Josh Nebo, la storia del “Rocket Man” dell’Olimpia Milano

Josh Nebo, la storia del “Rocket Man” dell’Olimpia Milano

Josh Nebo si è raccontato in una lunga intervista rilasciata ai canali ufficiali dell'Olimpia Milano: questa la storia del "Rocket Man" biancorosso.

Josh Nebo è stato pazzesco. Ha saltato, è andato a rimbalzo, ha schiacciato e stoppato per 45 minuti”, ha detto Coach Ettore Messina alla fine della Supercoppa vinta a Bologna parlando del “Rocket Man” dell’Olimpia. Nella gara conclusiva ha segnato 20 punti e nell’arco delle due partite ha tirato con il 70% dal campo. Qui riproponiamo la sua storia.

All’inizio l’atleta di una famiglia numerosa di origini nigeriane ma trapiantata a Houston, in Texas, era Kimberly. Kim Nebo era la stella della Cypress Lake High School. Era così forte che segnando 1.292 punti in quattro anni diventò la prima realizzatrice nella storia della scuola. “Era brava, aveva un grande seguito al liceo.  Io ero solo il suo fratellino. Ma guardando lei, il successo che stava riscuotendo, ho cominciato a seguire di più il basket e ad un certo punto ho deciso di provare anche io, di seguire le sue orme. Ma ero già all’high school. Ho cominciato così, ad apprezzare il basket seguendo mia sorella, allenandomi con lei, ma ero già un ragazzo”, racconta Josh Nebo, centro dell’Olimpia, proveniente dal Maccabi, alla quarta stagione in EuroLeague. Lo scorso anno è stato il primo rimbalzista e il primo rimbalzista offensivo della competizione. La sua storia è cominciata così, imitando la sorella maggiore, una delle tre.

Kim Nebo ha poi giocato a Southern Illinois dove nell’ultimo anno, 2016/17, ha segnato oltre 11 punti e catturato più di sette rimbalzi a partita e venne nominata giocatrice-studente dell’anno nella sua conference. In quel momento, Josh Nebo era a sua volta una star emergente alla Cypress Lake High di Houston, dove però era De’Aron Fox – oggi conclamata stella dei Sacramento Kings – ad attirare tutte le attenzioni. Josh era ansioso di seguire le orme della sorella maggiore e giocare anche lui in un college di prima divisione. Ma aver cominciato a giocare tardi non ha aiutato. “Avevo una sola proposta per giocare in prima divisione, quella di St. Francis, in Pennsylvania, lontano da casa. Ma non avevo alternative”, ammette.

Ma nel frattempo, il ragazzino pelle e ossa del liceo stava per lasciare il posto ad un atleta fisico, esplosivo. Nel suo secondo anno a St. Francis, Nebo fu nominato difensore dell’anno nella propria conference, finendo oltre i 12 punti e otto rimbalzi di media. Il livello della competizione però era basso. Il desiderio di riavvicinarsi a casa, permettere così ai propri familiari di assistere alle sue partite, di guadagnare maggiore esposizione lo spinsero a tornare in Texas, a Texas A&M. Il problema è che in questi casi, allora, eri costretto a stare fermo un anno. “In realtà, non giocare per un anno è stato fondamentale per la mia carriera. Stare fuori mi ha permesso di sviluppare il mio corpo, di imparare a lavorare in sala pesi e anche in campo. In quell’anno ho trasformato il mio fisico. Ero magrissimo, non avevo massa muscolare. Ma in quell’anno mi sono concentrato sul fisico, sono migliorato in campo. Credo abbia cambiato la traiettoria della mia carriera”.

La prima stagione di Nebo a Texas A&M fu discreta, non eccezionale, soprattutto la squadra fece fatica chiudendo sotto il 50% di vittorie. L’allenatore Billy Kennedy venne esonerato dopo otto stagioni. Al suo posto arrivò Buzz Williams da Virginia Tech. “Abbiamo avuto qualche alto e basso, abbiamo cambiato un paio di allenatori, ci sono stati momenti buoni e altri meno buoni. Ma mi sono divertito in campo, sono migliorato come giocatore e ho costruito rapporti che durano anche adesso”, dice Nebo. Nel suo ultimo anno di college, cominciato con un infortunio muscolare, fu migliore sia come risultati di squadra che per lui individualmente (12.5 punti e 6.2 rimbalzi a partita).

Ma era l’anno del Covid e rovinò tutti i piani. Nebo avrebbe voluto sottoporsi al rito dei provini, viaggiare da un angolo all’altro del paese e farsi vedere, magari strappare un invito al camp, giocare la summer league, insomma seguire la trafila classica del giocatore che aspira a cimentarsi nella NBA senza avere ancora la reputazione indispensabile. “Il Covid mi ha negato la possibilità di fare i workout per le squadre NBA. Le summer leagues sono state cancellate e non ho potuto partecipare, vedere a che punto ero dal loro punto di vista, ricevere dei feedback. Sono rimasto al buio, non sapevo come mi consideravano. Sapevo che non sarei stato scelto e che avevo davvero bisogno di fare dei provini, farmi conoscere di più. Ma non potevo”, ricorda. A quel punto, aveva solo una possibilità. “L’Hapoel Eilat mi ha offerto un contratto garantito. Ho pensato che, se avessi giocato bene, avrei potuto tornare più avanti. Ma il mio primo anno in Europa è andato bene. Venire in Europa credo sia stata la migliore decisione che abbia mai preso nella mia carriera. Molto meglio che girare attorno alla NBA senza meta”.

