Italians, Simone Casali e quel treno NBA che passa una volta sola…

Italians, Simone Casali e quel treno NBA che passa una volta sola…

Avete presente i famosi treni che probabilmente passano una volta sola nella vita e bisogna decidere se afferrarli al volo?

Avete presente i famosi treni che probabilmente passano una volta sola nella vita e bisogna decidere se afferrarli al volo? Ecco, a Simone Casali è accaduto esattamente questo. Nell’estate del 2015, a 32 anni e al termine di una stagione da general manager di Milano chiusa con l’eliminazione in semifinale scudetto, riceve una chiamata da Gianluca Pascucci. “Avevamo già un rapporto di lunga data, mi aveva chiamato per allenare nelle giovanili dell’Olimpia e quando si è aperta una posizione come International Scout a Houston, Gianluca (all’epoca Director of Player Personnel dei Rockets, nda) mi ha contattato. Ho deciso di salire su quel treno che dopo un paio di anni mi ha portato a Brooklyn sempre con Pascucci. Nel 2019 Gianluca ha deciso di andare a Minnesota e beh, era chiaro che non volesse più lavorare con me! (ride, nda). A quel punto la chiamata che ho ricevuto è stata del gm dei Nets, Sean Marks, che mi ha proposto di affidarmi la responsabilità della parte International dello scouting, in primis dell’Europa”.

Avendo lavorato come scout e come dirigente sui due lati dell’Atlantico, Casali può essere ottimo testimone su quali sono concretamente le differenze gestionali tra NBA e basket europeo. “Credo che una delle differenze principali sia, sintetizzando il concetto, che negli USA non prendono un giocatore solo per vincere due partite in più. L’idea di scegliere un elemento ipotizzando ciò che potrebbe essere tra quattro anni è lontanissima dal modus operandi del Vecchio Continente: è un lasso di tempo talmente ampio per le strategie nostrane che spesso chiama in causa due cicli di lavoro totalmente diversi. Invece in NBA la discussione principale verte se prendere un giocatore pronto oggi o uno che potenzialmente può essere migliore tra quattro-cinque anni se lavorasse in un certo modo. Le prospettive da cui partire, insomma, sono molto diverse”.

Un lavoro che è cambiato molto negli ultimi anni con l’aumento esponenziale dell’uso dei Social Network: non succede più che sbuchi un talento sconosciuto in qualche campetto di periferia come accaduto per Juancho Hernangomez-Bo Cruz in Hustle. “Bel film, Adam Sandler è uno dei miei attori preferiti però quella storia non è reale: oggi è sostanzialmente impossibile trovare un giocatore che non sia già sul taccuino di qualcuno. L’ultimo caso vagamente associabile a questa categoria è quello di Giannis Antetokounmpo, venuto fuori quasi dal nulla; però appena si è sparsa la voce che ad Atene c’è un talento enorme nel giro di pochissimo tempo tutte e 30 le franchigie sono andate a vederlo dal vivo e quindi anche per Giannis il discorso di cui sopra lo possiamo fare solo in parte. Noi oggi possiamo vedere partite di ogni campionato ad ogni latitudine e potenzialmente è un lavoro infinito, è pressoché impossibile che un nome passi inosservato fino al Draft. Certo, può sempre succedere che un giocatore esploda nell’anno della sua eleggibilità e allora c’è la necessità di compattare il lavoro di scouting in meno tempo”.

Draft che inevitabilmente è il momento di maggior attenzione mediatica anche sul lavoro di scouting delle franchigie. “Lì gli errori sono all’ordine del giorno perché ci sono cose che non puoi prevedere, oppure che prevedi in un’ottica e non in un’altra. Non bisogna sottovalutare come la storia sia piena di giocatori che hanno fatto fatica nella loro prima squadra e poi nella seconda sono esplosi perché lì hanno trovato la giusta dimensione e il giusto contesto. Puoi sbagliare senza un motivo o azzeccare semplicemente per fortuna”.

Nel lavoro di Scouting svolgono un ruolo sempre più preponderante le analytics e su questo Casali parte avvantaggiato: non a caso è laureato in statistica. “Facoltà scelta perché adoravo i tabellini di basket. Io ho avuto la fortuna di appassionarmi presto all’argomento e poi ho avuto un’altra fortuna, ovvero incrociare il mio percorso con quello di Sergio Scariolo che è stato il primo allenatore che ha guardato alle statistiche avanzate con grande attenzione. Non mi baso però solo sulle analytics: guardo un giocatore, mi faccio un’idea sulle sue caratteristiche e vado a studiare le statistiche avanzate per capire se è realmente il profilo che avevo pensato fosse. Guardo anche molto le statistiche che riguardano un’intera squadra, quali sono i trend, quali sono le tipologie di giocatori che poi si adatteranno ad altre tipologie. Credo ancora molto nella selezione dei giocatori in base a quello che gli chiede l’allenatore di turno. Ci sono dei dati sui trend di squadra che potrebbero aiutare molto, credo che l’Europa sia 5-10 anni dietro l’NBA anche su questo settore, c’è ancora molto terreno da recuperare”.

Altro aspetto importante da sottolineare è che il lavoro di Scout non cambia a seconda delle esigenze nel presente della franchigia. “Il mio lavoro è sostanzialmente un mega puzzle in cui devo prendere tutti i pezzi utili per creare il profilo più completo possibile e dopo scegliere i profili giusti che si incastrino con la squadra. Tutto ciò per fornire le informazioni necessarie che permettano a Brooklyn e a Sean Marks di fare la miglior scelta. Che i Nets siano in fase di rebuilding o che vogliano essere una contender per me non cambia molto. In NBA può cambiare tanto da un momento all’altro, non posso sapere quando avremo a disposizione una scelta e quanto in alto. Può succedere, ad esempio, che nella notte del Draft ci si ritrovi all’improvviso con delle scelte a disposizione per effetto di uno scambio: non ti puoi permettere di improvvisare. Lo scouting segue sempre le stesse regole, la stessa attenzione ai dettagli”.

Dario Ronzulli

Fonte FIP