Sasha Djordjevic: “Il basket lavora poco con i genitori per capire il mondo dei giovani”

Il coach della Virtus Bologna è stato ospite dell’ultima puntata di “Meet the Best incontra”.

Aleksandar Djordjevic, coach della Virtus Segafredo Bologna, è stato il protagonista della quinta puntata di Meet The Best incontra, un format di A Better Basketball che torna già questo pomeriggio, in diretta sulla pagina Facebook e sul canale Youtube di ABB dalle ore 18, con Gianmarco Pozzecco, coach del Banco di Sardegna Sassari.

Questi alcuni temi trattati da un mito del basket europeo nell’incontro di venerdì al quale anche gli appassionati hanno potuto partecipare con le loro domande live e i loro commenti.

Il momento che sta vivendo il Paese e la ripresa della pallacanestro

“Stiamo bene, io e la mia famiglia, ma non mi sento bene: sono molto dispiaciuto e amareggiato per le persone che ci lasciano e si ammalano di cui si parla spesso solo come numeri. In tutto questo giustamente il basket va in secondo piano, è la nostra passione e il nostro lavoro 24/7, siamo molto dispiaciuti perché, come Virtus, stavamo andando bene ed eravamo pronti a giocarci l’Eurocup e i playoff ed ero molto contento di come i giocatori avessero capito e accettato la gran mole di lavoro a cui li avevamo sottoposti prima di uno stop comunque giusto. Io e il mio staff cerchiamo di tenerci freschi di mente e facciamo tante cose, anche ascoltare gli altri per migliorare che fa sempre bene. La prima cosa di cui mi dovrò preoccupare alla ripresa sarà proteggere i giocatori dagli infortuni dopo un periodo di cosiddetto de-training: nella Nfl, dopo il lockout, gli infortuni sono aumentati tantissimo. Alla Virtus abbiamo un capitale da salvaguardare perché sono i grandi campioni che fanno grandi anche le società”.

La Virtus in testa prima dello stop e la favorita per lo scudetto

“Non siamo così presuntuosi da pensare a chi avrebbe potuto dare più fastidio alla Virtus prima in classifica nei playoff, siamo noi che comunque avremmo dovuto andare a strappare alle altre i titoli che avevano conquistato nelle ultime stagioni. Venezia, la squadra più vincente degli ultimi anni, ha fatto altri passi da gigante, Milano è l’eterna favorita per le possibilità che ha ma io credo che tutte le prime otto quest’anno hanno confermato quella che è una caratteristica storica del campionato italiano, e cioè che tutte possono battere chiunque”.

Sulla scelta di puntare su due registi come Teodosic-Markovic

“Da c.t. della Serbia ho imparato che non sempre i migliori 12 giocatori messi assieme formano la squadra migliore se non si incastrano al meglio. Con Teodosic e Markovic abbiamo due giocatori che ne formano uno solo tanto sono compatibili e si completano tecnicamente e come personalità. Hanno caratteri scherzosi, forti, orgogliosi, sono il vero prodotto del basket serbo. Teodosic è un campione vero, uno che non fa due allenamenti uguali, meno quando non ha voglia di allenarsi…, nel senso di quello che ti fa vedere e insegna anche ai compagni e allo staff quotidianamente. Markovic in campo è una belva, ha una competitività feroce, tutti e due hanno la capacità non solo di essere formidabili in campo ma anche di aiutare la loro squadra a crescere”.

I suoi modelli

“Sono cresciuto cercando di imparare da due grandi campioni della nazionale jugoslava, Dragan Kicanovic e Moka Slavnic: amavo anche Mirza Delibasic ma era più difficile immedesimarsi per me perché era diverso, era un play alto due metri. Poi a inizio degli anni ottanta, a Belgrado è arrivata la prima cassetta VHS di una partita NBA, una finale Boston-Lakers: ha fatto il giro della città, c’era solo quella… Più tardi però sono riuscito a trovare anche una cassetta dei Pistons e mi sono innamorato di Isiah Thomas, uno capace di fare tutto quello che serviva per vincere, segnare tantissimo o giocare per la squadra, sempre con charme e il sorriso in volto anche quando guidava una squadra spietata come i Bad Boys. Sono stati i miei tre modelli”.

Come si insegna ai giovani giocatori a crescere

“Dobbiamo capire in che mondo viviamo. Tracciare una linea dove, al di sopra, mettiamo gli over 35 e sotto gli under 35. Siamo noi Over che viviamo nel mondo degli under o viceversa? Io credo che siamo noi Over che dobbiamo imparare come interagire e adeguarci al modo di comunicare dei giovani, capire i loro linguaggi, in che maniera influenzarli di più e da chi a loro volta sono influenzati, certamente genitori e insegnanti ma anche i loro coetanei. Quello che fa ancora poco la pallacanestro è lavorare coi genitori e non limitarsi solo al lavoro sul campo ma aprirci anche a ciò che circonda i più giovani. Dobbiamo capire com’è il loro mondo”.

Fonte: Meet the Best.