Ricorre oggi il centenario dalla nascita di Cesare Rubini. Il 2 novembre 1923 nasceva a Trieste la figura probabilmente più importante del basket italiano.
Soprannominato “Il Principe”, Cesare Rubini ha legato il suo nome all’Olimpia Milano prima da giocatore, dal 1948 al 1957, quindi sino al 1973 da allenatore.
Dal 1976 è stato anche dirigente FIP. In una carriera a dir poco unica, Cesare Rubini ha record irripetibili. In primo luogo, è stato introdotto nella Hall of Fame di due sport differenti. Per il basket è stato inserito nella Naismith Hall of Fame nel 1994, quindi dal 2006 è nella Italia Hall of Fame e dal 2013 nella FIBA Hall of Fame.
Ma c’è anche la International Swimming Hall of Fame, dal 2000. Rubini ha infatti giocato dal 1947 al 1956 a Pallanuoto, vincendo con il Settebello l’oro olimpico a Londra 1948, oltre al bronzo di Helsinki 1952.
Sono i picchi di un albo d’oro irripetibile. Da giocatore Cesare Rubini ha conquistato sei scudetti nella Pallanuoto e sei nella pallacanestro, tutti con l’Olimpia Milano.
Da allenatore, grazie anche allo storico sodalizio con l’assistente Sandro Gamba, ha conquistato 9 Scudetti, 1 Coppa Italia, 2 Coppe delle Coppe e la Coppa dei Campioni 1966 con Bill Bradley nel roster.
E’ scomparso l’8 febbraio 2011 a Milano, e riposa al Cimitero di Lambrate. Olimpia Milano il 2 ottobre 2022 gli ha dedicato il “Cesare Rubini Court”.
Il ricordo di Olimpia Milano
Quando Adolfo Bogoncelli si presentò ai Bagni Ausonia di Trieste insieme all’amico Albino Bocciai, ex giocatore anche della Virtus Bologna, ex nazionale, ma triestino, per convincere sette giocatori locali a sposare il suo progetto, quello di militare nella Triestina Milano, per promuovere la città nel dopo guerra e superare le ipotetiche difficoltà a svolgere la stessa attività a Trieste, aveva ben chiaro in mente che per portarli in Lombardia non avrebbe dovuto spendere troppo tempo parlando con tutti. Sarebbe bastato convincerne uno. Il leader del gruppo. Cesare Rubini.
Il 2 novembre 2023, Rubini avrebbe compiuto 100 anni. Nella storia dell’Olimpia solo Bogoncelli può rivendicare un ruolo altrettanto importante. Bogoncelli fondò la Triestina Milano, la trasferì a Como e infine la fuse con il Dopolavoro Borletti. Sarebbe stato il Presidente e il proprietario di 15 scudetti. Ma per realizzare il suo sogno, Bogoncelli aveva bisogno di convincere Rubini. Senza Rubini non ce l’avrebbe fatta. A cominciare e poi a trasformare il suo progetto in una storia leggendaria.
Rubini era nato in via Torretta a Rena Vecia, Trieste, poi con i genitori si spostò a Roiano. Nel 1994 intervistato dal Piccolo disse: “Non ero uno studente modello, anzi ero a malapena uno studente. Quando bigiavo la scuola, correvo da Roiano a Barcola, per andare a nuotare. Dovunque sia andato in giro per il mondo mi sono portato dentro di me l’odore di Barcola, il profumo del mare e della bora. Uscivo di casa con il costume ma senza l’asciugamano, perché i nostri genitori non si accorgessero di nulla. A 16, 17 anni ho avuto la bicicletta e allora andavo fino a Sistiana. Questo senso di avventura giovanile mi è rimasto sempre dentro”, disse.
