Stefano Tonut, leader dell’Umana Reyer Venezia, compie oggi 28 anni. Il ritratto è di Roberto Gennari
C’è un concetto che viene spesso associato, a volte anche in modo arbitrario, alle personalità di potere, ed è quello della forza tranquilla, si dice che a coniare l’espressione sia stato il francese Léon Blum. Un modo di dire diventato ormai celebre al punto di farne uno slogan – di solito, quando questo avviene, è il momento in cui il concetto inizia a perdere di efficacia, ma per fortuna non è questo il caso. Stefano Tonut, sul rettangolo di gioco, è questo, nella sua pulizia tecnica, nella consapevolezza dei propri mezzi acquisita per mezzo di una gavetta perfino più lunga di quello che sarebbe dovuta essere: una forza tranquilla, che i flutti delle partite, delle stagioni, perfino della vita non possono spostare.
Tonut da sempre indossa la maglia numero 7, com’era quella di papà Alberto, un cognome che dalle sue parti vuol dire qualcosa, quando si decide di dedicarsi alla palla a spicchi. “Ma nella mia testa, io non sono mai stato un figlio d’arte”, dice Stefano, di cui qualche tempo fa proprio suo padre ha detto “Mi ha superato, e non da ora”. La famiglia, infatti, è riuscita nella non semplice impresa di lasciare campo libero al figlio, cosa non scontata perché quando a Trieste ti chiami Tonut e tuo padre si è fatto vent’anni di serie A, ecco, ci sta che su di te ci siano delle aspettative, così come da altre parti ce ne sono state per i fratelli Gentile e per Danilo Gallinari, è normale. Ma a Stefano niente di niente è stato imposto: per due anni, infatti, ha praticato sia calcio che basket, con poche parole d’ordine trasmesse dai suoi genitori. Divertiti, impara a stare in gruppo, sii determinato ma rispettoso nei confronti di tutti. A un certo punto, poi, è stata proprio sua la decisione: il basket era più divertente del calcio, per lui, e basket è stato. Nonostante il cognome, o forse proprio per quello, a Stefano non è mai stato regalato nulla. A 18 anni l’esordio in Serie B con la maglia di Monfalcone, prima di tornare a casa sua, a Trieste, in A2.
Tallinn, 21 luglio 2013.
Stefano è in A2 in maglia Trieste, abbiamo detto, ma non è che giochi tantissimo, anzi. Nonostante questo, a fine campionato arriva la chiamata per il pre-raduno azzurro da parte di Pino Sacripanti, l’occasione sono gli Europei Under 20 in Estonia. Stefano pensa che magari non passerà i tagli per arrivare nei 12, ma è felice di essere lì, perché la strada fino a quel punto è stata tosta e senza scorciatoie: se è stato chiamato è solo grazie al duro lavoro di tutti gli anni precedenti. E poi invece va a finire che Stefano per quell’europeo viene convocato, Stefano quell’europeo lo gioca, lo gioca tra i protagonisti, lo porta a casa, segnando 10 punti nell’infuocata finale contro la Lettonia, di cui 5 decisivi per ricucire lo strappo dopo il primo break estone. Eppure, nell’immediato, la sua vita non cambia. Ancora A2, ancora Trieste, ancora gerarchie da scalare. Non fa niente, c’erano i preziosi consigli di papà Alberto, ci sono anche oggi, ci sono i mantra che sono gli stessi di quando si divideva tra basket e calcio. Divertiti, impara a stare in gruppo, sii determinato ma rispettoso nei confronti di tutti. È nella stagione 2014-2015 che si comincia, infine, a intravedere qualcosa delle reali potenzialità di Stefano ad alti livelli. In un campionato sempre molto competitivo ed equilibrato com’è l’A2, il ventunenne Tonut viaggia ad oltre 19 punti di media, ed è definitivamente pronto per il salto nella massima serie. Arriva la chiamata di Venezia, dove c’è già Michele Ruzzier, triestino come lui e suo coetaneo, nonché compagno del blitz in terra estone di due anni prima. Ancora una volta, ci si deve rifare da capo, ci sono gerarchie da scalare, minuti in campo da conquistare, in un contesto profondamente differente rispetto a quello triestino, con dei coach parecchio diversi da Dalmasson. Il debutto avviene con Recalcati, e a fine stagione a Venezia si decide di promuovere il suo vice, Walter De Raffaele, col senno di poi una mossa destinata a rimpolpare le bacheche dei trofei di casa Reyer. “De Raffaele è sicuramente il coach con cui mi diverto maggiormente agli allenamenti: da buon livornese, ha sempre la battuta pronta, il che spesso aiuta a stemperare certi momenti. Come Meo Sacchetti, è un coach che sa stare molto coi giocatori.”
