Nell’ultimo turno di campionato, Varese ha colto la prima vittoria esterna nonostante le assenze forzate di Egbunu, Caruso e Wilson. Siete riusciti comunque a superare Trieste, protagonista di un buonissimo inizio di stagione, a tal punto che era ancora imbattuta tra le mura amiche dell’Allianz Dome. Qual è stata a tuo parere la chiave del match? I due punti ottenuti a Trieste ci hanno fatto davvero bene. Avevamo bisogno di un risultato positivo dopo sei sconfitte consecutive, alcune maturate per demeriti nostri e altre invece anche per un pizzico di sfortuna. Non sono state settimane facili le ultime: tra infortuni e casi di positività al Covid-19 il gruppo si è trovato in una situazione di emergenza, ma ha risposto alle difficoltà con orgoglio. La vittoria di Trieste è scaturita dal furore agonistico messo in campo, soprattutto in difesa. Nell’ultimo quarto c’è stata un’azione emblematica in tal senso: prima ci siamo buttati sul parquet io e Jalen Jones per recuperare palla, poi Trey Kell sul ribaltamento di fronte ha segnato in tap-in dopo essere finito anche lui a terra, a seguito di un contatto che gli aveva fatto sbagliare la prima conclusione. Un’azione rocambolesca, dove siamo stati più a terra che per aria, che però dà l’idea di quanta determinazione abbiamo messo in campo e quanta voglia c’è stata tra noi di aiutarci, di crederci insieme. Questo è lo spirito che deve contraddistinguerci ogni fine settimana.
Sei stato premiato come MVP e migliore italiano dell’ottava giornata di campionato, avendo trascinato l’Openjobmetis con una prestazione da 23 punti (tirando 11/14 da 2 punti) e 34 di valutazione in 37 minuti di gioco. Anche in passato, sei sempre stato un leader per l’attitudine a caricarti di responsabilità sulle spalle. Quanto ti senti importante per questa Varese? La pallacanestro è uno sport di squadra e, in quanto tale, tutti i componenti del nostro roster hanno un ruolo estremamente importante al fine di raggiungere gli obiettivi di squadra. Penso di poter essere un leader per i miei compagni nel momento in cui riesco a mettere al servizio di tutti l’esperienza che ho accumulato negli scorsi anni. Cerco di assicurarmi che i miei compagni siano sempre nelle migliori condizioni possibili per potersi esprimere al meglio, poi loro sono altrettanto bravi a mettermi nelle condizioni di riuscire a far male agli avversari in certe situazioni di gioco. Ognuno di noi può essere leader e trascinatore, in maniera diversa, nel corso di una partita.
Sei stato allenato da diversi coach nel corso della tua carriera. Ti chiedo se qualcuno di loro è stato capace di trasmetterti qualcosa in più rispetto ad altri e quanto ti fa piacere aver ritrovato Adriano Vertemati in panchina. Ogni coach ha avuto un impatto costruttivo sul mio percorso di crescita, tecnica e umana. Sarebbe ingiusto nominarne qualcuno in particolare e anzi, sono grato di essere stato allenato da ognuno di loro: da Frank Vitucci che mi ha lanciato nel basket professionistico a 16 anni, ai tempi della Benetton Treviso, fino a coach Vertemati che è tornato ad allenarmi una dozzina d’anni dopo aver vinto, proprio con la Benetton, lo scudetto Under 19. Aver espugnato Trieste domenica scorsa mi rende contento soprattutto per lui, che nelle scorse settimane era stato colpito dal Covid-19 e non deve aver passato dei giorni facili. Ora però è tornato, più motivato che mai, a darci la carica in campo; e penso che si sia visto da come la squadra ha interpretato la partita dell’Allianz Dome, restando concentrata e pronta a dare battaglia per tutti i 40 minuti. Vertemati è alla prima stagione da capo allenatore in Serie A, ma conosco il suo valore. Lo sta già dimostrando e continuerà a farlo con sempre maggiore continuità.
Settimana scorsa hai compiuto 29 anni e la stagione 2021/22 è già la tua tredicesima tra i professionisti. L’impressione è che, nonostante il pedigree da veterano consumato, hai ancora tanto da dare a questo gioco e che a Varese si stia aprendo un nuovo ciclo della tua carriera. Quanta verità riscontri, alla base di questa impressione? Posso dire che le stagioni e le esperienze passate mi han reso più consapevole di me stesso. Quando si è giovani si tende ad agire maggiormente di pancia, non sempre si riesce a domare il proprio impeto, i propri istinti. Si può pensare che in 29 anni abbia vissuto più vite in una, e per certi versi è anche vero… Tuttavia mi sento ancora giovane. Ciò che è cambiato è il modo di approcciare certi momenti, non solo di gioco ma della vita in generale. Mi sento più consapevole, riesco ad apprezzare maggiormente tutto ciò che fa parte del mio quotidiano, tutto ciò a cui tengo. A partire dalla pallacanestro che resta sì il mio lavoro, ma in pochi hanno la fortuna di poter svolgere un mestiere che ti permette di divertirti mentre lo pratichi.
In passato ti sei esposto come un ragazzo ‘duro’, a tratti sfacciato. Negli ultimi mesi stai rivelando però anche il tuo lato sensibile: hai detto apertamente di aver sofferto d’ansia dopo essere risultato positivo al Covid-19, lo scorso aprile. Che messaggio vuoi lanciare in merito al tema delicato – e probabilmente ancora troppo sottostimato – della salute mentale? Ci tengo molto a diffondere messaggi di questo tipo, perché avendo vissuto direttamente la situazione so quanto ci si possa sentire soli durante il periodo di crisi. Proprio per questo motivo ne voglio parlare: per far sentire meno soli coloro che ne soffrono e devono convivere con questi disturbi. Sono sempre di più le persone costrette a fronteggiare problemi legati alla salute mentale; problemi che non devono essere demonizzati dall’opinione pubblica come forme di pazzia o di debolezza. È una questione seria, per quanto non sia tangibile concretamente. Penso sia molto facile mostrarsi forti, mentre ci vuole forza nel mostrarsi vulnerabili, sensibili, non indifferenti alla realtà che ci circonda. Come si risolvono crisi del genere? È un processo, io stesso non ne sono ancora uscito del tutto. Però posso dire di stare meglio grazie alla presenza costante dei miei genitori, di mio fratello Stefano e di grandi amici conosciuti anche grazie alla pallacanestro italiana. Due nomi su tutti: Klaudio Ndoja e Andrea Amato, mio attuale compagno di squadra.
di Filippo Stasi
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