Nella cultura popolare, sarà capitato a molti di sentire parlare di “seconda giovinezza”, in qualunque forma essa si possa manifestare. È complesso, visti i ritmi a cui i cestisti sono abituati, che ciò accada nella pallacanestro, o perlomeno è difficile che questa fantomatica nuova versione di un giocatore arrivi dopo anni in cui il suo rendimento è stato condizionato da fattori fisici, mentali, tecnici.
Nel panorama cestistico attuale, è decisamente più comune osservare figure in grado di mantenere una determinata continuità piuttosto che elementi in grado di ripartire da zero fino a toccare il cielo, quando hanno intrapreso ormai da qualche anno il viale del tramonto. Per fortuna, però, Cicerone ci ha spiegato come ogni regola abbia un’eccezione che va a confermarla.
L’inizio di stagione di Andrea Cinciarini, 35 anni soffiati sulla torta il 21 giugno scorso, è un’eccezione ben più che calzante nella regola della mancanza di candidati alla sfida “Sfruttare al massimo una seconda vita cestistica”. Tornato nella Reggio Emilia con cui è andato a centimetri di distanza da uno Scudetto storico nel 2015, l’ormai ex capitano dell’Olimpia Milano tornerà a giocare sul parquet del Mediolanum Forum nella prossima giornata di campionato.
E le motivazioni per fare uno sgambetto all’unica squadra finora imbattuta in Serie A stanno tutte nel pensiero che l’ha portato a intraprendere la strada del ritorno, dai biancorossi lombardi a quelli emiliani:
“Innanzitutto, i sei anni di Milano per me sono stati meravigliosi, sono stati veramente bellissimi. Diciamo che sono arrivato a questa scelta nel momento in cui dentro di me sentivo la voglia di giocare, di essere ancora protagonista. Non c’erano le condizioni per farlo a Milano: l’ultimo anno ho giocato poco, quando entravo in campo cercavo di dare il massimo di me stesso ma ovviamente non avevo a disposizione tanti minuti. Quindi, dentro di me c’è stato quel fuoco dentro che mi ha spinto a fare questa scelta, da cui poi si è aperta la porta Reggio Emilia: mi piacevano il progetto e il programma della società; dunque, ho accettato di tornare a vestire questi colori”.
Ritorno (temporaneo) al passato per il numero 20, dunque, che all’ombra della Madonnina ha alzato al cielo nove trofei e vissuto in parte integrante tre progetti tecnici tra Repesa, Pianigiani e Messina. Cinque anni in cui si sono alternate gioie e dolori, entusiasmo e disillusione, voglia di essere ancor più competitivi anche in campo internazionale e sconfitte beffarde dentro i confini. Andrea Cinciarini è sempre rimasto lì, e non si è fatto trovare impreparato quando la richiesta di alzare l’asticella per trascinare la squadra è stata recapitata alla sua porta. Era il 2018, l’anno del secondo (e ultimo, per ora) trionfo in campionato di Milano.
Il trofeo e il momento preferito del Capitano, tra le mille istantanee della sua avventura meneghina: “Il secondo Scudetto per me ha rappresentato tantissimo, perché da febbraio in poi Pianigiani mi mise titolare dopo l’infortunio di Theodore, in seguito alla Coppa Italia persa malamente a Cantù, e da lì in poi svoltammo sia come atteggiamento che come vittorie: mi pare che vincemmo dieci partite di fila in campionato, e anche in Eurolega avevamo ripreso ritmo. Ai playoff è stata una gran cavalcata, con una finale molto bella contro la Trento di Shavon Shields: Gara 5 è stata meravigliosa, conclusa con la stoppata di Goudelock.
La vittoria di quello Scudetto è stato un momento indelebile, la punta più bella dei sei anni milanesi. Senza dimenticare che ho vinto nove trofei e l’anno scorso sono arrivate le Final Four di Eurolega: quelle di Milano sono state tutte annate importanti, con tanti ricordi stupendi, tante vittorie ma anche tante sconfitte. Di sicuro, però, quel secondo Scudetto è stato un momento veramente importante per me”.
