Intervistato da Alessandro Maggi su QS, Giacomo Galanda ha deciso di raccontare la sua storia in un libro, “La mia vita a spicchi”: “Negli anni in tanti mi avevano chiesto di farlo, ma non avevo mai trovato il momento giusto. Avvicinandomi ai 50 anni, mi ha chiamato un editore che conoscevo e stavo per dire di no. Ma mi sono detto: o lo faccio adesso, o non lo farò mai più. Il libro è nato parlando con gli amici, riportando dialoghi veri, aprendo scatoloni di ricordi, foto e lettere. È stato un percorso bellissimo, fatto con persone importanti della mia vita come Omar Pedruini, Bulleri, Recalcati, Dino e Andrea Meneghin”.
È stato difficile leggere il proprio passato? “Molto impegnativo. Fermarsi e ripercorrere certi momenti, rimettere ordine nei ricordi e racchiuderli in un libro è stato un esercizio di introspezione. Ma ha avuto anche un significato più grande: parte del ricavato andrà a Dynamo Camp, di cui sono ambasciatore”.
Rimpianti a fine carriera? “Nessuno. Sono strafelice di come ho iniziato, finito e di tutto ciò che ho vissuto. Ho dato tutto fino all’ultimo. Nell’ultima stagione a Pistoia giocavamo in otto, ma abbiamo costruito qualcosa di speciale e portato l’Olimpia poi campione d’Italia sino alla bella. Ho finito col tutore al ginocchio dopo un infortunio, ma ho dato tutto. Non ho pensato fosse l’ultima partita, l’ho realizzato alla sirena”.
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