L’unico vero volto nuovo del campionato della NutriBullet Treviso Basket di questa stagione, Justin Alston si è raccontato nella rubrica LBA “5 domande a…”
Tre vittorie consecutive che hanno portato Treviso solo una posizione sotto le migliori otto del campionato. Qual è stato il click che vi ha aiutato a invertire la tendenza dopo un inizio complicato?
Abbiamo capito quanto fosse importante rimanere concentrati e non perdere la testa dopo una sconfitta o dopo una rimonta. Ci siamo fatti un esame di coscienza, abbiamo iniziato ad affrontare ogni partita con la massima concentrazione, seguendo nello specifico tutto ciò che il coach ci chiede di fare. Giocare di squadra e dare meno spazio agli individualismi, sfruttare la nostra fisicità e mostrare un approccio più aggressivo invece di rimanere passivi e aspettare le giocate degli avversari.
Coach Vitucci e i tuoi compagni si sono fidati di te fin da subito, hanno notato le tue qualità come essere umano e come giocatore. Che tipo di rapporto hai instaurato con tutti loro?
I miei compagni e tutto lo staff hanno avuto tanta fiducia nelle mie capacità e questo mi ha aiutato moltissimo sia nell’approccio al campionato sia nel credere in me stesso. Coach Vitucci e io abbiamo tanta fiducia l’uno nei confronti dell’altro, un altro aspetto davvero tanto importante. Il rapporto con i compagni è nato in modo naturale e prosegue a vele spiegate, ci troviamo bene. Tutti loro sono giocatori di talento e dotati di forte mentalità.
Questo è il tuo primo anno in Italia dopo una serie di esperienze in giro per il mondo. Il tuo approdo qui è stato esattamente come lo avevi immaginato? Ti ha sorpreso qualcosa in particolare?
Venire qui in Italia si è rivelata una scelta azzeccata. In pochissimo tempo mi sono reso conto quanto tutto questo sia stato ciò che desideravo per proseguire la mia carriera, anzi è stato molto di più. Nonostante sia appena iniziato il mio primo anno qui, posso dire tranquillamente che questo è uno dei posti migliori in cui io sia mai stato e giocare nel vostro campionato è qualcosa di emozionante.
Ti definisci un giocatore “operaio”, come nasce questa etichetta? Quanto ha inciso questa etica del lavoro nella tua crescita da giocatore professionista?
La mentalità da giocatore “operaio” nasce proprio dalla maniera in cui sono cresciuto e dalla mia passione, oltre che dalla mia voglia di mettermi in gioco e migliorare giorno dopo giorno. Penso di averlo dimostrato nella mia volontà di viaggiare il mondo e nel voler giocare in tanti paesi diversi; esplorando nuove culture e livelli diversi di pallacanestro; mantenendo lo stesso impatto dentro e fuori dal campo; aiutando la mia squadra a raggiungere gli obiettivi prefissati.
Sappiamo che sei particolarmente legato alla tua famiglia e alla tua fidanzata, avresti voglia di raccontarci qualcosa in più riguardo a loro?
La mia famiglia è ciò che mi motiva ogni giorno, tutti loro rappresentano una grossa spinta in tutto ciò che faccio. Dio mi ha donato tutto questo talento e mi ha dato la possibilità di fare ciò che amo, perciò voglio sfruttare al meglio queste occasioni e mostrare la miglior versione di me stesso. In questo percorso, un ruolo fondamentale lo ha avuto e lo ha tutt’ora la mia fidanzata: lei c’è sempre stata, è presente in ogni momento della mia vita; mi aiuta a rimanere allineato con i miei obiettivi sia mentalmente sia spiritualmente.
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