Venezia, Cerella: “La squadra sta cercando di trovare i giusti equilibri”
La lunga intervista a Bruno Cerella: “Quando si fa parte di grandi squadre con tanti giocatori forti, l’aspetto più importante è saper riconoscere il proprio ruolo e saperlo interpretare nel modo giusto”
Ieri sera nel consueto talk-show del venerdì di TuttoVeneziaSport dedicato alla Reyer Venezia, Bruno Cerella è stato ospite della trasmissione. Il giocatore italo-argentino ha parlato del suo infortunio, del momento delle sua Reyer e del futuro anche fuori dal mondo della pallacanestro
Come prima cosa la sua condizione fisica e soprattutto come procede il suo recupero dopo l’operazione alla caviglia destra?
"La mia caviglia mi sta facendo un po’ penare, ma pian piano sto migliorando. In verità pensavo che l’intervento fosse un pochino più semplice e invece il recupero è abbastanza delicato. Fino ad ora mi sono allenato in piscina, ma a breve dovrei cominciare con la fase a secco. Mi auguro di poter cominciare il prima possibile ad allenarmi con la palla sul campo perché è la parte del recupero che noi atleti preferiamo".
Che sensazioni le sta dando la squadra in una stagione con alti e bassi?
"Sicuramente quest’anno abbiamo fatto molta fatica a trovare degli equilibri che ci permettessero di costruire una mentalità vincente, una continuità nelle vittorie e rimanere competitivi come abbiamo fatto negli ultimi anni. Secondo me è una questione anche di chimica di squadra, dove magari non tutti sono riusciti ad interpretare il ruolo nel modo giusto o a trovarsi comodi nel ruolo che gli veniva chiesto. Infatti, la società ha provato a fare dei cambiamenti per migliorare anche questi aspetti. Anche se nell’ultimo periodo sono stato infortunato devo dire che il gruppo sta lavorando bene e con un sacco di entusiasmo, lo sento da come si vive lo spogliatoio e dall’entusiasmo che c’è alle partite, a prescindere da come siano andate perché qualcuna l’abbiamo persa in modo brutto, ma abbiamo fatto anche delle belle vittorie sia in coppa ma ultimamente anche in campionato".
Quest’anno per la prima volta sono arrivati tanti nuovi giocatori sei per l’esatezza, e non era facile inserirli tutti. Da poco è stato inserito Jordan Theodore che mi sembra stia aiutando molto la squadra. Che tipo di apporto sta dando alla squadra?
"Di sicuro è un playmaker che ha cambiato un po’ il passo della squadra in attacco. A volte bastano piccole cose che possano scatenare la scintilla di un cambiamento, spostare anche di poco gli equilibri in una squadra può essere decisivo. Theodore sta dando il suo contributo e si vede sia per quanto riguarda il livello di energia ma anche per come la squadra è più dinamica. Sono positivo per la seconda parte della stagione; possiamo finire l’anno meglio rispetto a come l’abbiamo iniziato, essendo più vincenti non solo in campo ma anche per quanto riguarda la mentalità e l’approccio del gioco".
La classifica in EuroCup è buonissima, in campionato è ancora cortissima bastano due vittorie in fila e si entra comunque in zona playoff. Il campionato è ancora aperto e può succedere di tutto nelle posizioni subito dietro alle prime. Nella vostra squadra ci sono giocatori che sono abituati a vincere e che hanno vinto tanto dotati di grande leadership.
"Sicuramente; l’aver vinto tanto e il grande talento non sono abbastanza se non ci si trova tutti sulla stessa pagina del sistema che propone lo staff tecnico. Partendo da questa base io credo che sarà fondamentale provare ad amalgamarci ancora un pochino per diventare più solidi giorno dopo giorno, inserendo anche i nuovi giocatori e provando a trovare degli equilibri giusti per la parte finale della stagione. Augurandoci che possano arrivare dei risultati migliori rispetto al girone d’andata, dove magari abbiamo perso di un punto: ricordiamoci la partita con Brindisi o che qualche altra sfida in cui un tiro è entrato e un tiro no, magari potevamo essere con sei punti in più. Nonostante questo, siamo una squadra costruita per competere in alto. Quindi in alcune partite non dovevamo scivolare com’è successo. È normale quando una squadra è costruita con delle ambizioni come le nostre, che possa essere criticata perché tanti hanno delle aspettative importanti, ma soprattutto anche noi giocatori e staff per primi siamo ambiziosi e vogliamo fare il meglio possibile".
Lei è un giocatore che ha questa capacità di ritagliarsi il proprio spazio all’interno di una squadra dando il massimo contributo anche in pochi minuti, soprattutto l’ha fatto in due squadre di primissimo livello come Milano e Venezia, che di fatto sono state al vertice del campionato italiano nell’ultimo decennio.
"Diciamo che quando si va in alto, e si fa parte di grandi squadre con tanti giocatori forti, l’aspetto più importante è saper riconoscere il proprio ruolo e saperlo interpretare nel modo giusto. Come dico sempre, all’interno delle squadre ci sono anche degli specialisti. Gli allenatori che mi hanno avuto, hanno trovato in me un giocatore, in certi momenti, in certe partite, dove posso dare qualcosa di diverso da altri giocatori. Io mi sono specializzato in quel ruolo che non è sempre facile da interpretare perché a volte quando la squadra va bene talvolta non gioco e sono super felice che la squadra vada bene e si vinca. Però metto subito in chiaro che mi piace sempre giocare; l’allenatore sa che se in una partita gioco tre minuti magari la partita successiva se ha bisogno del mio contributo può usarmi anche per quindici minuti, perché partendo dalla difesa sono riuscito a cambiare il gioco e il ritmo della mia squadra, di conseguenza sa che può contare su di me. Questo credo che sia stato il mio punto di forza per far parte di grandi gruppi, prima di tutto conoscendo i miei limiti perché non avrei potuto chiedere di giocare in una squadra del genere per 30 minuti. Ma conosco anche i miei punti di forza, per esempio un mio punto di forza è che magari sto 2-3 quarti senza giocare e poi devo entrare solo negli ultimi minuti di gioco e riesco comunque ad essere pronto lo stesso. Penso che saper interpretare il ruolo nel modo gusto sia stata la mia forza, questo mi ha permesso di giocare in grandi squadre, divertirmi, ritagliarmi il mio ruolo all’interno della squadra con l’apprezzamento dei miei compagni e dei tifosi e aver vinto tanto riuscendo comunque a divertirmi".
