NBA: alla scoperta del salary cup

Il salary cap di quest'anno è un record assoluto ma il tetto salariale è andato via crescendo in modo esponenziale dagli anni '80 fino ad oggi

Tutto il mondo dello sport è in una fase di transizione. Si spera di poter ripartire presto con la consueta attività agonistica ed un occhio è anche sui bilanci economici delle società e squadre. Ci dovranno per forza di cose esserci dei cambiamenti nelle regole dell’attività professionistica, soprattutto in Italia dove si stanno cercando anche correttivi per rendere più equilibrate le competizioni e non far scemare l’interesse nei confronti dei vari campionati nazionali di ogni disciplina.

E dunque, come spesso si è fatto negli ultimi decenni, si volge lo sguardo verso gli Stati Uniti d’America ed ovviamente quando si parla di Basket a stelle e strisce, il riferimento non può che essere la NBA. Nella National Basketball Association da 35 anni esiste uno strumento chiamato salary cap che sembra abbia aiutato a far crescere l’interesse globale nei confronti della pallacanestro d’oltre oceano.

Per approfondire l’argomento l’operatore di scommesse online Betway ha realizzato un articolo con tanto di infografica interattiva che spiega in dettaglio cosa sia il salary cap e come si sia evoluta da un punto di vista economico la NBA in questi tre decenni e mezzo.

Salary cap si può tradurre letteralmente come tetto salariale. All’inizio di ogni stagione, l’NBA fissa un tetto massimo che le squadre non possono superare per pagare i propri giocatori. Il tetto salariale conosce anche confini verso il basso: in pratica non si può scendere più del 10% rispetto al limite prefissato. Nella stagione ancora in corso ad esempio le varie Chicago Bulls, Boston Celtics, Utah Jazz e tutte le altre franchigie non possono spendere più 109.140 milioni di dollari mentre la spesa minima èpari 99.226 milioni.

Il salary cap di quest’anno è un record assoluto ma il tetto salariale è andato via crescendo in modo esponenziale dagli anni ’80 fino ad oggi. Quando fu introdotto nel 1985, il salary cap fu fissato a 3.6 milioni di dollari. Nel 1990, e dunque dopo soltanto 5 anni, si arrivò ad 11.8, un valore quasi quadruplo rispetto a quello originale. La somma è via via aumentato arrivando nel 2000 a 35.5 milioni di dollari e 10 anni dopo a 58.04.

Queste cifre davvero incredibili mettono in evidenza un chiaro aspetto: grazie al salary cap che livella le franchigie di eastern e western conference, la NBA ha visto accrescere il suo appeal ed il suo valore economico nel corso dei decenni.

Nonostante tutto però, anche nella  National Basketball Association abbiamo visto negli ultimi anni una certa cerchia molto ristretta di squadra tra vincitrici e finaliste. Con l’eccezione dell’ultima edizione vinta dai Toronto Raptors, abbiamo avuto i Golden St. Warriors finalisti consecutivamente nelle ultime cinque edizioni che per tre volte li hanno visti anche uscire vittoriosi. Dal 2014 al 2018 la squadra si è sempre confrontata in finale con i Cleveland Cavaliers che però ha vinto in una sola edizione.

Ma il salary cap si potrebbe applicare anche all’Italia? Difficile prendere un modello dove lo sport è organizzato molto diversamente ma con i giusti correttivi e opportune modifiche, potrebbe essere un elemento da prendere in considerazione anche per il nostro sport, a cominciare dal calcio.