Piero Montecchi: Il momento più brutto? Il ko con Caserta in finale

Piero Montecchi: Il momento più brutto? Il ko con Caserta in finale

Sessantesimo compleanno, ieri, per Piero Montecchi. Il “papero” ha vestito per cinque anni la canotta di Olimpia Milano vincendo tanto

Sessantesimo compleanno, ieri, per Piero Montecchi. Il “papero” ha vestito per cinque anni la canotta di Olimpia Milano vincendo uno Scudetto, una Coppa dei Campioni e una Coppa Intercontinentale.

Montecchi è stato ospite di Daniele Barilli sul Carlino: «Continuo a fare sport, mi diverto col padel e sto bene. Mi sento un privilegiato perchè fare sport è la cosa più bella del mondo mentre vedo i miei amici e alcuni ex giocatori di basket che sono un po’ in difficoltà».

Ora vive a Miami, senza rimpianti, anche se ammette un grande errore: «Sì, quando me ne andai dall’Olimpia Milano. Quello, pensandoci a posteriori, fu un grande errore. E’ stato un po’ il mio peccato capitale. Milano aveva ingaggiato Sasha Djordjevic, che era, obiettivamente, più forte del sottoscritto. Avrei potuto rimanere e avrei comunque giocato tanto. Ma sarei dovuto partire dalla panchina perché davanti a me ci sarebbero stati Djordjevic, Riva e Pittis. Però quel mio carattere impulsivo e un po’ ribelle, quasi filo anarchico, mi portò a fare altre scelte».

Non ci sono dubbi sul momento più brutto della carriera: «non l’ho mai digerito. Fu la sconfitta nella finale tricolore con Caserta».

Poi il retroscena: «Nel primo turno dei playoff si giocava con Milano (1999 con Reggio, ndr). Incredibilmente era la prima volta che io tornavo là da avversario. Durante la settimana parlai con Lombardi e gli chiesi se, per una volta, potevo partire nel quintetto. Sarebbe stato un motivo d’orgoglio per me. A Milano avevo tanti amici, sapevo che avrei avuto grandi applausi e ci tenevo tantissimo. D’altronde io giocavo in media più di 20 minuti a partita e non ero fuori dalle rotazioni. In quella partita, alla fine, non giocai neppure un minuto. Lombardi avrebbe potuto tranquillamente dirmi di no. Quando la partita finì, rientrando negli spogliatoi, pensai che era arrivato il momento di smettere ed è stato così. La mia era stata la richiesta dell’uomo, non del giocatore».