Capitano dell’Openjobmetis Varese e leader carismatico della formazione biancorossa, Olivier Hanlan è stato il protagonista settimanale della rubrica LBA “5 domande a…”
Tre vittorie consecutive ottenute da grande squadra, ma soprattutto è nata subito una connessione incredibile nella coppia Mannion-Hanlan. Qual è stato il click che ha spinto Varese verso questa serie di vittorie e come definiresti la chimica che hai creato con Niccolò?
Il click è arrivato sicuramente grazie allo sforzo di tutta la squadra, ma ciò di cui non si parla abbastanza è la dimensione difensiva che ci ha dato Spencer [Skylar, ndr]: il suo lavoro sporco, il modo in cui apre il campo e crea gli spazi per gli esterni, i tagli in area e tutta quella dinamicità che porta sul parquet. Sicuramente l’aggiunta di Nico [Mannion, ndr] è stata fondamentale per noi: il ragazzo negli ultimi anni ha cambiato un po’ di squadre, è stato colpito da un virus, ma ora credo sia vicino al 100% sia mentalmente sia fisicamente; la filosofia del nostro coach si sposa alla perfezione con il suo modo di giocare, così lui può esprimere tutto il talento a disposizione. Ecco sì lo avremmo voluto volentieri fin dall’inizio della stagione, perché sono certo ci avrebbe dato una mano incredibile, però siamo felici di averlo ora in squadra e lui non ci ha messo molto per conoscere il nostro modo di giocare. Siamo molto simili: ci piace giocare palla in mano, sfidare uno contro uno l’avversario, penetrare e concludere al ferro, però sappiamo perfettamente come convivere sul parquet; la nostra non è competizione, non siamo in gara per vedere chi fa meglio, ma ci dividiamo equamente ogni possesso e cerchiamo entrambi di portare lo stesso contributo per fare il bene della squadra.
Avete mancato la qualificazione alla Frecciarossa Final Eight, ma ora vi aspettano quattro partite cruciali per raddrizzare il vostro cammino in FIBA Europe Cup. In questo momento quali sono gli obiettivi della squadra nel breve e nel lungo termine?
L’obiettivo chiaramente è quello di vincere il maggior numero possibile di partite. Abbiamo avuto un inizio di stagione davvero strano, abbiamo perso un paio di partite credo di uno o due punti e questo inizialmente ci ha abbattuto perché sapevamo quanto stavamo lavorando sodo. Il cammino però è ancora lungo e possiamo costruirne uno tutto nuovo nella seconda parte della stagione; la società sta investendo molto per aggiustare il roster, sta aggiungendo giocatori utili alla causa e di estrema qualità in modo da risalire la corrente. Il gruppo è unito, l’aria che si respira non è pesante, concorriamo tutti quanti per gli stessi obiettivi, ma certamente abbiamo tanto lavoro da fare. A partire da mercoledì dovremo approcciare ad ogni gara di coppa come se fosse una finale, perché le due sconfitte contro Chemnitz e Leiden hanno reso tutto un po’ più difficile; lo stesso vale anche a partire dalla prossima sfida di campionato contro Venezia. Sarà una lenta risalita, ma stiamo vivendo il momento in maniera positiva: noi siamo positivi, il coach è positivo, i tifosi sono fiduciosi e sanno il perché abbiamo avuto alti e bassi; per questo motivo noi dalla gara di coppa in poi dovremo proseguire con questa striscia di risultati utili e non farci abbattere alla prima difficoltà, perché la strada da percorrere è ancora lunga.
Ti andrebbe di raccontare com’è stato nascere da giocatore di pallacanestro in Canada e affermarti come tale in Europa dopo aver vissuto però tutta la trafila negli Stati Uniti tra college e draft NBA?
Io vengo dalla parte francese del Canada dove lo sport principale è sicuramente l’hockey, perciò distinguersi come giocatore di pallacanestro non è la cosa più facile. In giovane età sono riuscito a farmi strada in questo sport, durante gli anni alle scuole superiori mi sono guadagnato le prime convocazioni in nazionale e da lì ho iniziato a guadagnare visibilità, perché ho iniziato a spostarmi dal territorio canadese per giocare. L’esposizione ottenuta con la nazionale mi ha permesso di guadagnare una borsa di studio per frequentare Boston College e andare negli Stati Uniti, per chi vuole diventare un professionista nella pallacanestro, è sempre la cosa migliore da fare. Ci sono tanti tornei, tanti occhi che ti guardano, tante scuole che ti offrono un posto in squadra, tanta attenzione ed esposizione; perciò sì, all’inizio è stato molto difficile farmi notare in Canada, ma dalla prima convocazione in nazionale – utile per mettermi in mostra girando il mondo – fino al mio arrivo negli states, il percorso è stato in discesa. Dal college poi è arrivata la chiamata al Draft, l’interesse di numerosi team europei e tutta l’esperienza che ho acquisito fino ad oggi grazie a cui ho conosciuto culture diverse e diversi stili di pallacanestro. In Italia mi sto trovando bene perché il campionato è tra i migliori, vengono qui alcuni dei giocatori più forti d’Europa, i giovani italiani sono davvero dotati di enorme talento e c’è competitività tra tutte le squadre che partecipano alla Lega.
