“Ho iniziato ad avvicinarmi al basket molto presto, a 4 o 5 anni. Ho avuto la fortuna di avere mio nonno che era dirigente della squadra di Bergamo quindi mi portava alle partite la domenica. Poi gli ho chiesto di portarmi anche a qualche allenamento. Direi che lui, mio nonno, ha avuto un ruolo centrale nella mia scelta”. Tutto è iniziato con una conversazione con il nonno. Poi, Diego Flaccadori è diventato un prospetto molto promettente in Italia. Giocando a Bergamo, ha affrontato le giovanili dell’Olimpia Milano così tante volte da perdere il conto. Ed era bravo. Talmente bravo, che nel 2012 ha giocato con la Nazionale agli Europei Under 16 di categoria. Due anni dopo, ha giocato un Europeo Under 18 di altissimi contenuti, 16.1 punti di media a partita, oltre a 5.3 rimbalzi. Era una guardia, una delle migliori d’Europa nella sua fascia d’età.
L’Olimpia a quel punto gli aveva già offerto una possibilità. C’erano le Final Four di EuroLeague a Milano nel maggio del 2014. La squadra Under 18 doveva prendere parte al tradizionale torneo junior, un evento altamente competitivo, e gli ha offerto un posto nella propria squadra. Era in prestito, ma non si sa mai. “È stata una bellissima esperienza – racconta -, anche perché ricordo che giocandosi durante Final Four del 2014, ci hanno dato la possibilità di vedere le partite. A quell’età vestire la maglia dell’Olimpia era già qualcosa di grande, e per di più ho visto le Final Four. È stato fantastico, un’esperienza indimenticabile”.
Flaccadori fece bene anche in campo, così bene che forse si sedette accanto al telefono nei giorni seguenti in attesa di una chiamata che non è mai pervenuta. “No, era un’opportunità, quindi sono arrivato ben preparato e sì, ho fatto tutto bene. Ma ho capito quale tipo di percorso avrei dovuto seguire. Ce l’avevo già ben chiaro in testa, quindi in sostanza mi sono goduto l’esperienza”. Non ha rimpianti. Ha interpretato la parte; ha aiutato la squadra a vincere un paio di partite ed è andato avanti. È un ragazzo intelligente; aveva 18 anni e tanto bisogno di giocare contro giocatori esperti, ma con minuti a disposizione.
Così è andato a Trento, una squadra allora emergente. “Ero un ragazzino e sono diventato adulto. Trento ha significato molto per me, ho trascorso lì i miei anni formativi. È stato decisivo e all’inizio anche molto duro. Ho dovuto adattarmi ai ritmi di un giocatore professionista. E ci è voluto tempo. Una volta che ho preso il mio ritmo, tutto è stato molto divertente. Lo è ancora oggi.” In breve, ha aumentato le responsabilità, i minuti di gioco e le partite vinte. Trento è arrivata a giocare due volte la finale scudetto del campionato italiano, la seconda fu proprio contro Milano. Nel 2018. “Allora ero una guardia, giocavo solo da guardia, ed ero in competizione per i minuti nel ruolo con Shavon Shields. Siamo stati fortunati ad averlo, a Trento. A quel tempo, c’era molta competitività tra noi durante gli allenamenti. Sono sicuro che abbia aiutato entrambi a migliorare. Shavon era un ragazzo molto determinato a lavorare e migliorare ogni giorno. L’apice è stata la serie finale con Milano”. Quell’epilogo fu amaro per Diego. Aveva un problema di salute e non riuscì a giocare.
Alla fine dell’esperienza di Trento, si è trasferito al Bayern Monaco. Troppo presto, forse? “No, penso che fosse il momento giusto per andare a Monaco. Era il tipo di esperienza che volevo davvero fare. Poteva andare meglio, ma poteva anche andare peggio. Però sono uscito da quei due anni con la piena consapevolezza di cosa avrei potuto diventare, e ho sfruttato quella consapevolezza quando sono tornato a Trento. A quel punto sapevo cosa avrei potuto essere come giocatore”. Per ironia della sorte, anche a Monaco ha incrociato l’Olimpia nei playoff di EuroLeague nel 2021, l’epica serie terminata in cinque partite con la “murata” di Kyle Hines che ha proiettato Milano alle Final Four. “Quando sono partito da Trento ero guardia tiratrice – ricorda -, nient’altro. Durante la mia permanenza a Monaco, il mio secondo anno, con l’allenatore abbiamo deciso di spostarmi nel ruolo di point-man. Adesso, sono molto più playmaker di quanto lo sia mai stato”. Per il suo sviluppo è stato un passo enorme. È passato dall’essere una guardia tiratrice sottodimensionata a playmaker alto. Ma dopo due stagioni è tornato al punto di partenza, a Trento.
Non proprio in realtà. Quando se n’è andato era un giovane promettente, quando è tornato era un titolare, un leader della sua squadra, un giocatore di Eurocup almeno con qualche convocazione in Nazionale. Non solo quello. Quando è partito da Trento la prima volta era mancino e poi è diventato… destro? Com’è stato possibile? “È stato un cambiamento che non si vede spesso, soprattutto quando hai 24 o 25 anni. Durante i giorni infelici del Covid, ho pensato che per me ci fosse l’opportunità di fare qualcosa che avevo già in mente. Volevo fare quel cambiamento da tempo, ma non c’era mai tempo per farlo. Quando ho capito che ci saremmo fermati per quattro o cinque mesi, ho colto l’occasione. Pensavo che, se le cose fossero andate male, avrei sempre potuto tornare a tirare con la mano sinistra. Ogni tanto provo di nuovo a farlo, ma ho cambiato completamente l’impostazione di tiro. Quindi, appena ci provo, avverto un crampo alla spalla. Adesso, non ci provo nemmeno più. Sicuramente parlando con i compagni, con gli avversari, penso che mi dia un vantaggio. Perché è vero che mi piace andare a sinistra, ma poi tiro con la mano destra. Marcarmi diventa più complicato. Cerco di approfittarne”.
Ora Flaccadori è tornato in EuroLeague, più anziano e maturo, più esperto: è stato uno dei migliori giocatori italiani degli ultimi due anni, come realizzatore, come passatore, come giocatore complessivamente solido e competitivo, con maggiore consapevolezza di ciò che è che ci si aspetta da lui, di come può aiutare una squadra come l’Olimpia. “Sinceramente penso che questo sia il momento perfetto della mia carriera per approdare all’Olimpia, per venire in un club come questo. Durante i miei due anni a Monaco ho assaggiato cosa significhi giocare per una squadra di EuroLeague. So cosa devo fare ogni giorno per rimanere costante durante tutto l’anno ed evitare gli alti e bassi. Quindi mi sento pronto. Individualmente penso di poter aiutare l’allenatore, la squadra a vincere quante più partite possibili. Vogliamo vincere trofei e questo è il mio obiettivo. Voglio alzare i trofei alla fine, e più vai avanti con la carriera e più vuoi vincere. Ho questa esigenza. Quindi ho grandi aspettative per me individualmente e per la squadra”.
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