Questo è il suo quinto anno in maglia Reyer. Un’atleta come vive in una città unica come Venezia?
"Venezia mi piace tantissimo. Dico sempre che è da visitare soprattutto di notte quando si ferma un po’ tutto e diventa magica. Mi piace camminare e andare a cena nei posti caratteristici che ci sono perché è unica al mondo e ringrazierò sempre lo sport per questa opportunità perché è veramente bella".
Il suo progetto di Slums Dunk, che conosciamo bene e abbiamo imparato ad amare, negli ultimi anni è cresciuto molto. Ci racconta qualcosa della straordinaria crescita che c’è stata?
"Siamo partiti da un progetto in Kenya con la voglia di vivere qualcosa di benefico attraverso lo sport conoscendo una nuova cultura e in questo momento, dopo 10 anni siamo presenti in ben 4 continenti. Adesso abbiamo attività in Argentina, la mia terra natia, dove stiamo facendo attività sia con ragazzi e ragazze, sia con madri che stanno guarendo dal cancro al seno; siamo riusciti a legare un processo di guarigione con un programma sportivo e questo è molto bello. La nostra associazione punta ad andare in ogni paese e vedere quali sono i bisogni e intervenire creando dei progetti sociali in ogni posto del mondo. Per esempio, in Kenya, dove abbiamo due baketball accademy trattiamo argomenti come gravidanze precoci e altri problemi di salute dei bambini. Lì cerchiamo di creare dei progetti di educazione scolastica/sport e salute per provare a migliorare le condizioni di vita delle persone nelle zone più disagiate. Ci muoviamo anche in Cambogia dove in un contesto completamente diverso cominciamo a fare sport con bambini di strada. Siamo attivi anche in Italia dove nel periodo di lockdown abbiamo iniziato un progetto tutto italiano, sia per fare in modo che i nostri sostenitori possano vedere concretamente come agiamo, ma anche per portare in Italia il nostro contributo che non si basa solo sulla riqualificazione di un campo da basket dal punto di vista urbanistico perché se non costruisci un progetto, il posto rimane abbandonato e visto come poco sicuro. Quindi siamo partiti da un progetto di quartiere per costruire il campo da basket e farlo diventare un punto di riferimento sociale. I nostro obiettivo è quello di creare un progetto sociale che possa dare valore a quella comunità di quel quartiere di Milano e possa promuovere lo sport dopo due anni di lockdown, in cui i bambini hanno fatto fatica a fare sport, e dove vorremmo creare un progetto di promozione di valori insieme alle associazioni di quartiere".
In un’intervista di un paio di anni fa, in riferimento a questo progetto di Slums Dunk, mi colpì questa frase che lei mi disse: "Il tempo che noi dedichiamo a questo progetto è veramente una cosa unica. Questo è il nostro modo di ringraziare lo sport per tutto ciò che lo sport ha dato alla nostra vita".
"Vi ringrazio, è una frase che porto dentro e sono geloso di questa cosa perché paradossalmente sarebbe più facile donare dieci euro e non un’ora del proprio tempo. Invece quello che facciamo noi donando il nostro tempo è quello di essere in prima persona gli sviluppatori dei progetti e delle collaborazioni che creiamo in tutto il mondo. Questa è la cosa più bella, l’associazione è partita da me e Tommy Marino, ma ad oggi conta più di 40 persone all’interno e l’unico stipendiato è il nostro contabile. Infatti Slums Dunk è un’organizzazione ODV (organizzazione di volontariato), questa è una cosa bellissima, perché nel mondo per fare progetti come il nostro ci vogliono persone che sostengano economicamente, ma anche persone che ti supportino donando del tempo”.
Quando finirà di giocare a basket, di cosa si vorrebbe occupare?
"Di sicuro una cosa che mi terrà legato al basket per sempre, e dico per sempre perché è una cosa di cuore è proprio Slums Dunk. Questo è sicuramente un progetto che mi terrà legato alla palla. Dopodiché io vengo da una famiglia di costruttori di terza generazione. Quando ho capito di vivere in un paese che non è il mio ho voluto creare la mia vita qui. Ho cominciato con piccole cose su Milano e adesso ho sviluppato delle mie società con il quale faccio sviluppi di edifici residenziali. Questa attività è già un presente importante nella mia vita e sarà il futuro quando smetterò di giocare. Prima di tutto questa attività mi permetterà di avere un legame sociale che mi leghi all’Italia anche al di fuori dello sport, visto che voglio continuare a vivere qui. Soprattutto perché è un’attività che mi permetterà di recuperare il tempo libero che lo sport, in questi dieci anni di carriera, non mi ha permesso di avere come avrei voluto".
Tornado al campo, ha idea di quando rientrerà a giocare?
"Più o meno si parlava di fine marzo. Bisognerà vedere come reagisce la caviglia quando comincerò a caricarci sopra il peso. Quindi vediamo. A me piacerebbe tornare in campo il prima possibile".