Sergio Rodriguez: l’ultimo grande 13 di una storia fatta di vittorie

Sergio Rodriguez ha sempre scelto il numero 13 quando ha potuto

Sergio Rodriguez ha sempre scelto il numero 13 quando ha potuto. “Per qualcuno significa sfortuna, per altri significa fortuna. A me ha sempre portato buone cose. Ma non sempre sono riuscito ad indossarlo, ad esempio a Philadelphia”. Quando il Chacho ha giocato nei Sixers, il 13 era numero “off limits”: era stato ritirato in onore di Wilt Chamberlain, che con quella maglia aveva segnato 100 punti in una partita NBA, nel 1962, un record inavvicinabile. Rodriguez in ogni caso sta indossando con grande onore una maglia che nella storia dell’Olimpia ha avuto tanti interpreti adeguati.

Giandomenico Ongaro non è stato una star, ma era una pedina chiave per la chimica di squadra dell’Olimpia degli anni ’60. Lo ricordano come un combattente, duro, difensore, una specie di Vittorio Gallinari o Mason Rocca prima maniera. Ongaro, classe 1941, ancora oggi frequente presenza alle gare dell’Olimpia, ha vinto otto scudetti e una Coppa dei Campioni indossando la maglia numero 13, giocandovi dal 1957 al 1967. Dopo di lui c’è stato Paolo Bianchi, una guardia cresciuta nelle giovanili dell’Olimpia, capitano della nazionale juniores che nel 1972 vinse l’argento europeo a Zara. Bianchi, che aveva classe cristallina, ha esordito in prima squadra a 17 anni conquistandosi gradualmente spazio negli anni degli spareggi con Varese. Vinse lo scudetto del 1972 e tre volte la Coppa delle Coppe, l’ultima nel 1976 quando la squadra si chiamava Cinzano e retrocesse in A2 contemporaneamente. Tuttavia, Bianchi fu anche uno dei protagonisti dell’immediato ritorno nel massimo campionato e del sesto posto successivo, quand’era capitano della squadra. Nei suoi ultimi due anni a Milano, l’Olimpia giocò due volte la semifinale europea, una in Coppa delle Coppe e una in Coppa Korac. Bianchi se ne andò a Rimini nel 1978 e poi si costruì una seconda carriera a Livorno.

Kenny Barlow aveva il numero 13 quando l’Olimpia vinse tutto nel 1986/87. Era la squadra di D’Antoni-Premier-Meneghin rinforzata dal grande Bob McAdoo, ma Barlow giocando in un ruolo non suo, quello di ala piccola, ebbe una stagione in grande crescendo culminata con la prova nella finale di Coppa dei Campioni contro quel Maccabi che l’avrebbe firmato l’anno successivo. Barlow restò un solo anno all’Olimpia, vinse tre trofei su tre e considera ancora oggi quella la stagione decisiva della sua carriera. Veniva da Notre Dame, era un rookie, e aveva avuto tra l’altro un catastrofico incidente automobilistico che rischiò di fargli perdere molto più che qualche posizione nel draft (fu scelto comunque dai Lakers alla fine del primo round).

Altri tre giocatori, prima di Rodriguez, meritano una citazione. Davide Pessina fu protagonista dello scudetto vinto a Livorno nel 1989, era eccellente sesto uomo della squadra che giocò le Final Four nel 1992 a Istanbul e poi vinse anche la Coppa Korac nel 1993. Travis Watson ha giocato a Milano due anni per 82 partite di campionato, con due semifinali scudetto e due volte in EuroLeague conquistò 16 rimbalzi in una gara stabilendo un record di società che è stato poi battuto da Arturas Gudaitis nel 2018. Infine, Milan Macvan che ha giocato a Milano due stagioni vincendo lo scudetto del 2016 e poi due volte la Coppa Italia: in quella del 2016 a Rimini nei quarti di finale segnò sulla sirena il canestro della vittoria su Brindisi.

Fonte: Ufficio Stampa Olimpia Milano.