Assieme ad Alessandro Lotesoriere, forma la coppia di allenatori debuttanti capaci di elevare il rendimento delle proprie squadre ben oltre ciò che diceva la carta. Nel girone Rosso, se Scafati e Verona erano attese a quelle quote, molto meno lo si diceva per l’OraSì Ravenna e l’Umana Chiusi. Neopromossa da semifinale di Supercoppa e Final Eight di Coppa Italia. La guida dalla panchina Giovanni Battista Bassi, pistoiese classe 1976 e che, alla domanda sulla sua carta d’identità, fa scrivere “Innamorato del basket”.
“Giocavo a calcio, come tutti. Quando avevo 10-11 anni il basket esplose in città, nelle stagioni tra Maltinti e Kleenex. Andai in palestra e mi bastò un allenamento per capire che questo sport mi avrebbe travolto. E con me si allenava uno più piccolo di noi, ma bravino. Kobe”.
Da tifoso a giocatore, dal settore giovanile fino alla prima squadra.
“Fu Paolo Cianfrini, responsabile del settore giovanile dell’Olimpia, a suggerire al capoallenatore Giovanni Papini di portarmi in ritiro con la squadra, a 17 anni. Mi vergogno a dire che ho giocato in A1, più onesto che per tre anni ho fatto parte della rosa. Vivendo stagioni al fianco di straordinarie persone, e giocatori, come Claudio Crippa e Walter De Raffaele”.
Giocava poco ma si allenava duro. Perché la competizione era tosta, in quegli anni a Pistoia.
“Passavo dai play alle ali, da Crippa a Minto, da Forti a Vescovi. Facevo fatica a mandar già la fisicità di Cecco. Da giovane non la capisci. Oggi dico che è stato uno dei più grandi insegnamenti per me. E poi arrivò pure Davide Ancilotto, col suo talento sconfinato”.
Ad un certo punto però quel basket venne un po’ a noia.
“Non sentivo mio quel mondo professionistico. Andai in B1, dove ritrovavo me stesso chiedendo di marcare sempre l’avversario più pericoloso. Ma ero quello delle scelte strane, scesi fino in Promozione. Poi arrivo al Bottegone, prima da giocatore, smetto e mi affidano la squadra, in C2. Quest’anno, con la A2, posso dire di aver giocato o allenato in tutti i campionati”.
A Chiusi si vince la B e ci si ritrova a debuttare in A2. Cosa cambia, per un allenatore? Anzi, per il debuttante Giovanni Bassi.
“All’inizio tante difficoltà. Le mie richieste erano molto elevate. Stavo spingendo troppo. Ho imparato sulla mia pelle la necessità di essere più flessibile, pur senza snaturare sé stessi. Ho capito l’importanza del dover fare un passo indietro. Dopo quello, i ragazzi ne hanno fatti tre in avanti”.
Chi l’ha aiutata, a capire?
“Facile dire Walter De Raffaele. A lui devo tanto, sul piano tecnico come su quello umano, straordinario. I risultati parlano per lui e non devo dire nulla. Per me è stata la spalla su cui appoggiarsi nelle difficoltà, aver la possibilità di confrontarsi con un tecnico di quel livello, sempre disponibile per me, mi ha trasmesso grande serenità nelle scelte”.
Quali sono le sue, guidando una squadra dalla panchina?
“Alla base del basket c’è la filosofia di uno sport di squadra e quindi di condivisione. Ognuno al servizio del compagno. Poi, essere più intensi degli altri. E’ il mio credo. Quando non sarò più capace di ottenerlo, sarà arrivato il momento di smettere”.
Ha pilotato Chiusi oltre le difficoltà di un torneo complesso, lungo ed insidioso come la A2. La sua Umana è una squadra che entra a testa alta e, soprattutto, esce dal campo a testa alta. Capace, tra le tante, di battere Scafati ed espugnare Ferrara e Ravenna.
“Ci abbiamo lavorato da inizio anno e la squadra è molto cresciuta sul piano della costanza e della durezza. Nella prima parte seguivamo l’onda della partita: se la iniziavamo bene, tutto bene; se l’onda era negativa, tutto nero per quaranta minuti. Ora possiamo avere giornate negative, ma restiamo sempre competitivi. Ed orgogliosi. Era l’obiettivo”.
