‘My Way’: il profilo di Overtime su coach Frank Vitucci

‘My Way’: il profilo di Overtime su coach Frank Vitucci

StorieASpicchi ripercorre la carriera fino ad ora di Frank Vitucci

Nel 1969 “The Voice” Frank Sinatra regalò al mondo una delle sue canzoni più celebri e apprezzate, My Way.
Il testo, scritto da Paul Anka per l’amico Sinatra, è sostanzialmente il racconto in prima persona di un uomo ormai giunto alla fine dei suoi giorni che, guardandosi indietro, fa un resoconto di quella che è stata la sua vita e, soprattutto, di come sente di averla vissuta.
Tributando la leggenda del New Jersey nata da immigrati italiani, in questo pezzo proveremo a fare la stessa cosa: un viaggio in quella che è stata, finora, la storia cestistica di un altro Frank, stavolta italianissimo.
Da appassionati di pallacanestro, alludiamo naturalmente al 57enne allenatore che sta guidando la New Basket Brindisi a una stagione da record: Frank Vitucci.

L’allievo raccoglie l’eredità del maestro

And now, the end is near;
and so I face the final curtain.
My friend, I’ll say it clear,
I’ll state my case, of which I’m certain.
I’ve lived a life that’s full.
I’ve traveled each and every highway;
but more, much more than this,
I did it my way.

E ora la fine è vicina;
dunque affronto l’ultimo sipario.
Amico mio, lo dirò chiaramente,
ti esporrò il mio caso, rispetto al quale sono certo.
Ho vissuto una vita piena.
Ho viaggiato su tutte le strade;
Ma ti dirò di più, molto più di questo,
l’ho fatto alla mia maniera.

Il viaggio comincia nel 1986, a Venezia, città nella quale Vitucci è nato e ha cominciato la sua carriera da allenatore professionista. Una carriera che poi lo vedrà viaggiare per le strade di tutto lo Stivale, come il protagonista della My Way di Sinatra.
L’allenatore veneziano comincia proprio alla Reyer Venezia, dove ha modo di fare da assistente a diversi storici coach italiani. Il primo in assoluto, la leggenda Tonino Zorzi. L’allenatore che vanta più panchine nella storia della Serie A (1073), il maestro del passing game e in generale un allenatore molto avanti per i concetti offensivi che predicava, a detta dello stesso Vitucci.
Ma non solo Zorzi: alla Reyer Venezia apprende molto anche da Petar Scansi, Marco Calamai, Andy Russo e Mario De Sisti. Tutti allenatori molto importanti per preparare Frank Vitucci, dopo sette anni di assistentato, alla prima esperienza da capo allenatore, sempre della Reyer. Sulla panchina lagunare Vitucci rimane per altre tre stagioni, sempre tra Serie A1 e A2. Nel 1996 però la società, in grave difficoltà economica, è costretta a chiudere i battenti e ripartire dalla Serie C2, vanificando così la promozione in A1 guadagnata sul campo dalla squadra.

Gli ottimi risultati ottenuti sul campo, tuttavia, valgono al trentatreenne Vitucci la chiamata dell’Andrea Costa Imola. La piccola ma ambiziosa realtà romagnola chiede al nuovo coach di portare per la prima volta in Serie A1 la società. Dopo una prima stagione di assestamento, al secondo anno Vitucci raggiunge l’obiettivo della promozione nella massima serie. Il traguardo viene premiato dalla dirigenza con la firma di Vincenzo Esposito, stella del basket italiano negli anni ’90 non solo per le memorabili stagioni trascorse alla JuveCaserta, ma anche per l’annata 1995/96 trascorsa in NBA con la canotta dei neonati Toronto Raptors. L’entusiasmo della piazza è alle stelle e Vitucci riesce a incanalarlo nel migliore dei modi, facendo giocare bene la squadra e togliendosi diverse soddisfazioni durante l’esperienza quinquennale in Romagna. Alla prima stagione in A1, Imola raggiunge i playoff battendo Cantù nello spareggio e riesce a vincere gara 2 dei quarti nel derby contro la Fortitudo Bologna. Nei due anni seguenti, invece, la squadra si supera guadagnandosi le qualificazioni alle coppe europee, Coppa Korac (1999/00) e Coppa Saporta (00/01). Proprio nel 2001, Frank Vitucci saluta Imola per dirigersi a Scafati e riprovare, per la terza volta in altrettanti club, a fare il salto di categoria. L’impresa non gli riesce nonostante la doppia partecipazione ai playoff.