Il padre di Rubini era di Sebenico, la mamma di Spalato, ma scelsero la cittadinanza italiana, per questo diceva di essere doppiamente italiano. “Correvo sempre – raccontò a Maurizio Ferin del Piccolo – Per andare a scuola e risparmiare i soldi del tram. Il biglietto costava cinquanta centesimi. A quei tempi il liceo scientifico era una scuola moderna, con strutture per il calcio, l’atletica leggera (io lanciavo il peso) e il basket. Ogni aula aveva un microfono, attraverso il quale venivano fatte le convocazioni per le varie attività. E in ogni disciplina facevano il nome di Rubini; i professori mi chiedevano “Ma quando studi?”, e in effetti io non studiavo mai”. Giocava anche a calcio, Rubini. Poi andò a nuotare alla Triestina e partecipò ai Giochi della Gioventù a Bologna. Non avevano nessuno che nuotava a rana, così lo fece Rubini.
Era anche un eccellente nuotatore, infaticabile. Nell’immediato dopo guerra quando aveva neppure 23 anni e giocava in Serie A nella Ginnastica Triestina, vinse due medaglie di bronzo ai campionati italiani nei 400 stile libero e nella staffetta 4×200 stile libero. Un’altra medaglia la vinse nel 1946 a Milano ancora nella staffetta. Ma il suo spirito agonistico, da guerriero, non si conciliava bene con uno sport in cui devi “semplicemente” andare da sponda a sponda della vasca. Per questo conciliò il carattere e le qualità di nuotatore diventando un grande giocatore di pallanuoto. Inizialmente lo fece ancora nella Ginnastica Triestina.
“Accadde a Chiavari nei primi anni del dopoguerra – scrisse il grande giornalista Aldo Giordani – La nazionale di pallanuoto era un circolo chiuso, i sette titolari erano insieme da tempo immemorabile, non era neppure pensabile che il loro blocco potesse essere infranto per far posto a chicchessia. In acqua, negli allenamenti, i pivellini avevano la vita dura. Si sa come vanno queste cose: fra i vecchi, cementato da tante battaglie combattute insieme, si crea uno spirito di corpo che fa scudo all’intromissione di estranei. Con Cesare Rubini, matricola della Nazionale, i sistemi furono gli stessi”. Ma Rubini era di un’altra pasta, era un leone. “La pallanuoto a quei tempi – ricordò proprio Rino – era essenzialmente uno sport da combattimento, la tecnica di nuoto e di squadra contava poco o niente. I Maioni, Bulgarelli, Ognio e Ghira erano dei lottatori eccezionali; sapevano che la loro forza era soprattutto la capacità di battersi contro chiunque, di volere a tutti i costi la vittoria. Logico che non volessero saperne di far posto ad elementi nuovi”. Ma Rubini – spiegò Giordani – la palla se la guadagnava da solo e quanto ai colpi se non fosse stato il primo a darli certamente non si sarebbe preoccupato di restituirli. “I vecchi dopo qualche giorno gli strizzarono l’occhio”, fu la chiosa di Giordani. Era uno di loro, Rubini. Fu così che conquistò un posto nella squadra che nel 1947 partecipò agli Europei di Montecarlo, vincendoli. Tuttavia, di quella squadra fu solo riserva. Non entrò mai in acqua. Per quello avrebbe dovuto aspettare le Olimpiadi del 1948 a Londra.
A pallanuoto avrebbe giocato a Milano, a Camogli, a Napoli, poi anche a Roma a fine carriera, vincendo sempre molto, sei scudetti nella pallanuoto oltre ai quindici vinti nel basket, più 42 partite da Capitano del Settebello. Anche nella pallanuoto si sdoppiò come giocatore e in seguito allenatore. E poi ha avuto successo come atleta, come allenatore e come manager, una specie di enorme Grande Slam sportivo. Era al tempo stesso nazionale di basket, e andava sul podio agli Europei, e membro del Settebello che dominava il mondo. Dovette scegliere solo nel 1948 prima delle Olimpiadi di Londra. Scelse la pallanuoto e vinse l’oro olimpico, questa volta da titolare. Quattro anni dopo a Helsinki conquistò il bronzo, da capitano della squadra; nel 1956 a Melbourne il Settebello fu quarto e lui era l’unico sopravvissuto della squadra di Londra, a 33 anni. Nel 1960, quando era un ex pallanotista e anche un ex cestista, avrebbe voluto giocare un’ultima Olimpiade a Roma. Poteva farlo, ma non lo convocarono. Fosse successo avrebbe vinto un secondo oro olimpico. “Il fatto è che a basket non ero un granché – disse nel 1964 al grande Gianni Clerici sul Giorno – Avevo la fortuna di stare vicino a Sergio Stefanini e gli davo la palla”. Gli piaceva sminuire il proprio talento, ma Rubini fu il primo giocatore di basket italiano a trasformare l’assist in un’arte. Rubini era un grande passatore, “che poi abbia inventato l’assist perché non sapeva tirare, come insinuavano i suoi nemici, è tutta un’altra storia – scrisse Clerici – Ma un gran cestista lo è stato”.
