere. Shavon Shields a Monaco, Round 1 della stagione regolare, ha segnato il canestro della vittoria; Zach LeDay a Milano, Gara 1 dei playoff, ha segnato quello della prima vittoria nei playoff dal 2014. Malcolm Delaney ha segnato il canestro della vittoria di Tel Aviv ed eseguito l’assist per LeDay in Gara 1 dei quarti di finale. Nei playoff i suoi numeri si sono impennati rispetto alla stagione regolare. Esiste il “Regular Season Delaney” e il “Playoff Delaney”. Kevin Punter ha segnato 32 punti, il record carriera, a Mosca contro il CSKA. Quest’anno nessuno ha fatto meglio a Milano, fino a quando Shields non ne ha fatti 34 in Gara 5. Il gioco disegnato da Coach Ettore Messina per segnare con 1.2 secondi da giocare contro il Bayern ha raccolto consensi in tutto il mondo degli allenatori o sui social. Ma quando in conferenza stampa ha deviato gli elogi sui propri giocatori intendeva dire esattamente quello che ha detto: basta un dettaglio per fare la fortuna di un’esecuzione o rendere la stessa idea ininfluente. Lo stesso gioco era stato eseguito contro il CSKA in casa. Kyle Hines aveva ricevuto palla e subito il fallo. L’1/2 aveva forzato il tempo supplementare in cui l’Olimpia non è riuscita a completare il lavoro e così quella prodezza è rimasta nascosta. Al tempo stesso, di quell’esecuzione si notano il grande passaggio di Delaney per LeDay e la conclusione acrobatica dell’ala, ma andrebbe notato anche il blocco con cui Kyle Hines ha fermato due giocatori e permesso agli altri di giocare in sovrannumero. Piccoli gesti, grandi risultati.
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