Malcolm Delaney attese tutta la sera di udire il proprio nome. Erano i draft NBA del 2011 e lui aveva appena terminato la sua carriera universitaria a Virginia Tech con quattro anni spettacolari. Da sophomore era stato terzo quintetto All-ACC, da junior era stato primo quintetto e con 20.2 punti per gara era stato capocannoniere di una delle migliori conference d’America. Da senior, aveva segnato 18.7 punti per gara ed era stato ancora primo quintetto della ACC oltre che secondo realizzatore. Nonostante un pedigree di elevata qualità, tuttavia, nessuna squadra NBA pronunciò il suo nome e quello era anche l’anno del lockout che avrebbe poi ridotto la stagione a 66 partite cancellando l’attività estiva. Fu così che Delaney accettò immediatamente l’offerta dei francesi di Chalon senza aspettare che il lockout finisse e il mercato si facesse vivo. Ma da quel momento ha sempre giocato come se avesse qualcosa da dimostrare, quello che in America definiscono “a chip on the shoulder”.
E’ così che dopo aver vinto il titolo francese (e la coppa transalpina) nel 2012, Delaney ha vinto quello ucraino (Budivelnik Kiev, e venne incluso nel primo quintetto di Eurocup) nel 2013 e quello tedesco (Bayern, da MVP della Lega) nel 2014. Tre titoli nazionali in tre anni che l’hanno condotto a Kuban dove nel 2016 ha giocato le Final Four di EuroLeague in una squadra che allineava anche Anthony Randolph, Matt Janning, Chris Singleton e Victor Claver. In quella stagione, Delaney è stato incluso nel primo quintetto di EuroLeague dopo un anno da 16.3 punti e quasi sei assist di media. Alle Final Four di Berlino, in semifinale contro il CSKA Mosca, Delaney ha segnato 26 punti con 12/12 dalla lunetta, sfiorando il miracolo che era riuscito in semifinale quando la Lokomotiv ha eliminato in cinque partite il Barcellona e lui ha avuto 15.4 punti e 4.8 assist di media (venti delle ultime 21 partite stagionali le ha chiuse in doppia cifra).
Cinque anni d’Europa da grande protagonista, vincendo tantissimo, l’hanno portato a coronare il suo sogno. Sono stati gli Atlanta Hawks a trasformare Delaney in un giocatore NBA. Ad allenarlo era Mike Budenholzer, attuale coach di Milwaukee, dell’albero genealogico di Gregg Popovich di cui è stato assistente in quattro titoli NBA. Nel primo anno gli Hawks vinsero 43 partite, ma la stagione successiva fu quella della ricostruzione che significa spazio ai giovani e tante sconfitte. Di qui il volo verso la Cina, a Guangdong, e poi il ritorno a Barcellona, per Delaney che due volte è stato allenato da Svetislav Pesic, prima a Monaco e poi a Barcellona. Ma in mezzo è successo tanto di altro.
Delaney viene da Baltimore, figlio di Vince sr (che ha giocato a basket al Vorhees College) e Pat, ha frequentato la Towson Catholic High School, la stessa a suo tempo frequentata da Carmelo Anthony (e da un altro ex Olimpia, Sidney Johnson), ed è cresciuto assieme al fratello maggiore Vince jr, un ex free safety allo Stonehill College. I due sono inseparabili come gemelli: insieme adottarono anche un motto, FOE (Family Over Everything), che Malcolm ha scelto come nickname sui social media e ambedue hanno tatuato sul corpo. “Sono cresciuto in una zona difficile di Baltimore, i miei genitori però sapevano che mio fratello sarebbe stato un’ottima guida per me e hanno rispettato il fatto che fosse lui a tenermi lontano dai guai”, ha raccontato Delaney.
Dopo il liceo, andò a Virginia Tech, una scuola dedita al football, ma parte di una conference altamente competitiva e con grande esposizione, la ACC. “Avevo visto solo la città fino ad allora, Virginia Tech era un posto differente che mi ha aiutato a concentrarmi su quello che serviva”, ha spiegato in seguito. Ha giocato 136 partite in quattro anni di cui 125 in quintetto, tutte quelle delle ultime tre stagioni, che avesse accanto un playmaker o una guardia come Erick Green (che ha giocato in EuroLeague a Siena, Valencia e Fenerbahce). Nel 2010 aveva pensato di andare nella NBA dichiarandosi per i draft, ma senza assumere un agente in modo da poter tornare sui suoi passi, cosa che puntualmente fece per giocare il quarto anno negli Hokies di Coach Seth Greenberg. Voleva giocare nel Torneo NCAA, ma non ci fu modo, dovette accontentarsi del NIT, ma non prima di aver battuto la numero 1 del ranking dell’epoca, Duke, piena di futuri giocatori NBA alla sua quarta partita consecutiva senza uscire mai dal campo (nella sua ultima gara al college, persa contro Wichita State, Delaney ha segnato 30 punti in 43 minuti di impiego).
La NBA era il suo sogno, come per tutti i ragazzi americani, per cui è intuibile che avesse toccato il cielo con un dito quando nell’estate del 2016 venne informato della proposta biennale degli Atlanta Hawks. “Realisticamente, sapevo di valere la NBA e anche che, ai tempi del draft, non sarei stato scelto. Sapevo che avrei dovuto dimostrare tutto”, dice Delaney. Con il contratto in mano, tornò a casa a festeggiare insieme agli amici e ovviamente all’inseparabile Vince. E la sua vita prese una direzione inattesa.
La sera dei festeggiamenti, a Washington, mentre rientravano a casa, su una highway il fratello Vince Jr venne colpito in cinque differenti punti da una raffica di colpi sparata casualmente verso la loro vettura. All’ospedale, gli salvarono la vita, ma non l’uso delle gambe. “Sono passato dal giorno più bello al più brutto della mia vita nel giro di 48 ore, ma il basket mi ha aiutato a superare il momento”, ha detto Malcolm a ESPN. La prima volta che Vince l’ha visto giocare nella NBA, a Washington, prima della partita gli chiese un regalo personale: una schiacciata. Non una cosa semplice per un point-man di 1.90 con un minutaggio limitato. Eppure, è successo. Con nove minuti da giocare nel secondo quarto e Washington in attacco, Delaney ha intuito un passaggio dal post basso verso il suo uomo, sul perimetro. Con perfetta scelta di tempo, ha messo la mano sulla palla e si è indirizzato subito in fuga dalla parte opposta, in invidiabile solitudine. Ha schiacciato davvero!
Ma la cosa più importante è che Malcolm Delaney non ha mai dimenticato da dove venisse. Nella zona di Baltimore in cui è cresciuto, i bambini vanno a scuola con cappotti e cappelli perché non c’è riscaldamento. Delaney ha donato migliaia di indumenti invernali per aiutare i ragazzi a vivere l’attività scolastica nel modo più confortevole possibile, “perché pretendiamo che imparino sui banchi, ma non puoi farlo in quelle condizioni, se hai freddo l’inverno o magari hai troppo caldo l’estate. All’inizio aiutavo senza farlo sapere, ho anche organizzato una squadra estiva del circuito AAU, poi mi hanno spiegato che usando il mio nome sarebbe stato più facile coinvolgere altri. Anche Aaron Maybin, un giocatore di football cresciuto nella stessa area, l’ha fatto. Baltimore è un posto difficile e i ragazzi hanno bisogno di aiuto”.
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