Quando fu contattato da Bogoncelli, Rubini, come previsto, si portò dietro altri sei triestini, Livio Fabiani, Tullio Pitacco, Pellarini, Locchi, Tuccio Sumberaz, che aveva già tentato di fare il calciatore ad alto livello, il povero Nino Miliani, che sarebbe scomparso giovane in un incidente sul lavoro, nel pieno della carriera. Di quella prima versione della Triestina, Miliani era generalmente il primo realizzatore. Trasferendosi a Milano, Rubini mollò il nuoto definitivamente ma lasciò la Ginnastica Triestina anche in vasca trasferendosi alla Canottieri Olona di pallanuoto.
Bogoncelli e Rubini avrebbero dato vita ad uno dei più grandi binomi dello sport italiano, un binomio indissolubile e duraturo. Avrebbe portato in Italia scudetti, la prima Coppa dei Campioni, le tute luccicanti di raso, le sponsorizzazioni, le scarpette rosse (riuscirono a ordinarne il quantitativo minimo, 500 paia, alla Superga su intervento proprio di Rubini), uno stile che nel caso di Rubini alle volte diventava provocatorio. Erano gli anni in cui in America dominava Red Auerbach, brooklyniano di origini russe che allenava i Boston Celtics e quando vinceva accendeva il sigaro in panchina irritando tutti. Rubini sapeva come attirare su di sé ogni attenzione, come irritare gli avversari o condizionare gli arbitri. Una frase, un atteggiamento, un gesto di sfida. D’altronde era Rubini!
“Quelli del basket lo definiscono “Principe” – scrisse Andrea Girelli sul Corriere dello Sport nel 1973 – sia per il modo impeccabile di vestire, sia per riconoscergli la grande autorità che esercita nell’ambiente. Ciò accade, il più delle volte, quando entra in campo (in trasferta naturalmente) dietro la sua squadra. È una sorta di passerella eseguita al rallentatore: Rubini sfila impassibile lungo i bordi del parterre, mentre i più agitati tifosi gli riversano addosso insulti sanguinosi. Abbiamo sempre sospettato che lui ci si diverta”.
Rubini ha vinto 15 scudetti da capo allenatore dell’Olimpia. Abbandonò il suo posto di giocatore quando decise di acquistare Gianfranco Pieri da Trieste e ne fece il regista dello scudetto della prima stella. Dopo di lui arrivò a Milano anche Sandro Riminucci. Ma aveva già allenato Sergio Stefanini e continuò a rinnovare la squadra senza privarla dei senatori Romeo Romanutti, Enrico Pagani e Sandro Gamba. Cominciò a vincere con gli stranieri, Ron Clark, Pete Tillotson e George Bon Salle. Quando chiusero le frontiere portò una squadra tutta italiana fino alla semifinale di Coppa dei Campioni, con Gabriele Vianello e Paolo Vittori, con Sandro Gamba come assistente. Allenò quindi Skip Thoren, Bill Bradley, Giulio Iellini e Massimo Masini conquistando la prima Coppa dei Campioni di una squadra italiana. Bradley, che giocò solo in coppa, restò legato a lui in eterno. Fu lui a a chiedere a Bill Clinton, allora Presidente degli Stati Uniti, di spendere due parole per il suo ex allenatore, quando Rubini venne introdotto nella Hall of Fame. Bradley era senatore per lo Stato del New Jersey, stesso partito democratico di Clinton. Avrebbe dovuto essere lui a presentarlo a Springfield, ma all’ultimo momento dovette rinunciare e poté dire che era una “questione di sicurezza nazionale”. Il suo posto lo prese l’italiano di Pontremoli, Lou Carnesecca, allenatore leggendario della St. John’s University a New York. Con Steve Chubin e Austin Robbins, Rubini sfiorò la seconda Coppa dei Campioni, perdendola a Madrid nel 1967, contro il Real soprattutto a causa di un arbitraggio che fece scalpore.