Hai indossato la divisa della nazionale canadese nel 2010 conquistando il bronzo al Mondiale U-17, successivamente hai avuto modo di giocare anche per la nazionale maggiore. Che emozioni suscita la possibilità di rappresentare il proprio paese facendo lo sport che si ama?
È sempre un grande onore poter indossare la divisa della propria nazionale. La prima volta mi pare avessi circa diciassette anni, poi ho fatto tutta la trafila nelle varie selezioni giovanili prima di debuttare con quella maggiore. Negli ultimi cinque anni, la nazionale canadese ha avuto una crescita esponenziale non solo grazie ai giocatori della NBA, ma anche a quelli che giocano qui in Europa e si esprimono a livelli molto alti. Se guardo a qualche anno fa, ricordo nitidamente di come non ci si pronunciasse riguardo al Canada come terra di sviluppo per giovani giocatori di basket, eppure c’è stata un’inversione di tendenza negli ultimi cinque o dieci anni che ha cambiato radicalmente anche questa visione nel mio paese. Rappresentare la propria nazione è davvero un onore incredibile e adesso che è diventata una selezione con la sua credibilità sono fiero dei risultati che stiamo ottenendo, soprattutto per alcuni dei miei più cari amici che tutt’ora contribuiscono a renderla una nazionale tra le migliori al mondo. In estate quando torno nella mia città e vedo l’entusiasmo portato da questi risultati o quando vedo dove sono arrivati alcuni dei miei vecchi compagni che ora giocano in NBA o in Europa, ecco lì percepisco come negli anni quel piccolo gruppo di persone che eravamo oggi si sia trasformato in un enorme gruppo. La qualificazione alle Olimpiadi di Parigi è l’ultima dimostrazione di quanto sia cresciuto il movimento in Canada e di quanto bene sia stato fatto negli anni.
Conosciamo la tua passione per le carte da collezione, soprattutto le NBA Memorabilia che hanno una storia tutta loro. Hai qualche pezzo unico di cui non ti priveresti mai o che sia valso ogni centesimo della sua spesa? Ci sono altri hobby di cui sei particolarmente entusiasta?
In realtà non ho molte carte con me, ma ricordo che durante il mio periodo in Grecia avevo conosciuto questo grande collezionista di nome Chase. Un giorno mi mostrò il suo negozio [Trace ‘n Chase, ndr] pieno di articoli pazzeschi che comprendeva carte, magliette firmate e tante altri oggetti arrivati dagli Stati Uniti e rimasi completamente colpito. Mi regalò tutta una serie di carte in cui ero rappresentato ai tempi del college, ma aveva davvero ogni sorta di cimeli e fu davvero folle trovarmi di fronte a tutto quello. Vorrei iniziare ad avere una vera e propria collezione tutta mia, non so se ci riuscirò, ma so che l’industria delle carte da collezione è enorme, un business folle che muove tantissimi soldi e appassiona collezionisti di tutto il mondo. Tra i miei hobby sicuramente c’è la musica e da canadese non posso che essere un grande fan di Drake, così come lui è un grande appassionato di pallacanestro, perciò averlo nelle orecchie durante l’allenamento o nei pre-partita è decisamente come portare il Canada sempre con me. Un’altra passione di cui sono particolarmente entusiasta è quella per le macchine! Sono un grande amante delle macchine ed è una passione condivisa con altri membri della società. Mi hanno portato a vedere i quartieri generali della Ferrari, mi hanno mostrato alcuni posti in cui sono le Lamborghini; l’Italia è il paese che ha le auto più belle quindi sono capitato proprio nel posto giusto. A febbraio mi piacerebbe venire a Bologna e nei dintorni per vedere tutta la storia e la cultura che avete dietro le vostre macchine. La mia macchina preferita? Attualmente la Ferrari SF90, credo sia una delle più belle prodotte negli ultimi anni.
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