Michele, sei stato uno dei protagonisti e dei giocatori più incisivi del derby ‘delle Due Torri’, vinto in volata dalla Virtus. Proprio tu che sei uno degli ex della stracittadina bolognese… È stata una partita particolarmente intensa dal punto di vista emotivo per me. La stagione trascorsa in prestito alla Fortitudo 5 anni fa, in Serie A2, mi aveva già fatto intuire quanto speciale potesse essere l’atmosfera in città nella settimana di avvicinamento a un derby così tanto sentito. Partite del genere vanno spesso oltre i reali valori in campo e di conseguenza non sono facili da vincere; è giusto rivolgere i complimenti ai nostri avversari per come si sono battuti, ma siamo contenti di aver vinto e di aver fatto gioire i nostri tifosi.
La scelta di trasferirti a Bologna, sponda Vu nere, ha inevitabilmente comportato un ruolo diverso all’interno della squadra. Un ruolo che ti richiede di restare sempre pronto e concentrato, pur non venendo sollecitato troppo spesso e non sempre con tanti minuti a disposizione per far vedere le tue qualità. Come ti sei adattato alle nuove richieste? La vivo come una sfida che mi sta piacendo e stimolando molto. Quando ho scelto la Virtus sapevo a cosa sarei andato incontro. All’inizio ho fatto un po’ di fatica, com’è normale che sia quando si approccia un’esperienza nuova e così diversa dalle precedenti. Però sento di star migliorando molto e questo è possibile anche grazie al lavoro che svolge il nostro staff tecnico, che nell’analizzare i video ad esempio facilita la mia comprensione in merito a come devo muovermi in campo, quali sono le richieste del coach e che tipo di scelte fare in attacco per mettere il più a nudo possibile i punti di debolezza della nostra diretta avversaria. Se riesco a farmi trovare pronto quando vengo chiamato in causa forse è proprio perché arrivo meglio preparato ad entrare in campo – indipendentemente dal momento della gara e dal minutaggio che mi sarà concesso – grazie al lavoro svolto non solo da me, ma da tutta l’organizzazione. Si comprende il blasone di un Club come la Virtus proprio da come noi atleti veniamo accompagnati alla partita: si presta massima attenzione a tutto, dai micro dettagli che emergono dalle analisi dei video, fino ad arrivare al macro, con i comfort che non mancano nemmeno quando dobbiamo viaggiare in trasferta. La società mette infatti a nostra disposizione un charter privato per permetterci di spostarci comodamente.
Sei circondato da compagni di squadra dotati di qualità decisamente fuori dal comune. Tu che vedi allenarsi ogni giorno campioni come Belinelli e Teodosic , o giocatori affamati come Pajola… C’è qualcosa che li rende speciali e che magari non è sotto gli occhi di tutti, ma solo di chi ha a che fare con loro tutti i giorni? Ho la fortuna di allenarmi con una serie di professionisti incredibili, non solo quelli citati. ‘Pajo’ è veramente speciale per quello che riesce a fare in difesa. Non mi riferisco solo all’energia e all’intensità fisica che è in grado di mettere ogni giorno sul parquet; più che altro, all’ intelligenza, all’astuzia che ha. È scaltro, usa trucchi da veterano dei parquet per rendere la vita impossibile al suo diretto avversario… Ma ha ancora solo 22 anni. È incredibile. È molto più giovane di me, ma ha doti davvero impressionanti che io in primis cerco di rendere mie, anche perché la richiesta principale che coach Scariolo rivolge nei miei confronti è proprio quella di non far mai mancare pressione sulla palla. Su Teodosic, che dire? Ogni volta mi fa sentire un privilegiato che può godersi lo spettacolo senza dover pagare il biglietto… È un fuoriclasse. Così come ‘Beli’: potergli passare palla quando esce dai blocchi mi fa quasi strano! SI capisce che sono due grandi campioni anche per la quantità di tempo che dedicano allo stretching e alle terapie per aiutare il loro corpo a recuperare più velocemente. Abbiamo delle individualità incredibili, ma quel che importa davvero è che tutte le voci del coro siano sulla stessa lunghezza d’onda, cosa che finora sta avvenendo.
A quale giocatore ti sei ispirato maggiormente negli anni in cui eri bambino e sognavi di diventare un cestista professionista? Un campione che ho venerato da ragazzino è stato Sarunas Jasikevicius. Lo vedevo giocare in televisione, prima al Barcellona (Club che oggi allena), poi al Maccabi, anni dopo al Panathinaikos… Ha vinto in tutte queste squadre, da leader, illuminando i compagni e il parquet con i suoi lampi di classe e di genio. Guardavo a lui come al playmaker perfetto, mi faceva impazzire per le giocate che era in grado di fare. E oggi, giocare con quel tale di nome Milos – che porta grosso modo le stesse stimmate in termini di playmaking e talento naturale – è davvero impagabile…
La Coppa Italia 2019 vinta con la Vanoli Cremona è il ricordo sportivo più lieto che hai fino ad oggi? A livello di Club sicuramente. Quel trofeo è stato tanto speciale per la società quanto inaspettato, sebbene il gruppo fosse molto coeso e allenato da un coach esperto come Meo Sacchetti. Nessuno avrebbe puntato su Cremona, prima dell’inizio delle Final Eight, eppure… Lo sport sa regalare storie ed emozioni incredibili. Ciò che personalmente mi ha fatto più piacere e che mi è rimasto impresso di quella stagione è stato il coinvolgimento emotivo che la squadra riuscì a creare con i tifosi e la città. Fa molto piacere a un giocatore quando si viene a creare un certo tipo di affezione con l’ambiente che permea la squadra, e a Cremona – complice quel magico successo in Coppa Italia – fu davvero speciale riaccendere la passione per la pallacanestro tra la gente. Però un altro trofeo di cui vado fierissimo è l’Europeo Under 20 vinto nel 2013 in Estonia; penso sia stato quello il momento più esaltante in assoluto nella mia carriera. Non che abbia vinto poi molto finora (ride, ndr); spero che il futuro mi riservi tante altre belle emozioni a mettermi più dubbi, quando tra qualche anno magari mi si farà la stessa domanda.
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