In cinque anni nel campionato italiano, Shavon Shields ha giocato cinque finali. Cinque finali consecutive sono un fatto raro, cinque finali consecutive per un giocatore straniero sono un fatto rarissimo (l’ha fatto Mike D’Antoni, ma solo le prime tre erano da straniero), cinque finali nei primi cinque anni sono riuscite solo a lui e a Ksistof Lavrinovic a Siena. Shields ci è riuscito con due squadre diverse. E se è vero che ha perso le prime tre, adesso il trend è invertito. E contando l’esperienza in Spagna, Shields ha giocato sei finali di campionato in sette stagioni e ha vinto tre delle ultime quattro.
Come era successo l’anno scorso, Shields è riemerso in tempo da una stagione difficile. Nel 2021/22, la frattura della mano rimediata a metà stagione l’aveva fatto fuori per tre mesi. Ma gli aveva consentito di rientrare in tempo per giocare la parte conclusiva della stagione di EuroLeague, ottenere la seconda inclusione consecutiva nel secondo quintetto della competizione e giocare i playoff delle due competizioni. Ma l’infortunio di quest’anno è arrivato molto presto, è stato più lungo e più grave perché, con la gamba avvolta in un tutore per settimane, Shields non ha potuto conservare il tono atletico com’era successo la stagione passata. Per questo, recuperare la forma è stato più difficile.
Per riassumere: Shields per un primo infortunio non ha giocato la Supercoppa, per un secondo infortunio non ha giocato la Coppa Italia. Quando si è infortunato in modo significativo, l’Olimpia era imbattuta in campionato e 3-1 in EuroLeague. Senza di lui aveva vinto a Villeurbanne, nel suo esordio stagionale aveva perso dopo un supplementare contro l’Alba Berlino in casa, ma con lui aveva vinto a Belgrado e poi a Monaco dopo la sua uscita di scena. Quando è rientrato in EuroLeague, l’Olimpia era di fatto eliminata anche se il suo rientro, coinciso più o meno con l’arrivo di Shabazz Napier, ha permesso alla squadra una clamorosa volata finale che aveva persino illuso di poter strappare un posto nei playoff in extremis. In tutto, con lui l’Olimpia ha fatto 6-4 in EuroLeague. Il 60% di vittorie in EuroLeague avrebbe garantito il quinto posto. Senza di lui, il bilancio è stato di 9-15, 37.5%. In campionato ha giocato in tutto 25 partite. In generale, l’abbiamo visto per meno della metà delle gare. Ma solo in finale si è visto il vero Shields, dopo la grande prestazione di Belgrado a inizio stagione quando si esibì in un clinic su cosa significhi essere un “two-way player”, un giocatore incisivo sia in difesa che in attacco.
In finale, ha marcato Hackett, Belinelli e Teodosic, ha difeso correndo dietro un attaccante di livello estremo oppure ha difeso a tutto campo contro il playmaker. E poi in attacco, ha giocato con la sua energia usando il tiro dalla media, l’uno contro uno al ferro e, qualche volta, il tiro da tre punti. In finale, ha segnato 14.9 punti a partita più 4.2 rimbalzi, ed è stato decisivo in Gara 5, che in parte ha deciso la serie.
Shields, che ha compiuto 29 anni nei giorni scorsi, cifre alla mano, è già uno dei più grandi giocatori nella storia del basket italiano. È terzo per punti segnati in partite di finale, è salito al 24° posto nella graduatoria dei cannonieri all-time nei playoff, nono tra gli stranieri, quarto in finale. Se non è ancora popolare come dovrebbe, ovviamente non al Mediolanum Forum, è solo perché si tratta di un ragazzo schivo, che parla con i fatti, non con le parole, non ama le interviste o mettersi in mostra. A casa sua, a Kansas City, vive assieme ad una leggenda del football americano, uno dei più grandi difensori della storia, Will Shields. Quando ha scelto di giocare a basket ed è andato a Nebraska, questa era la stessa università frequentata dal padre. Shavon non era Shields era il figlio di Shields. Venendo in Europa, in una cultura che conosceva grazie alla mamma danese, ha potuto ritagliarsi una propria identità. Ma la sua identità è quella di un giocatore silenzioso e vincente. E resterà a Milano altri tre anni.
Via Olimpia Milano
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