NBA Focus: La corsa al Rookie Of The Year

Torna NBA Focus, si parla della corsa al titolo di Rookie of the Year

Iniziamo la nuova decade con uno sguardo alla situazione dei rookies dopo il primo terzo abbondante di regular season.

I numeri dei primi 20 per punti segnati (dati al 28/12):

La prima cosa che salta agli occhi è la tremenda fatica che stanno facendo tanti teenagers scelti in Top 10. DeAndre Hunter arriva a malapena al 40% dal campo, eppure fa meglio dei vari Jarrett Culver, RJ Barrett, Coby White, Cam Reddish e Darius Garland…. Dei rimanenti 4, il più atteso non è ancora sceso sul parquet, e gli altri 3- Chi più, chi meno– stanno facendo quel che ci si aspettava.
Questo non vuol dire assolutamente che siamo di fronte a 6 ‘bust’, anzi, ma rivoltando la questione possiamo dire che non si tratta di quei rarissimi atleti in grado di emergere a prescindere dal contesto. Sì, perchè tolti i famosi ‘Once in a Lifetime prospects’, i Davis, i James, i KD, tutti gli altri hanno bisogno di una sorta di appoggio per emergere, che sia un coach, un particolare contesto o un roster di un certo tipo. O altro ancora, perchè sono veramente tante le variabili che possono condizionare, nel bene o nel male, la carriera dei vari prospetti.
Prendiamo Jayson Tatum, uno che sul serio non poteva sperare di finire in un team migliore dei Celtics. In un contesto competitivo, nessuno gli ha chiesto di fare tutto e subito, di diventare dal day one l’obiettivo delle difese avversarie. Quello era il ruolo di Irving ed Horford, mentre Tatum giocava principalmente sugli scarichi, piazzando la tripla o attaccando il closeout. Da rookie ha preso oltre la metà dei suoi tiri totali con almeno 4 piedi di vantaggio sul suo avversario diretto. Un super Role Player, che tra l’altro già difendeva, un requisito fondamentale per guadagnare la fiducia di Stevens. Un giocatore totalmente diverso da quello visto a Duke, che, pur con la sua classe cristallina, tendeva a dominare il gioco, da prima punta di un roster con ben 6 giocatori destinati in seguito al piano di sopra.
Forse ci siamo dilungati un attimo, ma, ecco il punto, se Jayson Tatum fosse finito ad una Phoenix, o ad una Sacramento, la sua carriera oggi sarebbe allo stesso punto? Altrove, senza allenarsi ogni giorno con gente come Horford o Smart, avrebbe trovato gli stimoli necessari per trasformarsi nell’incredibile difensore che è oggi? Al contrario, se Devin Booker fosse stato scelto dai Celtics? O se solo avesse avuto al suo fianco un Rubio fin dalla stagione da rookie? Il contesto è tutto nella NBA, per chi non nasce con la X del prescelto sulla schiena….

JA MORANT

Senza grosse pressioni, e in un ambiente che punta a valorizzarlo, Ja Morant sta dimostrando che per atletismo e velocità è più che competitivo anche tra i professionisti.

L’ex Murray State chiude circa il 51% dei suoi possessi totali da ball handler nel pick’n’roll, con discreti risultati (0.85 PPP, 58th percentile), ed è di gran lunga il rookie che cerca di più la penetrazione, ben 16.9 x game (decimo in tutta la NBA), che producono in media circa una decina di punti ed un paio di assist. Tra i giocatori nella top 10 della lega, solo Luka Doncic e Trae Young smazzano una % di assist superiore alla sua quando si buttano dentro.
Vederlo attaccare il ferro lascia sempre con il fiato sospeso, tra la voglia di vedere un poster spettacolare e la paura che si faccia male cadendo dallo ‘scontro aereo’ con il difensore. Ha una miriade di soluzioni in avvicinamento, con il tempo capirà che non deve per forza cercare la più ‘cattiva’ ad ogni azione…
Coach Jenkins sa di avere tra le mani una potenziale star, che a 20 anni appena compiuti riesce a guidare un team che ‘rischia’ di andare ai playoff. Errori di gioventù e di troppo entusiasmo non mancano, ma Morant è un passatore naturale, che ama coinvolgere i compagni. Poi, nel quarto periodo spesso capita che sia lui a prendere in mano la situazione:

Morant è quinto NBA per punti segnati negli ultimi 12 minuti….davanti a gente come Kawhi Leonard e LeBron James.