Che allenatore è Giovanni Bassi?
“Passo per un allenatore difensivo e confermo che le prime cifre che guardo a fine gara sono quelle difensive. La squadra solida la vedi lì. Però il basket è uno sport che ha due anime intrecciate, attacco e difesa. E devi saperle far coesistere. Non vinci, se non hai attacco. Ma è molto facile che tu perda, se non hai difesa. Io parlo di ritmo ed esigo ritmo sui due lati del campo”.
Cosa le sta insegnando questa prima stagione in A2?
“La A2 è una grande scuola. Ho il piacere di allenare ragazzi educati, con voglia di competere e di farlo lavorando per la squadra. Il bello del mio lavoro è l’assemblare, mettere le diversità sullo stesso binario. E’ affascinante ed uno stimolo pazzesco. La presenza dei due stranieri, Medford e Wilson, di disponibilità per il gruppo pari a quella degli italiani, ed il dover riprendere in mano l’inglese dopo anni, amplia lo spettro a culture diverse”.
L’equazione facile: la San Giobbe fa parte della galassia Reyer Venezia, title sponsor compreso. La Reyer manda i giovani a Chiusi e per questo i giovani devono giocare.
“Innanzitutto la Reyer ci lascia grande libertà di azione. Il confronto è costante e le nostre scelte vengono accettate. Tutti i giocatori pensano di meritarsi di giocare. Io parlo di processo: ti meriti di stare in campo se lo fai in un certo modo. Martino Criconia (1998, 1.96, guardia) due anni fa giocava in C Gold, lo scorso anno ebbe poco spazio in B, ma fu decisivo nei playoff. Luca Possamai (2001, 2.11, centro) ha avuto diversi problemi fisici e va usato con il contagocce, per evitare complessità. Si merita fiducia, per ora con un asterisco. Leonardo Biancotto (2002, 1.94, guardia) ha lavorato bene sulle sue difficoltà, il mio staff gli è stato vicino, ora tiene il campo in A2 senza problemi”.
Come si esce dal campo da Forlì, dopo una partita di alto livello, mai sotto nel punteggio fino a 1”10 dalla fine?
“Ricordandoci che siamo una neopromossa, di un Club con tre anni di vita, con tanti debuttanti, a cominciare da me. A Forlì abbiamo disputato una grandissima partita, con nel finale troppi errori dovuti a scarsa disciplina. Fa male. Ma ho visto i ragazzi ugualmente carichi e consapevoli. Gara archiviata alla categoria “bischerata”.
Domenica arriva Ravenna, ricordi dolci per voi ed amari per loro. E le bischerate andranno evitate.
“Il fattore-sorpresa non ce l’abbiamo più e verranno, giustamente, per vendicarsi, sportivamente parlando. Loro hanno grande solidità, un giusto mix di gioventù, talento ed esperienza. Per metterli in difficoltà dovremo dettare il ritmo. Se accettiamo il loro, faremo fatica a reggere la loro fisicità”.
Se Jeremiah Wilson è un veterano, alla quarta stagione in Italia, Lester Medford è il rookie dalle giocate da Top 10.
“Ho una colpa, non aver capito subito che tipo di giocatore fosse Lester. Poi abbiamo parlato tanto, di basket e non solo. E che potevamo fidarci l’uno dell’altro. Oggi è il vero play della squadra, ma anche l’ago della bilancia. Il termometro di quanto siamo vivi dentro la partita. Non è un difensore nato, ma mai sottovalutare la capacità di difendere di un grande agonista”.
Una stagione mai oltre il quinto posto, a tratti prima. Neopromossa anche da 5 vittorie consecutive, mai peggio di 3 sconfitte in fila. In una realtà più radicata del nostro basket, sarebbe orgoglio sportivo cittadino e fenomeno sociale.
“Chiusi è una realtà da poco più di 8000 abitanti che ha visto più volley che basket. Proprio come era Ravenna alcuni anni fa. Qui il basket è un fenomeno nuovo. Certo, ci piacerebbe avere più pubblico alle nostre partite. Siamo ancora in una fase embrionale, stiamo seminando, sta a noi proseguire così per vedere il tempo della raccolta e gustarcelo”.
La bella favola della neopromossa Chiusi: dove anche i Bassi sono… alti
25/03/2022
09:53
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