Quest’anno il derby Milano-Varese va in scena il giorno di Santo Stefano. Anche se la sfida Milano-Bologna conta un maggior numero di scudetti complessivi e la definizione di “derby d’Italia”, questa gara non ha nulla da invidiare in termini di prestigio e tradizione ad alcuna altra sfida oltre ad essere un derby vero anche a livello territoriale. La rivalità tra i due club trova conforto nei numeri, 109-76 per l’Olimpia che significa 185 scontri diretti. Queste due squadre hanno giocato cinque spareggi per assegnare lo scudetto, di cui tre consecutivi. Nel 1985 hanno giocato la finale di Coppa Korac. Nel 1973 hanno giocato la semifinale di Coppa dei Campioni. E poi bisognerebbe aggiungere per completare lo scenario quanto accaduto fuori dal campo inclusi i passaggi di giocatori simbolo da un club all’altro. E se la cessione di Dino Meneghin da Varese a Milano nel 1981 fece scalpore, ma fu un’operazione necessaria; fecero discutere molto i passaggi di Gabriele Vianello, stella dell’Ignis al Simmenthal (con obbligo di stop per un anno), e successivamente di Paolo Vittori in senso inverso. In seguito, anche Giulio Iellini, grande simbolo della Milano dei primi anni ’70, passò a Varese dove ritrovò Sandro Gamba, Mister Olimpia, che nel 1973 lasciò l’Olimpia per diventare capo allenatore del club avversario per eccellenza.
IL TRIPLICE SPAREGGIO – Nel 1971, 1972 e 1973 lo scudetto del campionato italiano, prima che venissero istituiti i playoff, venne assegnato con una sorta di “Superbowl” nostrano, uno spareggio secco per sbrogliare la parità. Dal 1957 al 1969, Olimpia e Varese avevano vinto in tutto 13 scudetti su 14 (eccezione, la prima affermazione nel 1968 di Cantù). In nove dei dieci anni precedenti erano finite prima e seconda. Tuttavia, Milano era alle prese con una sorta di ricambio generazionale per il ritiro o il declino dei vecchi campioni del decennio precedente, Pieri, Riminucci, Vianello, Ongaro. Varese era in ascesa: aveva ancora Vittori, ma l’asse portante era composto da Bisson, Ossola, Meneghin, Flaborea e avrebbe avviato una striscia di 10 finali europee consecutive. Nel 1970/71 finirono l’anno con 21 vittorie e una sconfitta a testa. La sconfitta era maturata nello scontro diretto in campo avverso. Così lo spareggio andò in scena a Roma, campo neutro, e vinse Varese. L’anno successivo, persero tre partite a testa. Fu di nuovo spareggio, di nuovo a Roma, ma esito inverso, con il trionfo del Simmenthal 74-70. In quella stagione, l’Olimpia vinse la Coppa delle Coppe e la Coppa Italia. Varese si “accontentò” della Coppa dei Campioni ottenendo la possibilità di disputarla anche l’anno successivo. Nel 1972/73 lo spareggio si disputò a Bologna. Varese aveva sostituito Manuel Raga con Bob Morse, un debuttante. I suoi 31 punti furono decisivi. Le due squadre si incontrarono anche nella semifinale di Coppa dei Campioni, ma il Simmenthal aveva deciso di giocare la competizione con un solo americano senza tesserare il cosiddetto “straniero di coppa”. Semplicemente, non era abbastanza forte per battere il colosso varesino. Quella era l’Olimpia di Iellini, Brumatti, Masini, Bariviera e come americano di Arthur Kenney (sotto contro l’Ignis, alle sue spalle Meneghin e sullo sfondo Renzo Bariviera), preso da Le Mans per contrastare la furia fisica e agonistica di Dino Meneghin. Celebre la super rissa del Palalido a fine gara, un episodio che ambedue hanno poi minimizzato.
