Trey Kell: Canada, Siria e Polonia, ma il basket è la mia vita 24 ore al giorno, qui sono felice

Kell ha disputato 7 partite agli ordini di Messina tra campionato ed Euroleague

Gli Aztecs di San Diego State avevano vinto solo quattro partite nella stagione 1998/99 quando venne assunto come capo allenatore Steve Fisher. A quei tempi Fisher non era solo l’allenatore che nel 1989 vinse il titolo NCAA a Michigan, ma anche il coach che aveva reclutato e guidato uno dei gruppi più famosi nella storia del college basketball, i Fab Five di Michigan. Avevano i pantaloni lunghi, scarpe e calze nere, erano tutti freshmen e giocavano il basket delle aree urbane d’America. Due di loro non avrebbero fatto granché da professionisti, ma Chris Webber, Juwan Howard e Jalen Rose sono diventati stelle NBA, giocatori multimilionari. E prima che tutto questo accadesse, furono i protagonisti di due finali NCAA, per quanto perse, con i Wolverines di Michigan. Steve Fisher era il loro allenatore, il mentore, anche se poi una scia di polemiche e presunte irregolarità gli fece perdere il lavoro forzandolo a muoversi sulla costa ovest accettando un lavoro ai tempi considerato di basso profilo.


Ma la California è terra di campioni e nel basket non è mai stato vero come negli ultimi venti anni. Da Paul Pierce in poi, una generazione di fuoriclasse storici è esplosa sul palcoscenico mondiale. In particolare, dall’area di Los Angeles sono venuti fuori Russell Westbrook, Paul George, James Harden, DeMar DeRozan fino ai fratelli Ball e Kawhi Leonard. "Deve esserci qualcosa nell’aria, o il cibo che mangiamo ci dà qualche qualità in più, ma qualunque cosa sia, è vero c’è talento da noi", dice Trey Kell, l’ultimo arrivato all’Olimpia Milano, californiano anche lui, della parte meridionale dello stato, San Diego, vicino al Messico e vicino a Los Angeles.


Prima che lui nascesse, a San Diego giocavano i Clippers, poi si trasferirono a Los Angeles ed è per questo che lui è cresciuto tifando per i Lakers. Ma nella sua storia, il giocatore californiano più importante è stato Kawhi Leonard per un motivo molto semplice: quando è arrivato il momento di scegliere il college, Leonard è andato a San Diego State. La sua presenza ha cambiato la percezione del college.


Steve Fisher ha vinto tantissimo con gli Aztecs, otto volte la sua squadra ha giocato il Torneo NCAA e nel 2010/11 è arrivata fino al numero 4 del ranking nazionale. Era il secondo anno di Kawhi Leonard a SDSU. La sua spalla era Malcolm Thomas che poi abbiamo visto in EuroLeague. In quegli anni, San Diego State era un programma in ascesa, con un allenatore bravissimo a reclutare fuoriclasse. Quelli erano gli anni in cui Trey Kell imparava il mestiere. "Mi sono appassionato al basket quando ero davvero molto giovane, in sostanza è successo perché mio padre è un grande tifoso. Sono cresciuto seguendo i Lakers, sulla mia tv c’è sempre stato solo il basket. Mia mamma, mia sorella, ora la mia ragazza non lo sopportano. È basket 24 ore al giorno per sette giorni alla settimana. Ma questa è la mia vita fin da quando ero un bambino", racconta.



Ricapitolando, Kell ha vinto a livello liceale, ha vinto la propria conference al college, ha vinto in Canada e ha vinto in Polonia. Per un ragazzo di 25 anni non c’è male. "Non sono il tipo che giocatore che cerca attenzione. Sono uno che lavora in silenzio e intende portare a termine un lavoro. In questo tipo di attività, finire un lavoro per me significa vincere le partite. Non mi interessa segnare. Se vinciamo, segnare zero punti o venti punti è la stessa cosa. Ho cercato di portare questo tipo di mentalità a qualsiasi livello abbia giocato", spiega. Dopo la Polonia, c’è stata la breve esperienza a Varese, dove ha avuto un record di 28 punti in una gara. Poi il salto di qualità, a Milano, con tanto di esordio in EuroLeague. Un esordio anche sorprendente. Sorpreso? "Sì e no. Pensavo che sarebbe servito un po’ di tempo per adeguarmi, arrivando in una squadra molto buona e in una competizione severa, pensavo di dovermi ambientare, sentire a mio agio, imparare tante cose, capire. Ed in effetti è così, ma gli allenatori, la squadra, i miei compagni sono stati eccezionali, hanno fatto in modo che fossi subito a posto, che fossi me stesso. Mi hanno detto di andare in campo e giocare, che sbagliare un tiro non sarebbe stato importante, una palla persa capita, ma era importante andare in campo e giocare il più duro possibile e il resto sarebbe andato a posto da solo. Le prime partite sono andate bene, speriamo di continuare".


Fonte: Olimpia Milano.

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