In Israele ha giocato subito ad alto livello vincendo tra l’altro la classifica dei rimbalzi. Per un rookie gestire il debutto da professionista, in un paese straniero, in era COVID è stato a dir poco impegnativo. “È stato uno shock culturale. Era il mio primo anno lontano da casa ed era tutto chiuso; quindi, non potevo neppure andare al ristorante. La mia vita era tutta allenamento e casa. Ma fortunatamente ho avuto un grande allenatore (Ariel Beit-Halahmy) e veterani in squadra che mi hanno messo sotto la loro ala, mi hanno protetto e guidato. Soprattutto Joe Ragland”.

Da veterano, Ragland è diventato un giocatore di riferimento nelle squadre in cui ha militato, molto più maturo di quello che vedemmo a Milano. “Joe Ragland è stato la cosa migliore che mi potesse capitare – spiega Nebo -. In campo naturalmente mi ha reso tutto più facile, ma anche fuori del campo mi ha insegnato tanto, mi ha fatto capire su cosa concentrarmi. Credo sia stato decisivo anche nella mia crescita successiva: è stato il mio mentore e una specie di allenatore. Abbiamo guardato i video insieme, ho ascoltato le sue critiche, mi ha guidato nei progressi. L’ho apprezzato tantissimo”.

Già allora, Nebo aveva attratto le attenzioni dell’Olimpia. Ha finito l’anno all’Hapoel poi ha compiuto il salto mortale di approdare in EuroLeague, a Kaunas. “Durante la mia stagione da rookie in Israele ero diventato un grande fan dell’EuroLeague, guardavo tutte le partite, seguivo tutte le squadre, così quando sono arrivato a Kaunas avevo un’idea chiara di cosa dovessi aspettarmi, di come sarebbero andate le cose. Ero in un certo senso preparato a quello che avrei trovato. Ma è stata dura lo stesso adattarsi. Il livello della competizione è molto alto, il talento è estremo, l’impegno fisico è tremendo, i tifosi mettono pressione. È stato molto diverso da quello che avevo sperimentato l’anno precedente”.

A Kaunas, nonostante la giovane età in una lega viceversa per uomini maturi, e lo status di rookie, Nebo ha segnato 8.8 punti a partite, tirando oltre il 64% dal campo, e portato giù 6.2 rmbalzi in 22 minuti sul campo. Non era uno Zalgiris da sottovalutare con Thomas Walkup, Rokas Jokubaitis, Marius Grigonis, Nigel Hayes-Davis tra gli altri. La sua stagione è stata così buona da determinare il suo passaggio al Maccabi. Nel primo anno, ha prodotto 7.4 punti e ancora 6.2 ribalzi di media dividendosi i compiti con Alex Poythress. Ma nel secondo ha spiccato il salto di qualità, andando in doppia cifra nei punti, con il top in carriera nel tiro dal campo (66.7%), nei tiri liberi (71.4%) e ovviamente nei rimbalzi. “Ogni anno credo di essere riuscito a migliorare un po’ – spiega -. Penso sia stato essenziale concentrarsi sul processo di crescita e non sul risultato immediato. Non ho prestato troppa attenzione a quello che si vedeva in partita, ma sono stato attento al lavoro svolto quotidianamente, per ampliare il repertorio, guardando i video, cercando di capire come poter migliorare e sentirmi a mio agio in campo. Si tratta di avere pazienza e continuità nella routine di lavoro quotidiana. Questo mi ha aiutato”.

In particolare, Nebo lo scorso anno ha guidato la lega nei rimbalzi totali e in quelli offensivi. Come ha sempre detto Kyle Hines, imporsi a rimbalzo non è necessariamente una questione tecnica ma di volontà. “Non so se ci sia un segreto nei rimbalzi. Non è che non voglio svelare i miei segreti. La chiave è giocare duramente, avere un motore che va sempre e pieni giri, giocare con il desiderio di mettere le mani sulla palla e avere la consapevolezza che quello è il mio compito principale in squadra. L’obiettivo è essere il migliore nel proprio lavoro. Avverto la responsabilità di tentare di essere il migliore in ciò che faccio. Per me è divertente andare a rimbalzo e cercare di prenderli tutti”, dice.

A Kaunas e Tel Aviv, Nebo ha giocato per due tra le tifoserie più numerose e presenti d’Europa: “Giocare per due tifoserie come quelle di Zalgiris e Maccabi ti rende più orgoglioso di quello che stai facendo, non vuoi deludere i tifosi perché ricevi sostegno sempre, non solo alle partite, ma anche quando cammini per strada e ti incontrano. Capisci che quello che stai facendo per loro è ancora più grande”. A Milano, incontrerà un altro tipo di tifoseria, più da grande evento, che però in qeui momenti non ha nulla da invidiare a nessuno. “Ho deciso di venire qui perché questo è un grande club, che ha grandi ambizioni e vuole tornare al top della competizione anche in EuroLeague, tornare magari alle Final Four. Io e il club condividiamo gli stessi obiettivi e anche gli stessi valori: vincere, tornare alle Final Four, competere al livello più alto. L’Olimpia ha gli obiettivi e le ambizioni che anche io pretendo dalla mia squadra”.