Conclusasi la parentesi biennale in Campania, l’allenatore veneziano decide di rimettersi in gioco da vice allenatore: firma un contratto con la Benetton Treviso, squadra di vertice in Italia e in Europa, cogliendo così l’opportunità di poter collaborare con allenatori affermati anche in ambito internazionale quali Ettore Messina, David Blatt e Oktay Mahmuti. Una scelta umile, ma necessaria per dare una svolta alla sua carriera, per apprendere ancora di più, dai migliori colleghi nel Vecchio Continente.
Alla Benetton nel 2009/10, dopo cinque anni di assistentato, Vitucci torna capo allenatore. Ora ha dalla sua un bagaglio pieno di esperienze importanti da cui attingere per affermarsi come uno degli allenatori più bravi d’Italia.
La stagione successiva Frank Vitucci firma per la Scandone Avellino, dove ritrova Tonino Zorzi, alla sua ultima avventura su una panchina di Serie A. Stavolta però, è il suo primo grande maestro a fare da assistente a lui.
Il rapporto originale si è ribaltato. Il testimone è stato passato. Il cerchio si è chiuso.
A 25 anni di distanza dall’esordio in Reyer, l’allievo è pronto a raccogliere l’eredità del suo primo, grande maestro.

La Varese degli indimenticabili

Regrets, I’ve had a few;
but then again, too few to mention.
I did what I had to do
and saw it through, without exemption.
I planned each charted course,
each careful step along the byway,
but more, much more than this,
I did it my way.

Di rimpianti, ne ho avuti alcuni;
ma troppo pochi per citarli.
Ho fatto quello che dovevo fare
e ho visto di tutto, senza esenzioni.
Ho pianificato ogni percorso,
ogni passo attento lungo la strada,
ma ti dirò di più, molto più di questo,
l’ho fatto alla mia maniera.

Dopo due stagioni positive in Irpinia – in particolare la 2010/11, con Avellino quarta in classifica, in semifinale di Coppa Italia e l’ala piccola Omar Thomas premiato come MVP della stagione – Frank Vitucci è pronto a riattraversare l’Italia, stavolta da sud a nord. C’è la proposta di contratto della Cimberio Varese sul tavolo e Vitucci non se la lascia sfuggire perché il progetto di rebuilding della squadra lombarda lo affascina – solo il pivot estone Janar Talts, infatti, viene riconfermato. Insieme a Simone Giofrè, direttore sportivo del club, Vitucci può mettersi alla ricerca di giocatori funzionali alle sue idee di gioco. Il budget è relativamente modesto, ma a Varese approdano comunque giocatori dal pedigree validissimo e conoscitori del campionato italiano, come Mike Green, Ebi Ere e Dusan Sakota. A completare il quintetto base ci sono due scommesse USA da vincere, come Adrian Banks e Bryant Dunston. Dalla panchina, tanti giovani italiani da lanciare e consacrare ad alti livelli, su tutti Andrea De Nicolao e Achille Polonara. Senza dimenticare Bruno Cerella, Erik Rush e Dejan Ivanov, quest’ultimo arrivato come rinforzo per i playoff.