Pesaro, 16 febbraio 2020.
Questo spirito e questo approccio abbiamo visto, in Tonut e in tutta Venezia, in quello che è stato il trionfo forse più inaspettato, quindi per certi versi il più bello, di questi anni della Reyer: la Coppa Italia 2020 a Pesaro. Venezia che si presenta alle FInal Eight con l’ultimo posto disponibile, ottenuto nell’ultima giornata del girone di andata e grazie ad un tap-in di Austin Daye sulla sirena contro la Virtus Roma. Il tabellone conseguentemente ostico, che li vede opposti prima alla Virtus Bologna, battuta 82-81 al supplementare con un canestro clamoroso di Daye, poi all’Olimpia Milano, superata 67-63 solo nel finale, e infine alla Happy Casa Brindisi, con la finale che si chiude sul 73-67. Undici punti di scarto complessivi in tre partite da dentro o fuori, una squadra che in quattro giorni ha saputo ritrovarsi, tenere i nervi saldi, essere solida e compatta come lo sono i grandi gruppi. E in questo contesto, il premio di miglior difensore del torneo, andato proprio al numero 7 di Venezia, è un premio all’abnegazione e all’applicazione di un ragazzo che non si è limitato ad andare in doppia cifra in tutte e tre le occasioni, ma ha voluto dare quel qualcosa in più per portare un’altra gioia in laguna. Venezia, peraltro, è un po’ una splendida anomalia del campionato italiano: il nucleo degli americani che resta sostanzialmente lo stesso di anno in anno, con Bramos, Watt, Stone, Daye, che non sono più “semplicemente” gli americani della squadra, dei corpi estranei calati dall’alto in una squadra, ma sono ragazzi con cui si parla di tutto, si fa gruppo e giorno dopo giorno si cerca di migliorare insieme. “Questa coesione del gruppo, favorita dalla continuità, è stato uno dei motivi dei successi di Venezia, ne sono certo.”
Venezia, 8 giugno 2021.
https://www.facebook.com/stefanotonut7/posts/224609552807875
Sono passati quasi otto anni da quell’insperato trionfo di Tallinn. Ci sono state tante di quelle istantanee, in mezzo, che a ripercorrerle tutte ci vorrebbe un sacco di tempo. Sono tutte istantanee che Stefano Tonut ha bene impresse in mente, però. È un album dei ricordi pesante ma il cui peso non è mai stato così dolce come in questo giorno: il suo nome è infatti stato inserito in un albo d’oro in cui a leggere i predecessori c’è da far tremare i polsi. Carlton Myers, Sasha Danilovic, Vincenzo Esposito, Manu Ginobili, Gianluca Basile, Danilo Gallinari, Gigi Datome solo per citarne alcuni: Stefano Tonut è l’MVP del campionato 2020-2021. Ironia della sorte, questo riconoscimento arriva nella prima stagione senza titoli per la Reyer, dopo che per 4 anni consecutivi in laguna si era festeggiato alzando un trofeo. Lo scudetto del 2017, ben 74 anni dopo l’ultimo titolo tricolore di Venezia; la FIBA Europe Cup l’anno dopo; il bis del titolo tricolore nel 2019, la Coppa Italia nel 2020. “Non me lo aspettavo, sono sincero, soprattutto per il tipo di gioco che ho sempre cercato di esprimere. Vincere un premio individuale è una sensazione molto diversa rispetto a vincere un trofeo con la squadra. Il secondo è sempre molto, molto più emozionante, ma un riconoscimento così prestigioso mi ha riempito d’orgoglio, reso ancora più fiero del cammino fatto fino ad ora, e ancor più motivato a proseguire in quella che per me è la direzione giusta.” Un premio arrivato sicuramente a sorpresa, perché Stefano è un giocatore che è sì in grado di andare sopra i 20 punti in una partita, ma che soprattutto è attento a cercare di fare la cosa più utile per portare la propria squadra alla vittoria, che si tratti di un canestro, di un passaggio, di una palla rubata o di un tuffo per provare a recuperare una palla vagante poco importa.