Sul parquet del Mediolanum Forum, come anticipato, sono stati due i trionfi in campo nazionale per Cincia, nel 2016 e nel 2018. L’estate precedente alla sua prima affermazione con Milano, però, arrivò la tragedia sportiva al termine di un climax di emozioni senza precedenti per la pallacanestro a Reggio Emilia. Il 26 giugno 2015, al termine di 40’ competitivi – è un grande eufemismo -, il PalaBigi è un concerto di silenzi, mentre la Dinamo Sassari si appresta a incidere il proprio nome nella storia del basket italiano. E Andrea Cinciarini, che quella sera era in campo, battagliero come sempre, cosa avrebbe cambiato di quella serie finale, tutta fuochi d’artificio e tensione?
“Onestamente… non cambierei nulla. Se potessi cambiare qualcosa, siamo stati parecchio sfortunati in termini di infortuni. Non abbiamo quasi mai giocato al completo, Diener è rientrato dopo, in semifinale c’era gente fuori. Ho sempre detto che è mancata un po’ la ciliegina sulla torta di un’annata incredibile, di una stagione straordinaria, in cui abbiamo fatto un gran percorso nei playoff: sotto 2-1 a Brindisi con Gara 4 a Brindisi, l’abbiamo ribaltata e vinto 3-2, sotto 3-2 in Venezia in semifinale, l’abbiamo ribaltata e vinta a Gara 7 a Venezia. Con Sassari è stata una serie clamorosa, meravigliosa, bellissima: potevano vincerla entrambe le squadre. Ha vinto Sassari e ho ovviamente il rammarico c’è stato, ed è stato anche tanto, però non cambierei niente di quello che abbiamo fatto. Ho fantastici ricordi anche della stagione precedente con la vittoria dell’EuroChallenge a Bologna davanti ai nostri tifosi… sono stati 3 anni davvero importanti in quel di Reggio Emilia, in cui eravamo partiti con l’obiettivo salvezza e poi abbiamo raggiunto i playoff perdendo 4-3 contro la Virtus Roma di Gigi Datome. Poi il secondo anno abbiamo perso con la Siena che è arrivata al fotofinish contro Milano. L’anno dopo la finale Scudetto: abbiamo costruito qualcosa di grande. Sono solo ottimi ricordi quelli che ho in quella parentesi”.
Una squadra ricca di talento, quella Reggio Emilia guidata da Max Menetti in panchina: nomi come quelli di Achille Polonara, i gemelli Lavrinovic, Drake Diener, Amedeo Della Valle e Rimantas Kaukėnas hanno segnato pagine importanti del nostro basket. Nonostante siano passati solamente sei anni, sembrava di parlare di un’altra era per il panorama cestistico italiano, che spesso ci abitua a rivoluzioni e cambi rapidi di scenari per buona parte delle compagini del campionato.
