Legabasket, Roberto Allievi: Il professionismo è un fardello pesante

Sotto la sua Presidenza si sancisce una svolta storica per il basket italiano e cioè il passaggio al professionismo

Prima Commissario Straordinario della Lega Basket dal 1 aprile 1994 dopo le dimissioni di Giulio Malgara dalla Presidenza poi dal 10 ottobre dello stesso anno Presidente di Lega, Roberto Allievi (nella foto a destra con Toto Bulgheroni e Sandro Crovetti) fa parte della tradizione canturina che ha visto la famiglia Allievi con suo padre Aldo alla guida della società che negli anni ‘70 e ‘ 80 ha dominato in Italia e in Europa costituendo un vero e proprio modello.
Sotto la sua Presidenza si sancisce una svolta storica per il basket italiano e cioè il passaggio al professionismo, ufficializzato dalla Assemblea generale della Fip tenutasi a Ostia il 9 luglio 1994 e che preveda la applicazione alla Serie A della legge ‘91, sull’esempio di quanto già era avvenuto in altri sport come il calcio, il ciclismo motociclismo e pugilato.
Allievi ricorda così quella storica riforma insieme alla quale fu varata anche la riforma dei campionati: sino al 1994 A1 e A2 si incrociavano mentre dal campionato 1994-95 fu eliminato l’interscambio nel corso della stessa stagione con l’abolizione dei playout con l’obiettivo di arrivare ad una divisione sempre più netta tra i due campionati.

“Se mi chiedete, a distanza di 25 anni, se spingerei ancora per questa scelto onestamente non so come rispondere: sono rientrato da un anno nel basket nel nuovo Consiglio di Amministrazione della Pallacanestro Cantù e mi rendo conto di come il professionismo rappresenta certo un fardello pesante per club che si reggono solo sulle sponsorizzazioni e sugli incassi ma a quel tempo sembrò a tutti, compresa la Fip, necessario, direi quasi obbligato con obiettivo una sempre maggior professionalizzazione di un movimento che era comunque in salute. La svolta nacque dalla spinta dei maggiori club come la Benetton Treviso che richiedevano un adeguamento delle regole del movimento ai nuovi tempi, alla luce anche dell’ingresso di gruppi industriali e di multinazionali importanti: era necessario ad esempio avere maggiore chiarezza nel rapporto con i giocatori con cui fu siglato un nuovo accordo che dava loro maggiori garanzie ma che tutelava anche i club prevedendo doveri e adempimenti ben precisi da entrambe le parti. Ma soprattutto entrare nella legge 91 obbligava le società, trasformandole in società di capitali, a professionalizzarsi, introducendo tutte le regole tipiche delle aziende, a partire dalla certificazione dei bilanci da parte dei revisori. A mio avviso le ragioni di fondo di quella svolta restano valide: vi era ad esempio quella di attribuire un valore al capitale giocatori che poi purtroppo sarebbe stati vanificati dalla sentenza Bosman: è stata lei a disincentivare gli investimenti sui vivai provocando la caduta del vincolo che rappresentavamo la possibilità per i piccoli i club di rientrare degli investimenti fatti nei vivai. A quelle regole noi come Lega ne unimmo poi altre; ad esempio quella che prevedeva come, per fare mercato, di colmare con una fidejussione l’eventuale disavanzo esistente tra previsioni di entrate e di uscita. ripeto, tutto tendeva ad una sempre maggiore trasparenza del movimento e ad attribuirgli un assetto più corretto: credo che ci riuscimmo irrobustendo le società che facevano parte della Lega”.

Una scelta difficile alla quale qualche voce in Assemblea si oppose (a quel tempo la Lega era ancora composta dalle società di A1 e A2): “Ricordo Gianmaria Carasso di Rimini che era tra i più contrari ma anche Angelo Rovati che guidava il club di Forlì e che sarebbe poi diventato Presidente di Lega dopo di me sollevava perplessità sulle maggiori spese che le società avrebbero dovuto affrontare: alla fine la maggioranza decise per l’adeguamento al quale era favorevole anche la Fip guidata da Gianni Petrucci. Io stesso ne ero convinto perché, nonostante il periodo d’oro contrassegnato dall’era De Michelis stesse esaurendosi, potevamo contare sia come Lega sia come club su importanti sponsorizzazioni anche oltre l’attuale milione di Euro grazie anche alla grande visibilità televisiva che il movimento poteva garantire. E poi vi erano gli introiti che venivano dal contratto televisivo che, pure, due anni prima fu faticoso rinegoziare nonostante il Presidente fosse una persona come Giulio Malgara che come presidente dell’Upa (Unione Pubblicitari Associati) era in grado di portare un grande peso sul tavolo delle trattative ma che comunque confermava come il prodotto continuasse a crescere come interesse”.
L’impegno della Lega fu quello di accompagnare i club in una crescita sempre più necessaria in un periodo di grandi cambiamenti: “Impostammo un importante lavoro di aggiornamento con le società soprattutto sul marketing che doveva servire ai club per affrontare nuove sfide in questo campo e spingerle ad approcciare le aziende sponsor con maggiori strumenti e all’avanguardia. Le aziende non entravano più nel basket solo spinte dalla passione, richiedevano un approccio sempre più aziendale e questo richiedeva a noi come Lega e anche ai club strategie di marketing precise. Iniziammo ad esempio a raccogliere i dati sulla esposizione tv delle nostre gare, fondamentali per convincere le azienda ad investire nel basket”.

Un anno dopo quella svolta storica che doveva portare ad una sempre maggiore stabilità, il movimento ricevette un pesante colpo dalla Legge Bosman: “Quella ha massacrato soprattutto le piccole società come la nostra a Cantù. Dove eravamo stati capaci di compiere imprese importanti, anche in campo internazionale con la conquista di due Coppe dei Campioni, seguendo un modello e un progetto ben preciso: grandi investimenti nel settore giovanile, con la costruzione del college dove crescere talenti che arrivavano da tutta Italia: fummo bravi ma anche fortunati ma da Marzorati a Riva, da Innocentin a Bosa e a Cattini, tutto era frutto di un impegno e di un progetto ben preciso che garantiva sostenibilità e che durò sino alla metà degli agli anni ‘90. Con la Bosman crollò tutto, i giocatori alla fine del contratto erano liberi e le società divennero sempre più demotivate a curare i loro settori giovanili”.

Il grande rammarico di Allievi è stato piuttosto la mancata piena attuazione di un piano palazzetti che poteva contare sulla legge degli Stadi che, nata sulla spinta dei Mondiali del Calcio del ‘90, avrebbe potuto costruire finalmente una nuova generazione di palasport: “E’ un mio grosso rimpianto: ricordo come quella legge mettesse a disposizione ingenti risorse che avrebbero potuto portare a coprire quasi interamente i cosi per la costruzione di nuovi impianti e fu invece sfruttata in modo poco organico con qualche eccezione. Ad esempio Il palasport di Desio nel quale disputiamo le nostre gare interne, fu costruito proprio grazie a quei finanziamenti: ho avuto modo di vedere nelle settimane scorse in un incontro con il sindaco di Desio il piano economico grazie al quale fu costruito in quegli anni e in cui il Comune mise pochissime risorse. In altre realtà, come ad esempio a Cantù, vi furono invece difficoltà perchè si arrivasse a delibere che lo inserissero in un piano strategico e dessero il via ai lavori tanto che l’operazione del nuovo palasport abortì.”