Dove tutto nasce: Aldo Giordani, per chi non l’ha mai vissuto

Dove tutto nasce: Aldo Giordani, per chi non l’ha mai vissuto

A inizio 2024 il basket italiano ha celebrato i 100 anni dalla nascita del “Jordan”, uno dei principali cantori del nostro sport nel nostro paese

A inizio 2024 il basket italiano ha celebrato i 100 anni dalla nascita del “Jordan”, uno dei principali cantori del nostro sport nel nostro paese. Come si può spiegare la sua importanza a chi non l’ha vissuto in presa diretta?

 

Ci vuole una premessa fondamentale per iniziare, per accompagnare chi leggerà i prossimi paragrafi: l’autore di queste parole è nato qualche mese dopo la morte del protagonista di questa storia. Tutto quello che ho visto di Aldo Giordani – testi letti, partite raccontate – è infatti arrivato declinato al passato. Sarebbe impossibile, per qualcuno nato dopo che non l’ha mai realmente vissuto, poter redarre una retrospettiva biografica completa e approfondita su uno dei personaggi più importanti del nostro sport, la cui rilevanza non sta soltanto nell’essere stato testimone e cantore di eventi che hanno segnato la storia cestistica italiana.

Quello che seguirà nelle prossime righe non sarà una biografia, ma un tentativo di riflessione collettiva. Come si può fare capire, a chi non l’ha mai vissuto, chi era Aldo Giordani? Una risposta immediata e semplice porterebbe a dire che c’è una sua traccia in tanto, molto, di come siamo abituati a parlare di basket e fruire della pallacanestro come spettatori. Nato a Milano il 28 febbraio 1924, Aldo Giordani nel primo terzo della sua vita ha sperimentato la pallacanestro in molte vesti. Da giocatore, quando si divideva tra l’atletica e la palla a spicchi, per poi arrivare fino alla Serie A con la Ginnastica Roma.

Da allenatore, vincendo uno scudetto a livello femminile con l’Indomita Roma. L’abito indossato più a lungo, per tutta la sua vita adulta, è sicuramente quello del giornalista. Voce della prima telecronaca di basket mai realizzata in Italia – una partita femminile nel 1954 tra Autonomi Torino e Marsiglia – Giordani ha raccontato con la sua voce e la sua penna la pallacanestro a generazioni di italiani, creando le premesse per la popolarità e il seguito del nostro sport.

Nel modo che abbiamo oggi di fruire di contenuti sportivi è impossibile scindere il ricordo di una grande vittoria dalla voce che l’ha accompagnata e raccontata. Pensate a una volta in cui avete esultato per la vostra squadra preferita o per l’impresa di un atleta: è altissima la probabilità che al momento di attingere nella vostra memoria sentirete riecheggiare la voce di una telecronaca o radiocronaca. Eventuali frasi o parole particolari, perfino l’enfasi nel tono di voce.

Aldo Giordani non è stato soltanto il telecronista del basket italiano dal momento in cui è nata la televisione al momento in cui la pallacanestro si è realmente affermata a livello nazionale prima e globale dopo. È stato uno dei suoi cantori prediletti, soprattutto da colonne nate su sua iniziativa primaria come il Guerin Basket o, a fine anni ‘70, Superbasket.

Una presenza totale e completa, divenuta col tempo familiare non soltanto per generazioni di appassionati del nostro sport, ma anche per persone diventate col tempo figure professionali legate, in modo indissolubile, al mondo del basket e in generale dello sport. Professionalità che sono parte dell’immensa eredità lasciata da Giordani, il cui percorso è così distante nel tempo ma vicino nei ricordi. Erano anni diversi, e forse soffermarsi sul ricordare certe frasi non aiuta a rendere l’idea dell’eccezionalità della persona, del giornalista, dello sportivo quanto, invece, pescare nei ricordi di chi l’ha vissuto in prima persona.

A venirci incontro è un libro, “Quando il basket era il Jordan – Aldo Giordani vent’anni dopo” (ed. Libreria dello Sport), scritto a 20 anni dalla scomparsa del protagonista di questa storia. Un volume che raccoglie le testimonianze di diverse personalità di spicco della pallacanestro italiana, che del percorso di Giordani sono stati testimoni o anche partecipanti attivi.

Vive ancora tra noi. Si dice che la gloria è postuma ma lui, i meriti, se li è comunque visti riconoscere strada facendo, lungo quel percorso fatto di passione e competenza, attraverso il quale è riuscito a costruire un mito. Il suo mito”, si legge nel ricordo di Gianni Petrucci, ai tempi del libro Presidente del CONI.

Aldo Giordani ha criticato, influenzato, stroncato, ha insegnato giornalismo cestistico, l’elementare terminologia tecnica americana”, dice Sandro Gamba. “Ha descritto con parole indimenticabili la bellezza del basket: è l’atletica giocata”. “Quando ho iniziato lui c’era già, il migliore senza mai darsi arie da guru, e c’era durante e c’è anche adesso”, il ricordo di Pierluigi Marzorati. “Perché non è vero che è assente. In questi anni ha vegliato su di noi e, ne son certo, avrà continuato a vergare i suoi celebri pallini. Vive nel battito di ogni palleggio della palestra milanese a lui dedicata, in ogni soffice aerea parabola a canestro”.