Lo stesso è valso per Reggio Emilia, che ora sta cercando di tornare competitiva con un roster ricco di mine vaganti. Tra di esse, spuntano anche in ottica Nazionale i nomi di Leonardo Candi e Mouhamet Rassoul Diouf, da quest’anno compagni di squadra di un veterano come Andrea Cinciarini, che spende ottime parole per entrambi e per il futuro dell’Italbasket:
“Quando Leo è venuto la prima volta in Nazionale ho cercato subito di aiutarlo e si è instaurato immediatamente un ottimo feeling con lui. Poi lui è come se avesse preso il mio posto a Reggio Emilia e ora sta facendo un percorso di crescita molto importante. Spero per lui che possa arrivare a livelli più alti: magari un giorno giocare l’Eurolega ed essere protagonista nella massima competizione che al momento c’è in Europa. Candi è un ragazzo che ha tanta voglia di lavorare: gli piace il basket, ha passione e sicuramente i margini di miglioramento sono tanti. Questa per lui è una stagione fondamentale, perché alla fine dell’anno sarà free agent e potrà scegliere ciò che è meglio per il prosieguo della sua carriera. Quello che gli auguro e quello che posso dargli come consiglio è di non perdere mai la passione e la voglia di migliorare che ha. Di fidarsi ed essere sempre sicuro di sé. A volte tende a prendersi non dico delle pause, però sicuramente a non essere continuo. Ma questo succedeva anche a me tanti anni fa: siccome è una cosa che ho provato anche io sulla mia pelle, il consiglio è quello di non accontentarsi mai. Anche se fai una partita, un mese, due mesi bene… l’obiettivo è cercare di avere la continuità nel rendimento giorno dopo giorno per tutta la stagione. Questo lo costruisci in allenamento: è importante avere sempre la stessa fame in ogni allenamento. Per quanto riguarda Momo, può essere parte integrante della Nazionale italiana nei prossimi anni, perché è un lungo giovane con ampi margini di crescita e miglioramento. Anche lui ha tanta voglia di imparare, di migliorare e progredire. Ha un allenatore molto tosto in questo momento in Coach Caja, che però lo sprona sempre a fare meglio: gli sta tanto sotto per cercare di farlo migliorare. I giovani possono e devono anche sbagliare ovviamente, perché manca l’esperienza. Però Diouf ha una buonissima mano, un grande fisico e soprattutto ha voglia: voler giocare e venire fuori è fondamentale secondo me nei giovani. Mi auguro che sia un punto fermo per tantissimi anni, visto che al momento siamo un po’ carenti nel reparto lunghi come Nazionale. Parlando dell’Italbasket in sé, diciamo che si è fatto un Preolimpico importantissimo con una vittoria straordinaria a Belgrado e dei Giochi Olimpici ancora migliori. C’è una squadra vera, ci sono tanti giovani che stanno venendo fuori anche nel campionato italiano: tanti connazionali che stanno facendo i protagonisti, penso a Gaspardo di Brindisi o a giovani come Spagnolo di Cremona, oltre ai 12 che hanno partecipato alle Olimpiadi. Il bacino si sta allargando, gli italiani possono essere protagonisti non solo qui da noi, ma anche in ambito europeo. Un esempio lampante è Pippo Ricci, che è arrivato a Milano e ha già fatto un paio di gare importanti in ottica Eurolega; poi c’è l’Eurocup con i vari Mannion, Pajola e Tonut, ormai giocatori di caratura internazionale. Fontecchio, Polonara, lo stesso Spissu che è andato a Kazan per mettersi in gioco. Sicuramente gli italiani ci sono, il nostro movimento dopo le Olimpiadi ha ripreso ad andare: mi auguro che, avendo anche l’Europeo a Milano la prossima estate, si possa iniziare un ciclo molto importante”.
Da quelli che sono (e sono stati) i suoi compagni di squadra, tanto nei club quanto in Nazionale, a chi non ha mai condiviso un’esperienza cestistica con il play di Reggio Emilia, pur conoscendolo fin troppo bene. Al contrario dei fratelli Vitali e Gentile, che hanno giocato insieme rispettivamente con le maglie di Brescia e Virtus Bologna, Andrea e Daniele Cinciarini non hanno mai occupato lo stesso spogliatoio nello stesso momento, perlomeno a livello professionistico.
