Bogdan Tanjevic detto Boscia è stati uno dei grandi allenatori europei. Sono innumerevoli i trofei vinti e i record ottenuti. Unico ad aver raggiunto cinque finali in Coppa Korac con quattro squadre diverse: con il KK Bosna perse ai supplementari con il Partizan Belgrado, ma si rifarà con gli interessi nel 1979, quando, sempre al comando del KK Bosna, riesce a vincere l’Eurolega. Nel 1986 raggiunse nuovamente la finale con la Juve Caserta, per perdere contro la Virtus Roma in una doppia sfida di andata e ritorno. Negli anni novanta raggiunse la finale per altre tre volte, peraltro consecutivamente: con Trieste nel 1994 perse contro il PAOK Salonicco e due volte con l’Olimpia Milano nel 1995 contro l’Alba Berlino e nel 1996 contro l’Efes Pilsen, con la quale però, sempre nel 1996, riesce a conquistare lo scudetto. Emigra nel campionato francese, ma ci resta un solo anno e nel 1997 rientra in Italia sostituendo Ettore Messina, fresco di argento europeo, sulla panchina della Nazionale azzurra. Con lui alla guida, l’Italia non solo vince il secondo titolo europeo della sua storia, quello del 1999, ma torna a disputare una Olimpiade, quella di Sidney 2000, dopo un digiuno durato 16 anni. Lascia la nostra Nazionale nel 2001, dopo si reca in Serbia, poi di nuovo in Francia dove all’ASVEL Villeurbanne vince un titolo di Francia. Rientra in Italia nel 2002 alla Virtus Bologna. Nel 2004 la grande svolta, in particolare per il basket turco. Difatti la Federazione lo chiama per la panchina della nazionale, della quale diventa commissario tecnico con l’obiettivo di portare avanti un progetto a lungo termine. Dal 2007 al 2010 Tanjevic si divide fra la panchina della Nazionale turca condotta ad uno splendido argento nell’edizione casalinga del campionato Mondiale 2010 e quella del Fenerbahçe Ulker, con cui in tre anni conquista due campionati nazionali ed una Coppa di Turchia. Nel 2010 gli viene diagnosticato un tumore. L’amore e l’orgoglio della Turchia nei suoi confronti, Boscia non l’aveva riscontrato da nessuna altra parte. Anche per questo decise di farsi operare, quando lo colpì la malattia, proprio in quel Paese. Dalla stagione 2010/11 lascia la panchina della nazionale turca e quella del Fenerbahçe per ricoprire il ruolo di direttore tecnico della Virtus Roma. Decide di smettere per godersi la sua famiglia nella sua amata Trieste sempre però attento alla pallacanestro. A furor di popolo viene chiamato in una serie di progetti per la Nazionale del suo Paese, ossia il Montenegro. Chiude la sua carriera definitivamente guidando la squadra montenegrina negli europei del 2017. Ma Boscia è tanto altro, un uomo di grande cultura, dalla fortissima personalità, una persona diretta e schietta che ha sempre amato stare con i giovani. Famoso per aver lanciato tantissimi grandi campioni tra i quali, Mirza Delibasic, Dejan Bodiroga, Nando Gentile. Ha vinto tantissimo in tanti Paesi diversi con la sua pallacanestro che trasformava i suoi giocatori in giocatori vincenti. Una figura di prestigio come pochi altri che ha indubitabilmente influenzato, a livello internazionale, uno sport così meraviglioso e popolare come il basket. Ecco la nostra intervista.
Cosa pensa della nostra Serie A?
“Devo dire che mi pare un campionato stagnante. Non ci sono grandi novità né tecniche né di facce. Ci sono sempre queste due o tre squadre che comandano che certamente giocano bene e che hanno dei budget importanti. Il campionato italiano allo stato attuale può considerarsi il terzo/quarto d’Europa. La Germania, per esempio, è cresciuta molto, la Grecia è scesa a causa dei problemi economici; devo dire che pure il campionato turco ha avuto una flessione. Certamente in Spagna, la Liga Endesa, rimane il primo torneo per qualità; probabilmente la nostra Serie A: la possiamo considerare più o meno sugli stessi livelli di Francia e Germania. Quello che si nota maggiormente è la mancanza d’identità nella maggior parte delle squadre perché ogni stagione si cambiano totalmente i roster. Quando siamo passati tutti a questo regime di sei stranieri con la legge Bosman si è, appunto persa questa continuità di giocatori nello stesso club anche perché i contratti degli atleti non hanno più una durata lunga rispetto al passato. Questa attitudine si è accentuata sempre più; quando c’erano solamente due stranieri si facevano accordi tra giocatori e società anche di cinque, sei, sette anni e si dava agli allenatori la possibilità di lavorare in modo diverso. Devo dirlo, era molto più bello una volta!”