IL CASO GENNARI – Varese aveva vinto lo scudetto nel 1961, ma in estate Gabriele Vianello aveva deciso di lasciare l’Ignis e trasferirsi a Milano. I regolamenti dell’epoca prevedevano, in mancanza di un accordo tra le parti, che il giocatore restasse fermo un anno. Nella stagione 1961/62 Vianello non giocò né a Varese né a Milano. Il Simmenthal acciuffò lo spareggio di Bologna nel finale di stagione. Furono decisivi Paolo Vittori, il solito Pieri e Giando Ongaro, che segnò 12 punti in quella gara pur avendo altre caratteristiche. Il Simmenthal vinse il primo di due scudetti consecutivi, Varese si riprese il titolo nel 1964 impendendo all’Olimpia – dopo la semifinale controversa persa con il Real Madrid – di riprovare a vincere in Europa. Conquistato lo scudetto nel 1965, fu il momento di Varese di restituire il “favore” strappando all’Olimpia proprio Vittori (in basso in maglia Ignis contro il Simenthal). Nel 1965/66 però vennero riaperte le frontiere: l’americano del Simmenthal era Skip Thoren, un’ala-centro, quello di Varese era Toby Kimball. L’Olimpia vinse il titolo europeo, ma per imporsi in Italia fu necessario uno spareggio. L’Olimpia vinse ambedue gli scontri diretti con Varese in quella stagione, ma nel corso del torneo perse tre partite considerate di routine, forse distratta dalla grande attenzione rivolta alla Coppa dei Campioni. Per questo fu necessario lo spareggio. A quei tempi, in campionato ogni squadra poteva schierare un solo giocatore straniero, era Skip Thoren per l’Olimpia, era Toby Kimball per l’Ignis Varese, che tra l’altro segnò 27 punti nello spareggio di Roma. Ma alla vigilia dello spareggio stesso, la Commissione Esecutiva Gare della Federazione autorizzò la registrazione di Tony Gennari, americano di Trenton, New Jersey, ma origini italiane, il classico oriundo. Gennari era a Varese dall’inizio della stagione, ma aveva fatto lo straniero di coppa mentre in campionato non aveva mai potuto giocare per lungaggini nell’ottenimento del passaporto italiano (in realtà ottenne cittadinanza e domiciliazione). Ad aggiungere mistero alla vicenda: i membri della Commissione, dopo aver autorizzato il tesseramento di Gennari, si dimisero in blocco, sostenendo che legalmente non avevano strumenti per bocciare una richiesta che moralmente ritenevano ingiusta. Diventò un giallo. L’Ignis portò Gennari in panchina, ma non lo utilizzò per tutto il primo tempo. Ma nel finale di una gara tirata, con il Simmenthal carico di falli, Varese fece alzare Gennari. Vianello uscì per falli, poi anche Riminucci. Così mentre Milano perdeva pezzi, Varese aggiunse il suo secondo straniero, che segnò 10 punti in quel finale, finendo per dilagare 75-59. Ma il dopo gara fu terribile. Bogoncelli sottolineò come Gennari avesse giocato tutto l’anno da straniero, salvo l’ultima partita di campionato, in cui venne schierato da italiano e che lo status fosse stato ottenuto dopo la fine della stagione, dunque, come poteva giocare lo spareggio un giocatore mai tesserato prima? La storia andò avanti per due mesi e venne risolta da un intervento “esterno”: il padre di Gennari, Secondo, ottenendo il passaporto americano aveva rinunciato implicitamente, forse a sua insaputa, come spiegavano le leggi dell’epoca, alla cittadinanza italiana che avrebbe potuto riottenere se solo l’avesse chiesta. Ma non lo fece. Questo venne appurato da un’indagine speciale richiesta dalla Fip. Quindi Gennari, il giorno della gara, non era ancora diventato italiano. Con oltre due mesi di ritardo, e anche dopo l’ulteriore ricorso di Varese, la gara venne omologata con il 2-0 a tavolino a favore del Simmenthal.
40 MINUTI DI ZONA – Varese aveva ancora Dino Meneghin e Bob Morse, ma Milano era una squadra di nuovo in ascesa nel 1979 quando in semifinale, un po’ a sorpresa, arrivò a sfidare l’allora Emerson. Era l’anno della cosiddetta Banda Bassotti, che oggi non sembrerebbe tale, ma a quell’epoca si giocava quasi sempre con due lunghi alti e pesanti e le ali piccole erano regolarmente oltre i due metri. L’Olimpia non aveva centri di ruolo e schierava di fatto due ali piccole e un’ala forte. Dopo aver eliminato la Stella Azzurra, il Billy in Gara 1 partì 31-10 dopo 10 minuti e vinse 86-76. Varese rispose andando a sbancare il Palazzone di San Siro. Ma in Gara 3, Coach Peterson cavò dal cilindro magico una sorpresa, utilizzando i cinque titolari per 40 minuti filati senza sostituzioni. A sei minuti dalla fine, aveva tre uomini con quattro falli e due con tre. Gli ultimi due commisero due falli nei restanti sei minuti. Tutti finirono con quattro falli, la mitica zona 1-3-1 fece il resto e Milano eliminò Varese volando in finale. Finì 87-84- I fantastici cinque: Mike D’Antoni, Franco Boselli, Mike Sylvester, CJ Kupec, Vittorio Ferracini.
LA FINALE DI COPPA KORAC – Nel 1985, Milano e Varese si sono date battaglia anche in una finale europea. Non era mai successo prima. L’Olimpia era reduce da due secondi posti consecutivi e due finali europee perse, in Coppa dei Campioni contro Cantù nel 1983, in Coppa delle Coppe nel 1984 contro il Real Madrid. Di fatto, sempre all’ultimo tiro. Nel 1985 però l’Olimpia aveva Joe Barry Carroll e passò come un trattore sopra la competizione vincendo otto partite su otto per strappare il pass per la finale di Bruxelles. Varese era una squadra forte, con Meo Sacchetti, due ex come Francesco Anchisi e Dino Boselli, il giovane Cecco Vescovi, Riccardo Caneva e due americani strepitosi, John Deveraux e Corny Thompson. L’Olimpia dominò il primo tempo nonostante una prestazione inusualmente negativa di Carroll, grazie a Roberto Premier (23 alla fine). All’intervallo era avanti di otto, poi Carroll uscì addirittura per falli. Poi successe anche a Premier e Varese trascinata da Sacchetti (28 punti) risalì fino a meno uno. Nell’ultima parte di gara fu Russ Schoene, che a inizio stagione aveva rischiato il taglio, a dominare la scena finendo addirittura a 33 punti nel successo 91-78.
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