Dopo essere stati svezzati entrambi nelle giovanili della VL Pesaro, infatti, le loro strade hanno portato a carriere, ruoli ed esperienze diverse:
“È stata casualità il fatto che abbiamo giocato per maglie uguali, a parte ovviamente le giovanili a Pesaro perché siamo entrambi di lì. Il resto è stato frutto del caso. Detto ciò, siamo due giocatori completamente diversi: lui è una guardia realizzatrice con tanto senso del canestro. In questo momento è in A2 a Ravenna, ma non ha mai perso il vizio di fare tanti punti. In tutta la sua carriera ha sempre segnato tanto, invece io sono più playmaker: segno di meno, ma faccio tante altre cose tra assist, rimbalzi e leadership. Detto ciò, abbiamo fatto qualche partita insieme nella Nazionale Sperimentale con allenatore Recalcati; quindi, c’è stato un momento in cui abbiamo giocato insieme. Non so cosa avrebbe potuto essere condividere lo spogliatoio con tuo fratello ed essere insieme nella stessa squadra: se avrebbe potuto portare determinate rotture con gli altri compagni o altro… la curiosità magari ci può essere, però diciamo che ho avuto la fortuna di giocare con lui nella Nazionale Sperimentale, almeno abbiamo fatto alcune partite con la stessa maglia. Ma quando hai tuo fratello in campo, se devi scegliere a chi dare la palla, magari nelle uscite, preferisci sempre puntare su di lui piuttosto che su qualcun altro. Ti si potrebbe creare qualcosa dentro di sbagliato. Va bene così, siamo soddisfatti di come sia andata la carriera per entrambi”.
Andrea Cinciarini, l’abbiamo detto, è nel bel mezzo di una seconda vita cestistica. Con lui o senza di lui c’è una Reggio Emilia che gira in un modo o in un altro: è il direttore d’orchestra che mette in ritmo letteralmente chiunque, da Osvaldas Olisevicius a Mikael Hopkins, passando per Justin Johnson, autore della tripla della vittoria nell’ultima sfida di FIBA Europe Cup contro l’Avtodor Saratov. Il passaggio decisivo, manco a dirlo, l’ha fatto colui che è attualmente il primo assistman all-time nella storia della Reggiana, il secondo in quella dell’Olimpia Milano (alle spalle di Mike D’Antoni) e il quinto di sempre nel nostro campionato, con Marques Green e Riccardo Pittis nel mirino. Attualmente viaggia a 9.8 assist di media in LBA, leader assoluto con il Chacho Rodriguez a seguire con 7.2 passaggi decisivi a gara. E Cincia, manco a dirlo, si trova a suo agio in queste vesti:
“Il playmaker è il condottiero, il capo della squadra, il braccio destro dell’allenatore in campo. Un play deve avere sempre tutto sotto controllo. Quando entro in campo cerco sempre di capire cosa faranno le difese avversarie con me e come si comporteranno. È ovvio che mettere in ritmo i tuoi compagni, vedere chi sia più dentro quella partita, vedere sempre il passaggio libero, mi dia gioia e soddisfazione. Non segni tu, ma fai segnare un compagno con punti che possono far vincere la squadra. Direttamente non sono punti tuoi, ma è come se lo fossero. Il playmaker è un giocatore che dev’essere estremamente intelligente, sotto controllo e che deve capire sempre quello che le difese gli concedono. Magari in un quarto faccio 5 o 6 tiri e nel quarto dopo faccio 0 tiri ma 6 assist: perché in determinate situazioni il difensore magari mi lascia il tiro e lo prendo, oppure mi concede la penetrazione con il passaggio per il lungo o per l’esterno. Poi magari capita la situazione di cambio: lungo contro il piccolo, o viceversa. Ho avuto questa dote fin da bambino e mi è sempre piaciuto mettere in ritmo i miei compagni. Poi è ovvio, quando hai la possibilità di giocare con la palla in mano ti diventa tutto più facile. Al giorno d’oggi i ruoli non sono più così definiti; ci sono tante combo-guard e tanti play realizzatori piuttosto che ragionatori. Io mi adatto a tutto: guardo quello che la squadra ha bisogno in quel momento e agisco. Magari una volta fai 15 punti e 5 assist, la volta dopo 7 punti e 12 assist perché in quel caso lì era più importante mettere in ritmo i tuoi compagni. Mi piace essere il leader, ma penso che il leader venga scelto in base ai propri comportamenti. Io ho sempre voluto essere un professionista serio, entrare in palestra e dare tutto me stesso in quelle ore, dare consigli ai miei compagni, emotivamente spronarli o aiutarli. Mi piace dare l’esempio e in partita lasciar andare le mie emozioni e farle fluire nel campo. Di sicuro mi piace essere quella persona a cui chiedere aiuto per primo, se c’è qualcuno in difficoltà. Se qualcuno non è in ritmo, voglio portarlo su. Un po’ di caratteristiche le ho dentro, e in tutte le società dove sono andato sono sempre stato un leader. Negli anni posso essere stato un leader diverso: le ultime due stagioni a Milano lo sono stato più emotivo, un leader dello spogliatoio, insieme al Chacho, ad Hines o a Gigi, a far capire quello che ci vuole per giocare nell’Olimpia, i suoi valori. A Reggio invece sono stato leader in campo, vocale ed emotivo; oppure nell’anno del secondo Scudetto con Milano sono stato prezioso come leader tecnico. Diciamo che ci sono giocatori che sono portati ad avere una leadership importante, e poi vieni scelto dai tuoi compagni, dagli allenatori e dalle persone che ti circondano”.