Proprio così: Varese si qualifica ai playoff e lo fa da testa di serie, da prima in classifica. Una cavalcata semplicemente trionfale, quella della Cimberio di Vitucci, eletto allenatore dell’anno. Decisione unanime, in quanto Varese contro ogni pronostico conduce la stagione regolare dalla prima all’ultima giornata, arrivando anche in finale di Coppa Italia, poi persa contro Siena di appena 3 punti, 77-74.
Proprio come in Coppa, anche ai playoff la Cimberio deve fare i conti con la corazzata toscana, in un’estenuante semifinale giocata al meglio delle sette partite. Varese, per stessa ammissione del suo allenatore, arriva in riserva a quella gara 7 decisiva, giocata a Masnago davanti ai propri tifosi. Lo sforzo prodotto per rimontare dall’1-3 fino al 3-3 è stato tanto immenso ed esaltante per la piazza varesina, quanto distruttivo in termini di energie residue per la squadra di Frank Vitucci. Inoltre, la Cimberio è costretta a fare a meno del suo miglior giocatore, Bryant Dunston, nell’ultimo e decisivo match di semifinale, perso 69-82. Nonostante la sconfitta, il pubblico dell’Enerxenia Arena non può esimersi dal dedicare una lunga e commovente standing ovation ai suoi eroi, definiti in una sola, perfetta parola da uno striscione esposto sugli spalti: indimenticabili.
Indimenticabili. Anche per il motivo di cui canta Sinatra nella strofa soprastante: l’aver “fatto tutto quello che doveva (e poteva) fare”. Di conseguenza, “di rimpianti ne ho avuti alcuni, ma troppo pochi per citarli”. Perché nonostante non sia arrivato un titolo che sarebbe stato meritato a coronare la stagione, l’edizione 2012/13 della Cimberio rimarrà sempre vivida nei ricordi di tutti gli appassionati di basket che ne sono stati testimoni.

Nell’estate 2013 Vitucci si separa da Varese. Dopo appena una stagione probabilmente la migliore del nuovo millennio per la società lombarda. La ragione dell’inatteso divorzio tutt’oggi non è chiara: si parlò di motivi economici, ma l’allenatore veneto negò questa versione dei fatti in un’intervista rilasciata alla stampa prima del suo ritorno da avversario a Varese, nel novembre dello stesso anno, di nuovo da allenatore di Avellino.
La seconda parentesi irpina, anch’essa biennale, è però meno entusiasmante della precedente. Allo stesso modo, le due stagioni trascorse all’Auxilium Torino tra 2015 e 2017 non presentano acuti degni di nota.
Quattro anni dopo la stagione indimenticabile che l’ha consacrato definitivamente tra i più preparati allenatori italiani, Frank Vitucci ha bisogno di una nuova sfida per tornare a divertirsi e a far divertire. È il momento di riattraversare tutta l’Italia, un’altra volta; 1114 km di autostrada separano Torino da Brindisi.

Play hard and enjoy!

Yes, there were times, I’m sure you knew
when I bit off more than I could chew.
But through it all, when there was doubt,
I ate it up and spat it out.
I faced it all and I stood tall,
and did it my way.

Sì, ci sono state volte, sono sicuro lo hai saputo
in cui ho morsicato più di quanto potessi masticare.
Ma dopotutto, quando ho avuto dubbi in merito,
ho sempre mangiato e poi sputato.
Ho affrontato tutto e sono rimasto in piedi,
e l’ho fatto alla mia maniera.

Riemergiamo dal tuffo nel passato tornando ai giorni nostri.
Ci siamo appena lasciati alle spalle il 2020. Un anno disgraziato anche per la pallacanestro italiana, dato che per la prima volta dal 1945 non c’è stato un vincitore del campionato di Serie A, sospeso a inizio marzo e non più terminato. Sono state assegnate dunque solo la Coppa Italia a febbraio e la Supercoppa a settembre, vinte rispettivamente dalla Reyer Venezia e dall’AX Armani Exchange Milano. Poi, da ottobre è ripartita la nuova stagione di Serie A che già nelle prime 13 giornate è stata ricca di colpi di scena e sorprese. Una, su tutte.
Parliamo della New Basket Brindisi, che di recente ha segnato il nuovo record societario in termini di vittorie consecutive inanellate, ben 9 (10 contando anche quella contro Roma, poi esclusa dal campionato). Il record precedente del club in Serie A1 era di 6 successi in fila ottenuti a fine 2013; un miglioramento significativo, se non clamoroso dati gli scalpi ottenuti. Specialmente in trasferta, con la squadra di Vitucci che si è imposta sui parquet proibitivi della Virtus Bologna, della Dinamo Sassari e dell’Olimpia Milano, imbattuta fino a quel momento in Italia.

