Uno dei nuovi innesti della Bertram Derthona Tortona, Colbey Ross, si racconta dentro e fuori dal campo nel format “5 domande a…”
Una grande vittoria contro Venezia grazie ad una prova che può fungere da spartiacque per Tortona in questa seconda metà di stagione. Quali erano le tue aspettative quando hai deciso di accettare la corte della Bertram Derthona?
Sapevo già quanto fosse buona e seria l’organizzazione di questa società, la loro volontà di vincere le partite importanti, perciò le mie aspettative quando sono arrivato erano quelle personali di aiutare la squadra ad ottenere quante più vittorie e contribuire in maniera consistente. Abbiamo un roster davvero competitivo: infatti, dopo questo successo contro Venezia ci siamo subito resi conto di quanto possiamo andare lontani e dove possiamo mettere l’asticella settimana dopo settimana. Coach De Raffaele nelle ultime settimane mi ha preso da parte per rivedere alcune partite insieme, mi ha mostrato subito quali parti del mio gioco devo migliorare e in quali posso dare un contributo maggiore soprattutto in fase difensiva. Vuole che io sia in grado di ritagliarmi un ruolo da leader e che faccia tutto ciò che è in mio possesso per aiutare la squadra a vincere; in questo percorso Kyle Weems e Chris Dowe mi stanno aiutando molto, mi stanno facendo prendere fiducia nei miei mezzi e conoscere quali siano le meccaniche del gruppo.
Sei tornato nel nostro campionato dopo aver vinto il premio di MVP in seguito ad una stagione praticamente perfetta a Varese. Oggi sei a tutti gli effetti “l’architetto” di Tortona, come ti sei sentito a ricevere il trofeo di miglior giocatore di fronte ai tuoi nuovi spettatori?
Ha significato molto per me e ringrazio tutti quanti, la Lega in generale per avermi riconosciuto questo premio. Sono veramente felice di averlo vinto, sono grato di aver visto i miei sforzi ripagati e riceverlo di fronte al pubblico è stato fantastico, perché mi hanno subito mostrato tanto amore. Devo ringraziare però anche i tifosi, l’organizzazione e tutta Varese per avermi permesso di diventare il miglior giocatore di un campionato così competitivo. Ho lavorato sodo, ma ho anche avuto dei compagni che mi hanno sempre mostrato il loro supporto, un coach che mi ha sempre spinto a fare meglio e probabilmente dovrei ringraziare tante altre persone che in questo momento sto dimenticando. Ammetto di essere davvero felice di essere potuto tornare qui in Italia.
Hai parlato spesso del tuo periodo a Pepperdine University come uno dei più belli che hai vissuto come giocatore. Hai infranto record su record, sei rimasto nel cuore dei tifosi, ma soprattutto hai detto che quell’esperienza ti ha aiutato a migliorare come persona e come giocatore. Ci racconteresti come hai vissuto i tuoi anni a Malibù?
Penso che il mio periodo a Pepperdine sia stato di grande impatto per diventare la persona e il giocatore che sono oggi. Ho avuto un grande coach capace di farmi acquisire fiducia in me stesso e nei miei mezzi; mi ha insegnato a giocare una pallacanestro veloce, mi ha spiegato come poter essere pericoloso in uscita dai blocchi e altri trucchi del mestiere. Laggiù ho conosciuto tante care persone, ho avuto compagni di squadra formidabili e c’era chi mi spingeva a dare sempre il meglio giorno dopo giorno. Ricordo che lavoravo davvero sodo, mettevo la sveglia alle sei del mattino e grazie allo staff atletico e agli allenatori ho potuto migliorare tutti quegli aspetti del gioco in cui ero carente o in cui potevo alzare l’asticella; ho avuto una cerchia di persone che mi ha fatto capire cos’è l’etica del lavoro e questo mi ha aiutato quando sono diventato professionista. Sono stato fortunato a giocare in una città come Malibù in cui al mattino mi svegliavo e avevo l’oceano di fronte, un panorama diverso rispetto a ciò che mi aspettava ogni giorno in Colorado, perciò anche quello è stato un aiuto non indifferente nella mia crescita.
In un’intervista hai detto: “Ciò che amo del basket è la sua capacità di farti migliorare e di farti imparare ogni giorno cose nuove. Questo sport mi spinge ad essere una persona migliore”. Pensi che la pallacanestro possa essere una sorta di scuola dove costruire il proprio percorso e ti faccia capire che tipo di persona si voglia diventare?
Sicuramente l’ambiente intorno alla pallacanestro ti spinge a voler essere una persona migliore ogni giorno. Quando ti alleni bene, giochi bene e tutto gira nel verso giusto senti l’amore delle persone che ti entra dentro e sei invogliato a fare sempre di più. La ragione per cui amo la pallacanestro è che mi consente di dimostrare che ogni giorno posso fare 1% in più rispetto a quanto fatto il giorno prima, non importa che si tratti di allenamento o partita, in ogni caso si può davvero fare meglio rispetto al giorno precedente. Mi sento benedetto per aver potuto rendere il basket un lavoro, potermi svegliare ogni mattina consapevole che questo è ciò che farò per il resto dei miei giorni. Non bisogna dare mai nulla per garantito o per scontato, perciò quando ci si allena o si gioca serve sempre avere la mente libera e godersi il momento. La pallacanestro ha tantissimi insegnamenti: quanto duro si deve lavorare per arrivare lontani, il modo di comunicare con i propri compagni di squadra o con il proprio pubblico; ti insegna a diventare un leader, ti porta in giro per il mondo a scoprire nuove culture e nuovi posti. Il basket mi ha portato a fare nuove esperienze e nuove conoscenze da tenere dentro, perciò sono davvero grato a questo sport anche per il suo modo di indirizzarti verso nuove strade o insegnarti un lavoro per quando avrai terminato la tua carriera sul campo.
Chi è Colbey Ross al di fuori dal campo? Cosa gli piace fare nel tempo libero?
Qui in Italia amo passare il tempo libero con mia moglie: camminare tranquilli, godersi i momenti di quiete e girare il paese il più possibile; sono un ragazzo che ama stare in famiglia, fin da piccolo ho sempre amato passare il mio tempo libero con la mia famiglia e vale lo stesso adesso con mia moglie. Sono una persona che tiene un basso profilo quindi preferisco magari stare a casa a guardare Netflix, non ho un programma preferito ma mi piace guardare sia le serie TV sia i film; poi adoro ascoltare musica rap, musica hip hop, tutti quei generi che mi fanno pensare alla pallacanestro. Mi piacciono le città piccole come Tortona o Varese dove la gente non mi ferma per strada, non grida indicandomi, non perché non mi piaccia essere riconosciuto, ma perché come ho già detto preferisco tenere un basso profilo; mi piace godermi ogni giorno ed essere felice per le piccole cose come una passeggiata o un caffé.
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