Nicolò Melli: Oggi non è più accettabile

Nicolò Melli: Oggi non è più accettabile

«Oggi non è più accettabile» è il titolo dell’incontro, per LBA, di Gianluca Basile con Nicolò Melli e Michele Vitali. E il capitano di Italbasket racconta vari retroscena della sua carriera

«Oggi non è più accettabile» è il titolo dell’incontro, per LBA, di Gianluca Basile con Nicolò Melli e Michele Vitali. E il capitano di Italbasket racconta vari retroscena della sua carriera.

SUL PRIMO ADDIO A OLIMPIA MILANO

«Partivo sempre da dietro e ci poteva stare. Avevo ventuno, ventidue anni. Ma finivo la stagione in quintetto… e l’anno dopo ne prendevano un altro. E il problema è che questo è successo anche dopo lo scudetto. Dopo c’è stata la possibilità di andare all’estero. Basta volevo veramente avere la possibilità di assumermi la mia responsabilità e fare un passo ulteriore. Mi sembrava sempre di essere il criceto sulla ruota no?».

SULL’ESPERIENZA ALL’ESTERO

«Andare all’estero presenta sicuramente degli svantaggi, ma anche molti vantaggi. Ti costringe davvero a uscire dalla tua comfort zone: non hai famiglia, amici, non parli la lingua, e ti ritrovi in situazioni con usi e costumi molto diversi dai tuoi. Tuttavia, ci sono aspetti positivi. Prima di tutto, se una squadra all’estero ti sceglie, lo fa non per rispettare quote di giocatori con passaporto, ma per ciò che puoi offrire in campo. Questo è un riconoscimento concreto del tuo valore. Un altro vantaggio, secondo me, è che, trovandoti in un paese di cui non conosci la lingua, vivi in una sorta di bolla. Non capisci tutto ciò che succede intorno: non sai come sono organizzate le squadre, non ti accorgi di chi si lamenta di chi. Questo isolamento ti permette di concentrarti esclusivamente sul tuo lavoro, senza farti influenzare da dinamiche esterne che, alla fine, non hanno importanza».

SUL BASKET DI OGGI

«La tua epoca, Baso, era diversa da quella di Dino Meneghin. Ogni periodo ha il suo sviluppo. Oggi, per talento e preparazione, sia tecnica che fisica, siamo a livelli mai raggiunti prima. I giocatori fanno cose in campo che un tempo non si vedevano, anche dal punto di vista tattico, come attaccare un avversario, studiare i dettagli di gioco. Poi ci sono le analisi statistiche avanzate. Tu ci credi a queste cose? Boston, ad esempio, è un modello basato su queste analisi, così come Parigi in Eurolega. Prendi roster meno appariscenti, eppure sono secondi o terzi in Europa. Parigi gioca con una logica simile a Boston: o tiro da tre o penetrazione. Personalmente, faccio fatica a guardare quel tipo di basket. Sarà che ho passato un anno con te, Baso, e mi hai fatto il lavaggio del cervello. Ora cerco altro, anche se mi rendo conto che i tempi sono cambiati»

SUL RAPPORTO CON I COACH

«In NBA si presta molta attenzione allo sviluppo individuale del giocatore. Si lavora molto sull’individualità anche all’interno del contesto di squadra. È un’evoluzione del basket che bisogna accettare e abbracciare, senza fare discorsi nostalgici. Certo, magari avessi vent’anni oggi! Le esperienze che ho vissuto a 16 anni, i metodi di certi allenatori, oggi non sarebbero più accettati. E, a mio avviso, è positivo. Alcune cose che accadevano allora non avevano senso, non solo per me ma anche per altri miei compagni e avversari. Però, ammetto che affrontare difficoltà, lasciare casa a 17 anni, mi ha fatto crescere. Anche spaccarmi le ginocchia in allenamento. Ma oggi certi comportamenti non sono più accettabili, ed è un bene».

SULLE DIFFERENZE

«La grande differenza rispetto a quando giocavi tu, Baso, è il numero di partite: noi giochiamo 90 gare all’anno. Non c’è tempo per gli allenamenti doppi di una volta. Si lavora su video, preparazione atletica, pesi e sedute individuali. Al Fener, se facciamo 35 minuti di cinque contro cinque è tanto. In NBA è ancora più estremo: magari 10 minuti di allenamento collettivo, ma sono i giocatori più forti al mondo. Il basket lì è diverso. Mi manca il gioco di squadra europeo, dove ogni partita ha un peso specifico. In NBA non è così. Quando ero lì, eravamo 0-3, e mi dicevano: ‘Tranquilli, miglioreremo’. A 0-7, ancora: ‘Va tutto bene, cresceremo’. Mi sembrava assurdo. Qui, in Europa, se una squadra parte male, si cambia tutto».