Alla Segafredo Arena, la Happy Casa ha vinto di 10 segnando ben 98 punti, per poi raggiungere quota 100 punti segnati in Sardegna la settimana seguente. Contro Milano, Brindisi ha segnato 88 punti ma soprattutto ne ha concessi solo 82; pochi per una corazzata come l’Olimpia, che di media ne segna 89 sui parquet italiani. Emblematiche le due difese di squadra nel minuto finale, sul +4: “Sentite la panchina di Brindisi, difendono in 10!” – dirà Andrea Solaini in telecronaca per Eurosport, vedendo la panchina ospite in piedi, urlante, a sostenere attivamente il quintetto in campo nel finale. E infatti il semigancio di Zach LeDay non vede nemmeno il ferro, così come la tripla disperata di Kevin Punter nell’ultimo arrembaggio milanese; Darius Thompson in lunetta deve solo fissare il punteggio finale.
Proprio mentre il playmaker brindisino sta suggellando la decima vittoria consecutiva, le telecamere vanno a inquadrare Frank Vitucci che omaggia D’Angelo Harrison con un bacio accademico in fronte, liberando tutta la gioia del momento e la soddisfazione da parte di un allenatore che ammira i suoi ragazzi eseguire il piano partita e raggiungere la vetta della classifica… Divertendosi.

Il motto del coach è sempre stato Play hard and enjoy. Perché la pallacanestro nasce come gioco e non deve mai perdere il suo scopo originale: far divertire chi la pratica. Poi certo, è necessario giocare con durezza fisica e mentale per il semplice motivo che tale gioco, per molti, è al contempo un lavoro. Ma se i giocatori non si divertono non potranno mai crearsi i presupposti affinché si costruisca quel momentum che Brindisi ha cavalcato per ben dieci partite, oltrepassando i suoi limiti e le sue realistiche ambizioni, scalando la classifica fino a toccare quella vetta che sembrava proibitiva da raggiungere.
Per dirla coi versi di My Way, la squadra di Vitucci ha preso “un morso troppo grosso per poterlo masticare”. Ha fatto il passo più lungo della gamba, tant’è che la striscia vincente è stata interrotta bruscamente sei giorni dopo l’impresa del Mediolanum Forum da una grintosa Pesaro, corsara al PalaPentassuglia.
Con questo, ciò che SInatra vuole dirci è che si possono commettere errori per eccesso, ma l’atteggiamento spavaldo di chi è sportivamente più affamato e ambizioso degli altri non si può certo biasimare. Anche a costo di accorgersi, a posteriori, di essersi messi in una situazione più grande di se stessi, delle proprie reali possibilità. Anzi, siamo sicuri che ogni allenatore e tifoso vorrebbe vedere dalla sua squadra quello che ha fatto Brindisi negli ultimi tre mesi del 2020.

Firenze e Pesaro: ferite ancora aperte

I’ve loved, I’ve laughed and cried.
I’ve had my fill, my share of losing.
And now, as tears subside,
I find it all so amusing.
To think I did all that;
and may I say not in a shy way,
“No, oh no not me;
I did it my way.”

Ho amato, ho riso e pianto.
Ho avuto le mie soddisfazioni,
la mia dose di sconfitte.
E ora, mentre le lacrime si fermano,
Trovo tutto molto divertente.
A pensare che ho fatto tutto questo;
E se posso dirlo, non sotto tono,
“No, oh non io; l‘ho fatto alla mia maniera”

L’euforia derivante dal Play hard and enjoy interpretato nella sua massima espressione ha portato la città di Brindisi non solo al record delle vittorie consecutive, ma a vivere altri momenti tremendamente esaltanti.
Vitucci approda a Brindisi nel 2017 reduce dalle due stagioni torinesi; l’anno seguente lo raggiunge Simone Giofrè, il regista occulto della Cimberio Varese 2012/13. Non è una coincidenza che proprio dalla loro riunione il PalaPentassuglia si sia innamorato pazzamente della nuova squadra, dei vari John Brown, Ricky Moraschini, Ale Zanelli, Jeremy Chappell e ovviamente del capitano, Adrian Banks, anch’egli un indimenticabile in quel di Masnago. La squadra è entusiasmante, esprime un gioco spumeggiante, non teme niente e nessuno. E tutte queste prerogative le mette in mostra soprattutto a Firenze, in occasione della Coppa Italia 2019.

