Nella giornata di ieri, mercoledì 10 maggio, il capitano di Virtus Segafredo Marco Belinelli è stato ospite della Open Hour di Penske Automotive Italy, jersey sponsor delle V Nere.
Tanti i temi toccati nel corso del workshop aperto ai soli dipendenti dell’azienda Penske, presente come moderatore Stefano Setti, Head of Human Resources dello sponsor di Virtus Bologna.
Queste le parole del capitano Marco Belinelli: “Grazie dell’invito. Sto molto bene, sono pronto per i play off contro Brindisi cercando di migliorare ancora di più noi stessi e il nostro gioco, consapevoli comunque che il livello e l’intensità si alzeranno tanto.
Nella mia carriera ho avuto la fortuna di vincere tanto ma ho avuto anche innumerevoli delusioni per cui si bilanciano: il titolo NBA sicuramente lo metto al primo posto, ma sono stato all’interno di grandi gruppi e anche il primo scudetto appena tornato a Bologna lo conservo nel cuore. All’inizio non pensavamo potesse arrivare in cosi breve tempo ma per me, la mia famiglia, la città e la società è stato un trofeo importante che spero abbia reso felici tanti tifosi.
Personalmente la cosa che mi muove è la passione per la pallacanestro: vado in campo per dimostrare il mio talento ed essere da esempio per tanti bambini che da grandi spero possano ripercorrere i nostri passi: la mia carriera è partita presto ma la voglia di crescere, non mollare mai e tenere duro sia la cosa più importante. Nei primi anni in NBA lo ammetto, ho fatto tanta fatica a sentirmi un giocatore per quel campionato, poi anche grazie al supporto della mia famiglia e degli insegnamenti dei miei genitori, ho saputo affrontare le difficoltà che mi si presentavano e questo ha portato ai risultati che ho raggiunto. Anche il lavoro di gruppo, il sacrificio di insieme è altrettanto fondamentale per raggiungere il successo.
Nei momenti in cui le cose non andavano bene, ho semplicemente cercato conforto nelle persone accanto a me, cercando consigli e sacrificandomi attraverso il lavoro. Quando non giocavo cercavo di rimanere positivo, di lavorare sodo e attendere il mio turno perchè sono convinto che se lavori in modo duro, il karma ti ridà indietro tutto. Tutti gli stimoli negativi che ricevevo li rovesciavo in motivazioni positive e questo mi ha aiutato in maniera enorme. Sin da piccolo ho avuto una forza mentale dentro di me che mi ha permesso di non mollare quando le cose non andavano bene, unita ad un grande lavoro in palestra.
Il team? Nel basket è fondamentale il lavoro di squadra e ti permette di uscirne vincitore. Nel mio caso, se non avessi i compagni che mi bloccano e mi consentono il tiro, magari sarebbe andato tutto diverso. Sono orgoglioso di essere stato eletto il capitano della Virtus, prima volta in carriera, cercando di dare consigli e aiuti non solo sul basket ma anche sulla vita quotidiana perchè non ruota sempre tutto intorno alla palla a spicchi. Nel nostro gruppo ci sono tanti ragazzi interessanti che stanno crescendo per cui da capitano faccio quello che vedevo fare ai miei capitani quando ero giovane: faccio capire loro come comportarsi in pubblico, di chi circondarsi sino al rapporto con i famigliari.
Sono importanti anche le gerarchie e che ci sia un buon clima per un super gruppo. Il nostro è veramente affiatato perchè spesso usciamo a cena e questo cementifica i rapporti tra i giocatori anche sul parquet.
Il lavoro in America è meno “tirato” perchè hai poco tempo per conoscere i tuoi compagni dato che viaggi tanto e hai tantissime partite, dove talvolta si preferisce il lavoro individuale tarato su di te. In Europa è diverso dal momento che crediamo di più nei valori del lavoro comune come fondamento per il successo.
Il basket per me? Ha significato tanto e significa tanto tutt’ora: per me è un amore, diverso da quello che provo per la mia famiglia, ma ugualmente forte. Da ragazzino mi ricordo le videocassette guardate con mio fratello, alle ore passate da solo a tirare: per me era un modo, da ragazzino timido, di esprimermi e farmi notare. Dico un grande grazie alla pallacanestro che mi ha permesso di stringere grandi rapporti umani, di avermi fatto provare emozioni incredibili, ma non riesco mai del tutto a staccarmi dal basket, anche se cerco di dedicare più tempo possibile alla mia famiglia. Per me la pallacanestro è tutto.
L’Eurolega penso sia la seconda miglior competizione dopo l’NBA, ma il margine è sottile. Anche quando ero in America la seguivo e ritornare a giocarla dopo 13 anni è stata una emozione incredibile.”
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