Chris Dowe, su Basket Time e il Giornale di Brescia, ha raccontato di molte delle sue esperienze in giro per il mondo, incluso in Polonia ad inizio pandemia: “Sono mentalmente forte, ma in quelle circostanze mi sono sentito privo di forze, in balia degli eventi. Rischiavo di restare intrappolato in Polonia. Giocavo nel Wloclawek, allenato dall’attuale coach di Napoli Igor Milicic. Ricevo una chiamata alle 2 di notte da parte di mia madre. Subito dopo mi telefona pure il mio agente. Mi spiegano che Trump ha deciso di chiudere i confini. In pratica, ho 48 ore di tempo per provare a tornare, e comunque pochi minuti per decidere: aspetto notizie ufficiali sullo stop al campionato, o rientro nel mio Paese, dalla mia famiglia? Sveglio un mio compagno di squadra statunitense, cerco di avvertire il club, all’alba raggiungo anche la palestra, ma non c’è nessuno. Scappo senza riuscire a dare un preavviso ufficiale, anche se la prima prenotazione aerea non va a buon fine. Non faccio in tempo a completare la procedura sul sito della compagnia che l’aereo è già soldout. Ricordo ancora il brivido che mi ha percorso la schiena”.
Dowe ha giocato anche in Israele e Ucraina: “Alcuni miei compagni sono costretti a rifugiarsi in un bunker ad Haifa. Ricordo di aver prenotato quattro volte il biglietto aereo per tornare a casa. Altrettante, la prenotazione è stata cancellata. Aeroporto blindato. Via di qui, penso. Ma la destinazione successiva è l’Ucraina A Kamianske, col Prometej, le cose vanno alla grande. Vinciamo un sacco di partite. Verso gennaio, però, l’escalation di tensione con la Russia diventa palese. E sono sempre più preoccupato. Chiedo pareri ai miei compagni ucraini. “Non ci pensare”, mi rassicurano, “Putin fa sempre così. Poi non succede niente”. E invece… Il proprietario del club trasferisce tutti in Repubblica Ceca. Ma qui, un giorno, a pranzo, l’allenatore ci annuncia che la stagione è finita. Per questo motivo in tutti i sensi sono felice di essere qui”.
Commenta
Visualizza commenti