Brindisi si qualifica da settima forza e deve affrontare la Sidigas Avellino seconda in classifica. L’Happy Casa parte forte, ma nella fase centrale del match gli irpini mostrano tutto il loro valore portandosi avanti di 10 lunghezze a fine terzo quarto; alla squadra di Frank Vitucci serve una grande, folle rimonta, che puntualmente arriva a suon di giocate che mandano in visibilio i tantissimi tifosi pugliesi accorsi al Mandela Forum. Iconica, in particolare, la fuga in contropiede di Banks che decolla a schiacciare il 92-95 finale, per poi mostrare i bicipiti alle telecamere, suggellando l’upset e il passaggio del turno.
In semifinale l’Happy Casa incrocia il Banco di Sardegna Sassari, rivitalizzato dal recente avvicendamento Esposito – Pozzecco in panchina. Una partita poco adatta ai deboli di cuore, perché la Stella del Sud rischia di buttare all’ortiche un’eccellente partita con una gestione finale molto confusa. Ma Sassari soccombe di misura, 86-87: ciò significa che è la prima, storica finale di Coppa Italia per Brindisi, stremata dalla tensione delle due partite tesissime, ma ad un passo dal trofeo. Di mezzo, resta la Vanoli Cremona di Meo Sacchetti da battere. Anche per la squadra lombarda è la prima volta assoluta, ma dalla sua vanta maggiore esperienza rispetto agli avversari. Infatti Travis Diener, Drew Crawford e compagni non fanno sconti e trionfano 83-74. Una delusione cocente per la squadra di Vitucci, che tuttavia non si abbatte e lavora per tornare a giocarsi nuovamente l’occasione di vincere un titolo.

Anche la stagione seguente l’Happy Casa si qualifica alle Final Eight di Coppa da settima in classifica. Moraschini, Chappell e Gaffney non ci sono più, ma la squadra resta competitiva grazie a innesti come quelli di Darius Thompson, Kelvin Martin e Tyler Stone. Questa volta la Final Eight si disputa alla Vitrifrigo Arena di Pesaro, dove la squadra di Vitucci incrocia di nuovo Sassari. E anche stavolta si assiste a una partita meravigliosa, impreziosita dalla prestazione da marziano di Adrian Banks. Agent 0 mette a referto 37 dei 91 punti di squadra, trascinando i suoi in semifinale, dove li attende una Fortitudo Bologna sfibrata dal confronto contro Brescia. Brindisi schianta la Effe 78-53, avendo modo di risparmiare energie preziose in vista della finalissima contro la Reyer Venezia.
Anche questa è una finale inedita, non solo perché la settima e l’ottava classificata si ritrovano all’ultimo atto della tre-giorni, ma anche perché è la prima volta in assoluto in finale di Coppa per la Reyer, giustiziera delle due favorite principali, Olimpia Milano e Virtus Bologna.
La squadra di coach De Raffaele è Campione d’Italia in carica e sa come gestire la tensione nelle partite decisive; ma anche la squadra di Vitucci ha imparato a farlo, forte dell’esperienza dell’anno precedente. Ne viene fuori una finale vera, maschia, come vuole Venezia che è brava a non far correre ed esaltare una Brindisi encomiabile, ma mai capace di trovare quel flow necessario come l’ossigeno per far divampare il talento incendiario dei suoi atleti.
Finisce 73-67 per gli oro-granata; la Stella del Sud, ancora una volta, è costretta ad abdicare sul più bello.