Saitama, 3 agosto 2021.
“Eh sì, questa appena finita è stata davvero un’estate clamorosa. Ma quello che è successo non è stato un caso: tutti gli anni di lavoro e sacrifici, di tutti noi, ci hanno portati a competere in contesti sempre più importanti. Già prima del preolimpico lo sapevamo: questo gruppo era coeso, era consapevole dei propri mezzi, era pronto. Sia fisicamente che mentalmente.”
Il cammino degli azzurri di Meo Sacchetti si chiude ai quarti di finale, non senza qualche rammarico, al termine di una partita meravigliosa contro la Francia dei vari Gobert, Batum, Fournier e De Colo. Una squadra che è arrivata ad un Kevin Durant di distanza da un clamoroso oro olimpico, diciamocelo. Per i criteri FIBA e del CIO, quel giorno di agosto l’Italia esce dalle Olimpiadi chiudendo al quinto posto, diciassette anni dopo l’ultima partecipazione degli azzurri alla rassegna dei cinque cerchi. Solo nove giorni prima, il 25 luglio, alla sua prima partita in maglia azzurra in una manifestazione “maggiore”, Tonut era stato uno dei migliori in campo nel successo contro la Germania nella partita inaugurale: per lui 18 punti con 8-13 dal campo. Le mille lezioni ricevute in tanti anni lo hanno portato sul palcoscenico più importante concentrato e determinato, una “forza tranquilla” che si è lasciata alle spalle tutti i bocconi amari masticati per arrivare fino a lì. Ma non è un punto d’arrivo, sia chiaro, tutt’altro. “Già a settembre del prossimo anno ci sono gli Europei, abbiamo il girone in casa, abbiamo voglia di fare bene e non saremo più una rivelazione per nessuno.” Già, l’Europeo. Il titolo più importante portato a casa da papà Alberto, un titolo che manca a Stefano. Che però ha saputo in un certo senso ribaltare una gerarchia: adesso è Alberto ad essere il papà di Stefano, e non più Stefano Tonut ad essere “il figlio d’arte”. I due si sentono ancora oggi prima e dopo ogni partita, e i consigli di papà hanno sempre un peso speciale, non solo nel giocatore, quanto piuttosto nell’uomo. “I suoi consigli sono sempre molto utili, sia a livello tecnico che di approccio alla partita. Ne faccio tesoro ogni volta, perché lui è stato un grande della pallacanestro italiana, e perché la mia famiglia, così unita, è sempre stata per me un punto fermo, soprattutto nei momenti più difficili della mia carriera.” Adesso Stefano Tonut vuole tornare a vincere con la Reyer, vuole confermarsi tra i migliori del nostro campionato, vuole giocare gli Europei da protagonista, possibilmente fino a Berlino, dove le partite saranno a eliminazione diretta e serviranno nervi saldi, servirà esperienza in partite del genere, servirà forza tranquilla. Come è stato nella Coppa Italia del 2020, come è stato nella meravigliosa serie dei quarti di finale dei playoff scudetto 2021, chiusa solo a gara-7 con una rimonta clamorosa, completata a 23 secondi dalla fine con una sua tripla dal palleggio per il 92-91 in favore di Venezia. Chi lo avrebbe detto, solo dieci anni prima, quando l’attuale MVP del campionato giocava in B a Monfalcone? Lui, di sicuro, non ha mai smesso di provarci.
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