Una frattura insanabile, un clima tossico e la necessità di scuotere l’ambiente: così Denver ha deciso di chiudere un’era vincente.
Per dieci anni, Michael Malone è stato il volto della narrazione sportiva dei Denver Nuggets: il motivatore, il difensore dei suoi giocatori, l’uomo che ha guidato la franchigia al suo primo titolo NBA nel 2023. Eppure, con tre partite rimaste in questa regular season, la proprietà ha preso una decisione scioccante: via Malone e via anche il GM Calvin Booth.
A raccontare nel dettaglio i motivi è ESPN, in una lunga analisi che ricostruisce le tensioni che covavano da mesi – anzi, anni – all’interno della franchigia.
Tensione crescente e un messaggio che non arrivava più
Negli ultimi mesi, Malone aveva perso la squadra. Lo confermano fonti interne: i giocatori non rispondevano più ai suoi messaggi, i toni duri sembravano più rumore che motivazione. L’allenatore stesso, dopo la quarta sconfitta consecutiva – la prima dal marzo 2023 – aveva dichiarato:
“Non stiamo facendo il nostro lavoro. A partire da me. Serve il coraggio di guardarsi allo specchio.”
Ma proprio in quel periodo, il presidente Josh Kroenke stava valutando seriamente di cambiare tutto. Già all’All-Star Break era stato vicino a esonerare Malone e Booth, salvati solo da una striscia di 8 vittorie.
Un’organizzazione divisa in fazioni
Il vero problema, spiega ESPN, non erano solo i risultati altalenanti (12-13 dopo l’All-Star Game), ma un conflitto personale e operativo tra Malone e Booth che aveva avvelenato l’intera organizzazione. Dipendenti costretti a “scegliere da che parte stare”, accuse incrociate sulle rotazioni, dissidi sul mercato: Booth puntava sulla linea giovane e sullo sviluppo, Malone preferiva affidarsi ai veterani del titolo 2023. La situazione era insostenibile.
“Era diventata una guerra fredda interna,” rivela una fonte. “Tutti erano infelici, e Kroenke lo sentiva. Era il momento di liberare l’ambiente.”
Le scelte di Booth che Malone non ha mai accettato
Booth, salito al ruolo di GM nel 2022, aveva puntato sulla crescita di Christian Braun, Peyton Watson, Strawther e Nnaji, rifiutando di rifirmare veterani come Bruce Brown e Jeff Green. Malone non solo non ha mai digerito queste decisioni, ma, secondo più fonti, sabotava l’impiego dei “giovani di Booth”. Braun, ad esempio, è stato spostato in panchina per far partire titolare Westbrook – scelta contestata anche dentro lo spogliatoio.
“Malone lo ha detto lui stesso: Braun ha fatto tutto ciò che gli è stato chiesto. Eppure è finito fuori per fare spazio a Russell.”
Il peso del futuro di Jokic
Al centro della riflessione di Kroenke c’è anche un’urgenza: sfruttare al massimo gli anni da MVP di Nikola Jokic, che a fine stagione sarà eleggibile per un’estensione da 212 milioni di dollari in tre anni. Se anche solo mostrasse esitazione, sarebbe un campanello d’allarme devastante per i Nuggets.
“Abbiamo il miglior giocatore del mondo,” ha detto una fonte. “Dobbiamo fare tutto per costruire attorno a lui.”
Un nuovo inizio con Adelman?
Il licenziamento lampo di Malone e Booth è stato comunicato lunedì, ma solo Nikola Jokic ne era al corrente con qualche ora d’anticipo. Martedì mattina, in una riunione a porte chiuse con tutta la squadra, Kroenke ha spiegato la decisione.
“Ci siamo resi conto che non ci stavamo più divertendo, non giocavamo come potremmo. Questo doveva cambiare,” ha detto il presidente, secondo quanto riportato da Michael Porter Jr.
Nel frattempo, David Adelman, assistente storico, guiderà la squadra da interim. E con lui, secondo i giocatori, il clima è già cambiato:
“Era la partita con la miglior comunicazione dell’anno,” ha detto Braun dopo la vittoria con Sacramento. “Parlavamo noi, non il coach.”
Jokic, nella sua solita sobrietà, ha chiosato:
“Forse hanno svegliato la bestia.”
Denver, ora è davvero tutto da rifare
Secondo ESPN, la decisione di esonerare sia Malone che Booth nasce dal fatto che nessuno dei due poteva essere “salvato” senza continuare a dividere il gruppo. Meglio ricominciare. Ma non sarà facile.
Booth, infatti, era stato artefice della costruzione del roster da titolo nel 2023. Tuttavia, il mancato rinnovo contrattuale (mai formalizzato dalla proprietà) e l’insofferenza crescente hanno spinto anche lui verso l’uscita.
Conclusione: una scossa necessaria, ma rischiosa
Con tre partite alla fine della regular season e i playoff all’orizzonte, la decisione di Kroenke è stata un azzardo calcolato, forse tardivo, forse inevitabile. La speranza è quella di recuperare la compattezza perduta, intorno a un gruppo che ha ancora uno dei talenti più rari e straordinari della lega.
Per ora, l’effetto è stato positivo. Ma Denver non ha più margine di errore.
“Quando vinci, tutto funziona. Ma quando perdi, quel che prima era un ruggito, diventa solo rumore”, scrive ESPN. E a Denver, da ora in poi, il silenzio non sarà più un’opzione.
Di Tim MacMahon e Ramona Shelburne | ESPN – Traduzione e adattamento in italiano
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