Matt Mooney: Voglio trasmettere alla squadra la mia cattiveria agonistica

Ciamillo-Castoria

La guardia ha giocato con Moretti e Owens a Texas Tech: “Non voglio più fare parte di un team perdente e questo mi porta a dare il massimo ogni volta che scendo in campo”

Reduce da una gran “doppia-doppia” contro la Carpegna Prosciutto Pesaro, Matt Mooney è stato il nuovo protagonista del format di LBA “5 domande a…”



Una vittoria importante quella di domenica contro Pesaro che chiude un inizio di 2024 difficile. Quanto è stato importante questo successo di fronte a tutto quel pubblico.


Vincere in casa ha sempre grande importanza, perché sei consapevole di quanto poi sia difficile strappare un successo in trasferta. Per noi è stato fondamentale vincere questa partita, ritrovare la nostra solidità e la nostra sicurezza; abbiamo bisogno di aprire una striscia positiva di gare, questo è stato solo l’inizio, ma ora c’è necessità di continuare e di portare avanti questo primo risultato trasformandolo in un secondo, un terzo e così via.


Da ora in poi Trento dovrà ripartire da "zero" per rimanere saldamente tra le prime otto e conquistare un posto nei play-off. Come ti senti ad essere parte di un gruppo che lotta così duramente per entrare nelle migliori otto del campionato?


Sono venuto a Trento dopo un’esperienza negativa in Turchia, perché giocavo in una squadra che perdeva sempre e perdere è davvero deprimente, giocare in un contesto che non esalta nessuno diventa poi difficile da sostenere anche a livello di motivazioni. Quando sono venuto qui ho pensato fosse giusto fare tutto il possibile per aiutare la squadra a vincere; non importa quanti minuti io giochi, quali compiti mi dia il coach o quale altra missione io abbia, l’importante è che il mio contributo torni utile a tutti quanti e che io sia sempre in grado di fare il necessario per portare la squadra alla vittoria. Gioco con due guardie di alto livello come Prentiss [Hubb, ndr] e Kamar [Baldwin, ndr], questo mi spinge a fare meglio, mi spinge a giocare palla in mano o a muovermi senza palla e farmi trovare pronto, difendere sull’avversario più forte, aggredire la palla; il mio obiettivo è portare quella cattiveria agonistica, quella grinta tale da trasmetterla anche ai miei compagni, perché non voglio più fare parte di un team perdente e questo mi porta a dare il massimo ogni volta che scendo in campo.


Sei un prodotto dei Red Raiders e la Serie A ha altri due giocatori usciti dal college di Texas Tech come te, nella fattispecie Davide Moretti e Tariq Owens, tuoi compagni proprio a Lubbock. Hai parlato con loro prima di trasferirti in Italia e quale tipo di rapporto ti lega con loro?


Sono sempre rimasto in contatto sia con Davide sia con Tariq una volta finita l’esperienza del college, entrambi sono venuti a dare una mano al mio camp estivo e io voglio davvero molto bene a quei due ragazzi; abbiamo trascorso un solo anno insieme in Texas, ma abbiamo creato un legame davvero forte tra noi. Prima di venire a Trento ho sentito Davide: lui conosce molto bene coach Paolo [Galbiati, ndr] e coach Fabio [Bongi, ndr], mi ha parlato tanto di loro, di come lavorano e di come ti aiutano a sentirti membro di un team; il suo giudizio ha influito parecchio nella mia scelta, perché io stavo cercando un progetto come questo e persone come coach Galbiati e coach Bongi. La mia prima partita con Trento è stata proprio contro Davide e abbiamo vinto; perciò, spero di fare lo stesso quando giocheremo contro Tariq [ride, ndr]; lui l’ho sentito dopo la vittoria della Coppa Italia, mi sono congratulato per la grande impresa che hanno compiuto come squadra, come gruppo e come singoli.


Siamo arrivati a marzo, negli Stati Uniti per gli appassionati di pallacanestro questo è il mese della follia [March Madness, ndr]. Ti andrebbe di raccontarci della tua esperienza nel torneo e di che aria si respira in una finale del genere?


Giocare la ‘March Madness’ è sempre stato il mio sogno fin da bambino, sono cresciuto sperando un giorno di poter giocare almeno una partita del torneo nazionale e quando si è avverato il sogno, posso dire essere stato uno dei giorni più belli della mia vita. Ricordo che mia madre mi lasciava saltare scuola per poter vedere le partite del torneo, io mi mettevo di fronte al PC o di fronte alla TV per vederle. Non c’è nulla di più brutto che perdere una finale NCAA, però allo stesso tempo non esistono emozioni simili a quelle di giocarsi una Final Four: ti trovi di fronte a 70.000 o 80.000 persone, perché le finali vengono disputate negli stati di football, perciò quello che vedi e percepisci è qualcosa di assolutamente surreale, mai visto prima, qualcosa che non puoi spiegare a parole perché andrebbe vissuto coi propri occhi e che sai quanto possa essere irripetibile un momento del genere nell’arco della tua carriera. Il momento più bello di tutti è stato avere la mia famiglia al completo lì sugli spalti per guardarmi: c’era ancora mio papà in vita, c’era mia madre, c’erano i miei fratelli e sorelle, c’erano altri parenti venuti per vedermi giocare; un’esperienza che non potrò decisamente dimenticare mai.


Hai una fidanzata che ci sa fare sul campo da basket e con cui ti confronti dopo ogni partita; sei di ispirazione per migliaia di bambini grazie al camp che organizzi ogni estate. Si può dire dunque che Matt Mooney mangia, beve e respira pallacanestro?


Io e Sophia parliamo tantissimo di pallacanestro, ci piace darci dei consigli, ma a volte finiamo per battibeccare perché siamo due persone a cui non piace perdere quando decidiamo di gareggiare uno contro l’altro. Lei ha davvero una grande visione del gioco, spesso mi scrive a metà partita o alla fine delle partite per darmi dei consigli, per dirmi cosa avrei dovuto fare meglio; mi piace potermi confrontare con lei, perché mi aiuta a capire dove dovrei migliorare e mi dà la giusta mentalità per affrontare la partita successiva. Uno contro uno però la batto sempre e non penso di lasciarle vincere nessuna sfida nel futuro [ride, ndr]; anche al gioco "HORSE" sono imbattuto, perciò non credo abbia chance di vincere contro di me. L’idea del camp è nata al termine del mio primo anno di college, ho ricevuto molto supporto da parte di tutti e questa idea si è rivelata subito un’esperienza divertente con un sacco di bambini pronti a partecipare e appassionarsi al gioco. Da quel momento ho deciso di riproporlo ogni estate e di portare qualche giocatore con me per aiutarmi tra cui appunto Davide e Tariq; mi godo ogni volta il piacere di questa esperienza, vedere i sorrisi sui volti dei bambini è qualcosa che non ha prezzo. Ci sono bambini che non potrebbero partecipare al camp per via dei costi, per questo motivo forniamo borse di studio o sconti o agevolazioni in modo tale che tutti abbiano possibilità di accedervi più facilmente e tutto questo è una benedizione. Ci sono bambini che pendono dalle mie labbra, totalmente affascinati e catturati dalla situazione; perciò, credo sia una mia responsabilità quella di ispirarli, di aiutarli a scegliere la retta via, di fare capire loro l’importanza di ritrovarsi in un gruppo, ma soprattutto il divertimento che può portare un camp del genere perché i bambini devono godersi il momento.


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