È soprattutto in Coppa Italia che la città di Brindisi e Frank Vitucci hanno colto le loro soddisfazioni più grandi, ma allo stesso tempo la dose di sconfitte più difficili da metabolizzare. Nonostante ciò, l’impressione è che l’Happy Casa abbia dato fondo alle proprie energie e possibilità in entrambe le ghiotte occasioni che si è guadagnata.
Forse è mancata esperienza, forse fortuna… Di certo, non il valore.
Ed è altrettanto certo che i pugliesi ci riproveranno con ancor più determinazione e consapevolezza nella prossima edizione delle Final Eight, dall’11 al 14 febbraio 2021, a Milano. Sarà il terzo assalto consecutivo della Happy Casa al trofeo, partendo stavolta da seconda classificata. Quelle ferite ancora aperte delle battaglie di Firenze e Pesaro, Brindisi le sta leccando per ricordarsi il sapore del sangue e trarre ancora più desiderio di vendicarle, sportivamente parlando. Ci sarà da divertirsi tra un mese, al Mediolanum Forum di Assago.
E proprio perchè han dimostrato di sapersi divertire alla grande insieme, tenete d’occhio i ragazzi di Frank Vitucci.

Be true to yourself

For what is a man, what has he got?
If not himself, then he has naught.
To say the things he truly feels
and not the words of one who kneels.
The record shows I took the blows
and did it my way!

Che cos’è un uomo, che cos’ha?
Se non se stesso, allora non ha niente.
Per dire ciò che davvero sente
e non le parole di uno che si inginocchia.
La storia mostra che ho preso dei colpi
e l’ho fatto alla mia maniera.

Nel corso della sua carriera, Frank Vitucci ha dimostrato di essere un allenatore affidabile, navigato, capace di adattarsi a contesti di lavoro diversi con uguale efficacia. Un allenatore che ovunque è stato è sempre rimasto fedele a se stesso, senza mai snaturarsi, senza mai inginocchiarsi al cospetto di un avversario più forte. Al contrario, li ha affrontati tutti a viso aperto, proponendo il suo basket coraggioso, aggressivo, basato soprattutto sulla transition offence e sulla ricerca dei vantaggi da sfruttare.
Non si è mai tradito, Frank Vitucci; anche a costo di subire una serie di colpi dolorosi da incassare. Come quelle coppe sfuggite per un soffio, beffardamente, sebbene sarebbero state più che meritate.

Sollevare un trofeo da head coach di A1. Proprio questa è l’unica cosa che sicuramente manca a Frank Vitucci.
Non perché la vittoria di un titolo andrebbe a certificare la sua bravura, non ce n’è affatto bisogno e non si vince certo per questo motivo; andrebbe bensì a coronare un lungo percorso iniziato nella sua Venezia 35 primavere fa, tra il Palasport dell’Arsenale e il Taliercio, tutt’oggi casa della Reyer. Sarebbe un premio al lavoro encomiabile svolto predicando pallacanestro per tutta Italia, da Avellino a Varese, da Imola a Brindisi. Tutte città nelle quali le squadre di Vitucci vengono ricordate nostalgicamente dalle testimonianze di coloro che hanno avuto modo di viverle da vicino.
Ma se disgraziatamente non dovessero arrivare trofei ad arricchire il palmarès dell’allenatore oggi alla New Basket Brindisi, crediamo che coach Vitucci non ne farebbe un dramma. Vuoi perché finora non ha ancora avuto modo di allenare delle vere e proprie contender; vuoi perché certe grandi soddisfazioni se le sta già togliendo, a suon di record societari e di affetto ricevuto dalla gente. Perché si può scrivere la storia anche senza necessariamente alzare una coppa al cielo.

Per questo motivo, se qualcuno dovesse mai imputargli di non aver ancora vinto da capo allenatore in Serie A1,
ci immaginiamo Vitucci rispondere serenamente: “I did it my way.“
In cuor suo, a modo suo, sa di aver già vinto.
É un indimenticabile, non solo per Varese.
Sicuramente anche per la Stella del Sud
che mai si era vista brillare così luminosa
nella galassia della pallacanestro italiana.

Testo di Filippo Stasi di overtimebasket.com