Reduce dall’ennesima prestazione di alto livello in stagione a Scafati (14 punti e 5 rimbalzi), Nate Laszewski, uno degli assi portanti dell’Happy Casa Brindisi di questa stagione, è stato il nuovo protagonista della rubrica LBA “5 domande a…”
Vittoria fondamentale quella ottenuta nello scontro con Scafati, questo ha permesso a Brindisi di entrare in una striscia di due successi consecutivi – tre nelle ultime quattro gare – ma il lavoro non è ancora finito. Cosa pensi serva ora alla squadra per evitare la retrocessione?
Quella di domenica è stata sicuramente una vittoria importante proprio perché essendo la seconda consecutiva ci ha dato ulteriore fiducia. Penso che i risultati stiano arrivando perché stiamo giocando della buona pallacanestro di squadra e continueremo a farlo finché ci porterà questo tipo di soddisfazioni. Sono arrivati nuovi giocatori di grande talento, questo ci permette anche di affidarci a loro per fare degli strappi durante le partite, ma giocare di squadra sta anche aiutando tutto il gruppo a maturare e conoscerci, quindi ora è fondamentale continuare con questa striscia se vogliamo salvarci.
Questo è il tuo primo anno da professionista, perciò quali sono state le tue sensazioni quando la scorsa estate sei approdato in Italia e come valuti questi mesi trascorsi?
Penso sicuramente che questa sia finora un’esperienza formativa, un’esperienza che mi sta aiutando tutt’ora a crescere sia come persona sia come giocatore. Ho parlato con qualche ragazzo che si è trasferito oltreoceano per iniziare la sua carriera da professionista, ho chiesto qualche informazione anche riguardo alla pallacanestro europea e a come ci si può ambientare rispetto al nostro stile in America. Posso dire che mi sto divertendo, mi piace giocare contro tutte queste squadre diverse e girare i vostri palazzetti con tutti quei tifosi sugli spalti. A Brindisi ho trovato un bellissimo ambiente, la gente viene a vedere le nostre partite ed è sempre molto d’aiuto, ci tifa e si fa sentire anche sui social, ci incoraggia. Penso proprio che l’Italia come prima esperienza da professionista sia stata la scelta giusta, il tempo qui è sempre piacevole e il vostro cibo è davvero magnifico; infine penso mi stia servendo molto per imparare anche i diversi stili di gioco delle avversarie e dei giocatori che compongono i vari roster.
Sei il miglior tiratore della Serie A UnipolSai con il 49.4% da dietro l’arco. Come hai sviluppato e quanto hai lavorato su questo aspetto del tuo gioco?
È iniziato quando ero più giovane con mio padre che mi insegnava tutto ciò che sapeva su ogni aspetto del gioco. Quando ho iniziato a giocare al liceo, mi ha aiutato lo sviluppo fisico e da lì mi sono abituato a pensarmi in una dimensione di stretch four – un tipo di ruolo che qui in Italia soprattutto va per la maggiore – e successivamente gli allenatori hanno cominciato a farmi prendere fiducia con questo tipo di ruolo, mio padre ha nuovamente contribuito dandomi dei consigli e ho seguito quindi questo percorso per diventare un lungo che però sa tirare anche dalla distanza.
Hai trascorso parte della tua infanzia tra Belgio e Australia, hai qualche ricordo davvero importante di quel periodo?
Ero veramente piccolo quando ho vissuto in Belgio e ci sono stato tre anni, così come in Australia dove ho vissuto per quattro. Sicuramente due bellissime esperienze, perché vivere dall’altra parte dell’oceano significa sempre imparare qualcosa di nuovo e conoscere la loro cultura. Il Belgio soprattutto è stato uno dei posti che abbiamo girato a lungo negli anni in cui ho vissuto lì, mi ha aiutato a crescere e vedere determinate cose sotto altre prospettive nonostante fossi piccolo. Certamente può essere difficile vivere al di fuori degli Stati Uniti, perché magari hai la famiglia o gli amici lì, ma in questo tipo di esperienze cerchi sempre di vivere al meglio e goderti proprio la differenza nello stile di vita rispetto a quando sei a casa tua.
Sei nato e cresciuto in una famiglia che ha la pallacanestro come pane quotidiano, ma quando hai capito di voler diventare anche tu un giocatore di basket?
Quando ero piccolo adoravo il calcio e volevo effettivamente diventare un calciatore, perciò quello è sempre stato il mio primo sport. Chiaramente in Belgio, ma successivamente anche in Australia, vivere di calcio era molto più facile ed era uno degli aspetti che mi piaceva di più da ragazzino; all’età di tredici o quattordici anni poi è arrivato lo sviluppo e complice l’altezza ho iniziato a pensare che avrei potuto seguire le orme della mia famiglia, dunque lì la pallacanestro è diventata più di una semplice idea. È divertente, perché il mio sport preferito era il calcio e volevo davvero fare quello, ma poi crescendo e sviluppandomi è diventato inevitabile virare verso il basket. Non è stato nemmeno troppo complicato passare da uno sport all’altro, perché nella mia testa la concezione di questi era molto simile: sport di squadra, spaziature, tanti movimenti con e senza palla, ruoli definiti ma senza l’obbligo di rimanere inchiodati nella propria zona.
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