Gli slavi sono nati per giocare a pallacanestro. Nella ex Jugoslavia sono nati, e ci sono tuttora, tanti straordinari giocatori così come grandi coach. Quale è il vero segreto della scuola slava?
“Il vero segreto è la grande popolarità di questo sport in concorrenza con il calcio. Uno degli aspetti più importanti è la costituzione fisica perché si trovano molto facilmente degli atleti alti e con un’ottima coordinazione: non a caso ci sono giocatori anche di 210cm che posso giocare come esterni e questi sono grandi vantaggi. Poi c’è da sempre la grande mentalità unita al fatto di essere molto ambiziosi, ma che non è collegata alla storia di questo popolo, come si racconta sempre che non ha da mangiare ed ha sofferto tanto. È proprio il temperamento insito dentro insieme al fatto di voler competere ad ogni costo. Tutto ciò vale anche per gli allenatori”.
Lei ha plasmato e lanciato tantissimi giovani talenti che poi molto velocemente sono diventati grandissimi giocatori. Quanto è appagante per un allenatore lavorare sui giovani?
“Questa aspetto è la cosa che ho amato più di ogni altra. Ho investito la mia vita in questo, lavorando con i giovani. Sono stati 46 anni di allenatore dove ho promosso circa 150 giocatori dalle giovanili fino ad arrivare a portarli ad alti livelli internazionali, provando a capire in ogni allenamento cosa potevano diventare attraverso un duro lavoro in palestra. Questi giovani atleti non mi hanno mai tradito. In tutte le squadre dove ho allenato c’era sempre questa costante: dalla Juve Caserta alla Stefanel Trieste, ma anche nella Nazionale turca e addirittura nel Fenerbahçe. Quando ho allenato in Francia ho avuto un premio che nessun altro allenatore straniero ha raggiunto per il merito di aver promosso un paio di giocatori di 18 anni a Limoges e altri due/tre all’ASVEL portandoli a giocare da protagonisti in prima squadra. Tutto ciò mi ha appagato e mi ha dato grandi gioie ed emozioni soprattutto per l’amore che mi hanno trasmesso i miei giocatori”.
Coach Tanjevic ha trascorso ed allenato per un lunghissimo tempo in Turchia guidando la nazionale e il Fenerbahçe. Il suo lavoro di un decennio ha cambiato il totalmente il volto del basket turco arrivando a conquistare uno storico argento ai Mondiali del 2010 ed ha poi consentito al campionato di diventare uno dei migliori d’Europa.
“Abbiamo fatto un programma dal 2004 mirando ai campionati Mondiali del 2010. Abbiamo avuto il tempo di inserire e far crescere nel gruppo i giocatori giovani che mi hanno ripagato con grandi risultati. Ho avuto anche al fortuna di allenare il Fenerbahçe per tre stagioni così ho allenato quotidianamente i giocatori turchi e li ho portati in nazionale guardando però anche agli altri club turchi dove c’erano altri ragazzi di grande prospettiva. Quella nazionale aveva oltre ai giovani di talento tre veterani straordinari come Hedo Turkoglu, Omer Onan e Kerem Tunceri. Abbiamo giocato quelle nove partire strepitosamente arrivando ad una storica medaglia d’argento in un campionato Mondiale di grande livello”.
Cosa pensa dell’Eurolega e dell’NBA di oggi?
“Sono sincero preferisco un torneo come quello dell’Eurolega rispetto all’NBA. La guardo più volentieri – Boscia usa queste parole – perché c’è proprio il dramma, si gioca sempre come fosse l’ultima partita e quella decisiva, diversamente da molte partire che si possono vedere in NBA. Il corri e tira che giocano dall’altra parte dell’Oceano non mi piace, amo certamente di più la pallacanestro europea dei top team. Poi bisogna sottolineare che ci sono tanti giocatori europei, soprattutto slavi, che comandano in America. Tutti quelli che ci sono hanno un ruolo importantissimo: da Luka Doncic ai Dallas Mavericks, Nikola Jokic ai Denver Nuggets, Jusuf Nurkic che gioca molto bene ed ha alzato il livello di una franchigia con quella dei Portland Trail Blazers fino a portarla ai playoff, senza contare i due Bogdanovic, Bogdan e Bojan e ai Clippers con Ivica Zubac. Sono davvero tanti del vecchio continente che fanno molto bene in NBA”.
C’è un allenatore, magari di quelli più giovani, in cui si rivede per determinante caratterische?
“Direi che di quelli più giovani, ma già comunque molto affermati, Alksandar Djordevic, Sarunas Jasikevicius e Dejan Radonjic sono i tre più simili a me per determinate caratteristiche”.
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