Il rinnovamento portò a Milano un’ulteriore generazione di grandi giocatori, come Pino Brumatti, Renzo Bariviera e Paolo Bianchi oltre ad Arthur Kenney, il suo americano preferito. Per tre anni tenne testa alla Ignis Varese, la miglior squadra d’Europa costringendola a tre spareggi di cui uno vinto. Vinse anche due volte la Coppa delle Coppe. A Belgrado, per difenderlo da un giocatore serbo che l’aveva colpito con un calcio, Kenney inseguì l’avversario fino in tribuna facendosi largo tra la folla. La FIBA dovette spostare la finale tra Milano e Stella Rossa sul neutro di Salonicco per evitare che finisse male.
“Il basket mi ha permesso di scoprire una vita differente – raccontò Rubini a Springfield, entrando nella Hall of Fame -. Nessuno più di mia moglie ha condiviso con me questa avventura, l’ha fatto più di chiunque altro, come mia sorella Laura. Questo è un giorno stupendo e affascinante, che resterà tale per sempre nella mia memoria. Sono nella Hall of Fame grazie al mio ex giocatore, il Senatore Bill Bradley, e al mio amico Lou Carnesecca. Ho avuto tanti amici che hanno cercato di farmi capire che molto acquista chi perdendo impara, come diceva Michelangelo Buonarroti, e di questo li ringrazio. Il basket è stato per me un modo di vivere, di socializzare, di trovare amici in tutto il mondo, amici di un uomo nato nel porto di Trieste che ha scoperto il basket a venti anni, grazie agli americani che vennero qui a promuovere il basket in un territorio di santi, poeti, artisti e navigatori”.
Quando lasciò il Simmenthal dopo quasi trent’anni, si prese in carico la Nazionale italiana. Era il responsabile del Settore, di fatto il general manager, e volle Sandro Gamba come head coach. Insieme, l’altro grande binomio del Simmenthal vinse l’argento olimpico a Mosca 1980 e l’oro europeo a Nantes nel 1983. Nel 1985 vinsero il bronzo a Stoccarda. Nel 1991 l’argento europeo a Roma. Da dirigente ebbe successo come l’aveva avuto da giocatore di due discipline sportive e da allenatore. Ma non ha mai nascosto il suo amore per l’Olimpia. Fu lui ad accogliere Dan Peterson e metterlo a suo agio sulla panchina dell’Olimpia. “È stato sempre nel mio angolo”, ha detto il Coach. Così con queste vittorie, dopo la Hall of Fame di Springfield, venne accolto anche in quella ideata dalla Fiba.
Come allenatore, Rubini ha vinto con l’Olimpia 501 partite, un numero virtualmente irraggiungibile, ed è primo anche per percentuale di successi, l’83.5%. Nelle coppe europee ha vinto il 75.0% delle gare allenate. Anche in questo è il numero uno. Lo è sempre stato. Lo rimarrà per sempre. Era un gigante, la cui vita è tempestata di storie, leggende, di imprese e di libri. È stato forse il più grande personaggio dello sport italiano, capace di eccellere ai massimi livelli in due discipline diverse, molto diverse come basket e pallanuoto. Eccellere al punto di entrare nella Hall of Fame di ambedue. Rubini a Springfield, Rubini a Fort Lauderdale. Dal Massachusetts alla Florida. Partendo da Trieste e passando per Milano.
Per saperne di più sulla storia di Cesare Rubini sarà disponibile dal 3 novembre in tutte le librerie e su tutte le piattaforme digitali dal 6 novembre, il libro “Un Principe tra due mondi. Il mito di Cesare Rubini”, scritto da Sergio Giuntini, Sergio Meda e Mario Zaninelli, Augh Edizioni, Collana Tatanka. Il libro verrà presentato il 2 novembre al Mediolanum Forum, presso la sala stampa, alle ore 19:15
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