Ciò che è importante capire, di Aldo Giordani e della sua eredità, è quello che ha trasmesso in decenni da osservatore, narratore, promulgatore del nostro sport. Negli anni ha avuto, come missione, quella di avvicinare il maggior numero possibile di persone alla bellezza della pallacanestro. Alle sue peculiarità tecniche, atletiche, agonistiche. Senza dipingere un mondo dove è tutto roseo, scevro da difetti o aspetti migliorabili. Semplicemente passando il testimone di un amore indelebile, rendendo fertile un terreno che prima di lui nemmeno esisteva.

Andando di pari passo con decenni di sviluppo tecnologico, Giordani ha inventato da zero un modo di raccontare la pallacanestro passando dalle prime telecronache “da uno scantinato” – dal momento che non era permesso al cronista l’accesso al campo – a quelle on site a testimonianza dei più grandi trionfi italiani. Dei nostri club, protagonisti in Europa in un innumerevole numero di finali e successi, alle Nazionali con l’apice rappresentato dal glorioso oro europeo di Nantes.

Ha portato, prima di altri, anche il basket più lontano da noi nelle nostre case, creando le premesse per il boom di popolarità che la NBA ha avuto in Italia tra gli anni ‘80 e gli anni ‘90, prima del nuovo millennio e del potere vedere alcuni nostri portabandiera protagonisti con continuità oltreoceano.

Vivendo lo sviluppo tecnologico di un’Italia cambiata in maniera incredibile in quei decenni, passando dalle prime telecronache sopracitate al racconto dal vivo delle imprese azzurre e dei nostri club in giro per l’Europa, alla voce rotta dall’emozione per “i campioni della difesa che fanno anche più di 100 punti, viva Dio” nella Finale del 1983 a Nantes. Tantissimo di quello che oggi ci sembra normale, che quasi diamo per scontato, legato alla pallacanestro e al modo in cui questa è comunicata e fruita, nasce da Aldo Giordani.

Nasce da una persona, da un professionista che negli anni è stato soprannominato come “Jordan”, semplificando e americanizzando il suo cognome prima che Jordan divenisse effettivamente il nome del giocatore che ha cambiato per sempre questo sport e che il termine “Jordan” diventasse sinonimo di grandezza incontrastata e imparagonabile, a meno di volersi imbarcare in discussioni infinite e confronti generazionali inapplicabili.

Lo hanno chiamato in tanti Jordan, ma Aldo era un Magic: capace di far crescere chi gli era vicino, di far vincere la sua squadra non necessariamente con il canestro decisivo, sempre però con un passaggio vincente”, si legge nel ricordo di Gianni Corsolini, sempre da ‘Quando il basket era il Jordan’. “Amico del basket e per questo amico, istantaneamente, della gente del basket”.

Spesso accade, quando si parla di Aldo Giordani con qualcuno che ha vissuto la sua epoca da testimone, da spettatore fedele e appassionato, di cogliere un certo aspetto nostalgico per tempi gloriosi mai più rivisti in quell’atmosfera magnifica. Se si guarda a cronistorie e albi d’oro, è difficile dare torto all’interlocutore che ci narra di queste epoche: erano anni in cui la vittoria, a livello internazionale, era quasi abitudine per chi batteva la bandiera italiana.

Stagioni in cui capitava di ammirare, sui parquet del nostro paese, giocatori di livello assoluto, che dopo essere stati protagonisti ai livelli più alti sceglievano l’Italia come approdo concreto e non come pensione dorata. Anni verosimilmente irripetibili, anche perché da allora sono cambiati gli equilibri di forza tra paesi e, in generale, la competitività a livello continentale. Di quegli anni fantastici Aldo Giordani è uno dei protagonisti cardine, legato in maniera indissolubile a momenti che resteranno per sempre inscalfibili.

Sarebbe un errore, però, indugiare nella nostalgia ed è qualcosa che negli stessi scritti, e ricordi, del “Jordan” possiamo rintracciare. È quella passione, quell’amore viscerale, per la pallacanestro che rappresenta un’eredità non soltanto fantastica quanto assolutamente contemporanea. Un sentimento da preservare, coltivare e mantenere guardando a un futuro dove la domanda non può essere tanto il chiedersi se esisterà un altro Aldo Giordani. Quanto, invece, se continuerà a essere tramandato tale sentimento di amore genuino, autentico, allo stesso tempo critico e propositivo verso lo sport che ci unisce e ci accomuna.

Dopo Jordan il basket si è evoluto, trovando nuovi protagonisti e punti di riferimento. Questo è avvenuto anche dopo “il Jordan”, e non soltanto grazie alla capacità da tedofori e testimoni di chi è stato allievo di Giordani, tramandando il sopracitato sentimento insieme alla capacità e al rigore etico nel raccontare il basket italiano. Non sappiamo cosa riserverà il futuro, ma è altrettanto vero che la bellezza sta anche nel percorso.

Quello di Aldo Giordani è autentica fonte di ispirazione, esempio per tutti coloro che aspirano a raccontare anche soltanto 1/100 degli eventi e dei momenti importanti da lui narrati. Guardare avanti al futuro, forti di un passato reso grande anche da chi l’ha saputo raccontare con passione e amore, può rivelarsi il modo migliore per mantenere viva un’eredità dal valore incalcolabile, le cui conseguenze continuano a essere evidenti a 100 anni dalla nascita di Giordani o a 70 da quella prima storica partita trasmessa in televisione, e commentata da uno sgabuzzino sotterraneo, poiché – come ricordò anni dopo lui stesso – ai tempi si riteneva che il telecronista non dovesse mai vedere il campo. Altri tempi, ma essenziali per comprendere come si è arrivati al presente e come si può provare a immaginare il futuro del nostro sport e di come questo viene coperto e raccontato.

Ennio Terrasi Borghesan