“Non abbiamo problemi ad affidarci a lui nei momenti decisivi, sappiamo che cercherà di fare la giocata giusta. E’ una caratteristica che pochi hanno a inizio carriera…”

TYLER HERRO, KENDRICK NUNN, ERIC PASCHALL

Alla voce ‘Contesto ideale per un giovane’ sicuramente i Miami Heat hanno diritto di cittadinanza.
Basti pensare che Kendrick Nunn, Duncan Robinson e Derrick Jones jr sono tutti undrafted, a cui va aggiunto Tyler Herro. Tutti giocano un ruolo importanti nelle rotazioni di coach Spoelstra. Qui parliamo dei primi due.
Nunn è un Gamer mancino con un tiro pericoloso sia dalla media che dalla lunga distanza, e l’atletismo necessario per farsi strada nel pitturato. Non è un playmaker naturale, il canestro è sempre la prima opzione, ma ha trovato facilmente il suo posto nel sistema ‘pari-opportunità’ degli Heat.

Herro è molto più ‘reclamizzato’ del suo compagno, nonostante un rendimento più ondivago. Il motivo? Trasuda classe e abilità nello shot-making da ogni poro. Spoelstra, uno che non regala niente a nessuno, lo impiega più di ogni altro esterno nel quarto conclusivo, e l’ex Kentucky sta ripagando a dovere la sua fiducia, tirando oltre il 50% sia da due che da tre nelle ‘clutch situations’. E gli Heat hanno la miglior % di vittorie nei finali in volata…

“Tyler si è guadagnato questo tipo di fiducia con il lavoro, il fatto che un max player come Butler lo cerchi con la partita in bilico spiega tutto…”

Qui Herro esegue contro i Bulls, che, nonostante il record attuale, sono pur sempre la sesta difesa NBA:

 

Eric Paschall, rookie da Villanova, ha sfruttato il periodo al college per lavorare molto sul proprio fisico, tanto che Kerr e il suo staff avevano parlato già prima della stagione di un suo impiego in rotazione. Per un’ala con le sue caratteristiche probabilmente non esiste una scuola migliore dell’allenamento con Draymond Green, sempre presente quando si tratta di aiutare i compagni più giovani.

Nelle 18 partite giocate con gli starters Paschall ha prodotto 18 punti, 5.6 rimbalzi e 1.8 assist, tirando il 49% dal campo, il 34% da tre e l’81% ai liberi. Quest’ultimo dato è importante, perchè ha esplosività e forza per andare in lunetta con una certa costanza.

A 23 anni appena compiuti, e forte della sua esperienza alla corte di coach Wright –Con tanto di progressione nelle gerarchie dei Wildcats, fino a diventare la prima opzione lo scorso anno-, Paschall ha dalla sua anche una maturità rara per un debuttante:

“E’ bello sentir parlare di me come il possibile rookie of the year, ma non ci penso, prima di tutto perchè nessuno pensava potessi entrare in questo discorso. L’una cosa che mi interessa è continuare a portare energia in campo, e fare qualsiasi cosa serva al mio team”

Per ora i 4 di cui sopra sono i favoriti per il Rookie of the year, ma manca ancora tanto alla fine della regular season, c’è tempo per recuperare…
Difficile ipotizzare chi tra quelli che stanno deludendo potrebbe ‘svoltare’, forse Barrett grazie alla presenza di un playmaker altruista come Payton al suo fianco, o Culver se veramente Minnesota decidesse di scambiare uno dei pezzi grossi. In gioco ci sono anche le tre power forward che hanno iniziato con il piede giusto, Rui Hachimura, PJ Washington e Brandon Clarke.

La corsa è aperta, aspettando Zion Williamson….