“Seconda giovinezza”, sì. Ma il futuro fuori dal campo potrebbe essere dietro l’angolo, vista la consapevolezza con cui Andrea Cinciarini vive il suo ruolo attuale, una volta superati i 35 anni. A sentir parlare il numero 20 di Reggio Emilia, però, il ragazzino non vuole di certo appendere le scarpe al chiodo:
“35 candeline e non ho una data finale. Mi sento bene, il mio corpo sta bene. Ogni estate lavoro tantissimo con Giustino Danesi, il preparatore di Milano con cui ho un rapporto bellissimo da più di 10 anni: a lui devo tanto, ha cambiato completamente il mio fisico e mi fido ciecamente di lui. Ancora oggi, anche se non siamo più in squadra insieme, mi dà un sacco di consigli e ci sentiamo frequentemente per parlare della preparazione. Sono un giocatore che 24 ore su 24, 365 giorni su 365, è lì pronto a curare il fisico, avere del riposo e potenziarlo d’estate. Fino a quando avrò questa voglia dentro di me di giocare, andrò avanti: non voglio mettermi una data di scadenza, che sia 2, 3 o 4 anni. Sicuramente quando dentro senti quel qualcosa e lo senti ardere vai avanti; quando invece ti renderai conto che magari fai fatica ad andare ad allenamento o a fare viaggi, quello sarà il momento in cui senti di dire basta: quando sarà, sarà. In futuro mi piacerebbe tanto rimanere all’interno del basket, perché è una passione e un amore senza confini: mi piace guardare le partite e seguire tutti i campionati; quindi, è un qualcosa che va al di là del semplice lavoro. Mi piacerebbe fare l’allenatore, come altre cose, ma il ruolo da Coach è ciò che ho più in testa. Non ho un allenatore in particolare in cui mi ispiro, ma tantissimi esempi; con tutti quelli con cui ho lavorato mi è piaciuto e mi piace prendere qualcosa. Da Trinchieri a Messina, da Menetti a Caja, da Sacchetti a Pianigiani… quando facevo le giovanili a Pesaro ho avuto come riferimento Djordjevic, prima che si ritirasse. Quando guardi le partite vedi Jasikevicius e Obradovic. Sicuramente ci sono tanti allenatori molto bravi, ma ognuno ha la sua idea e la porta avanti: un suo stile di gioco, che sia offensivo o difensivo, una sua capacità di parlare con i giocatori o di essere più duro, meno duro… io osservo e cerco di assimilare le cose più efficaci. Poi, un domani, potrò creare il mio essere allenatore. In questo momento non ci penso, ma mi piace prendere spunti da ognuno per poi, una volta che deciderò di intraprendere questo nuovo capitolo della mia vita, capire quello che sarà il tipo di allenatore più consono per il tipo di persona che sono”.
Visto il modo in cui ha iniziato quella che è la sua 19ª stagione da professionista, partito dalle giovanili della VL Pesaro e ancora oggi ai massimi livelli nazionali, possiamo attendere volentieri ancora diverso tempo prima che Andrea Cinciarini passi dall’altra parte dello scenario al momento di un time-out. Chissà, magari ci sarà anche spazio per una “terza giovinezza”.
Di Cesare Milanti
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