Kyle Hines, l’uomo oltre il campione

Ciamillo-Castoria

L’omaggio dell’Olimpia Milano alla leggendaria e vincente carriera di Hines

Ora che ha davvero deciso di smettere, alle sue condizioni, dopo 11 titoli nazionali in 13 stagioni, tre di fila all’Olimpia Milano, è arrivato il momento di rendere omaggio ad uno dei più grandi giocatori americani che siamo mai venuti in Europa e anche il più vincente di tutti. Kyle Hines è stato un giocatore "old school" per lo spirito e la mentalità e "new school" per il modo di interpretare il gioco. Un centro che portava palla, playmaker aggiunto, point-center si dice adesso. Un centro che era capace di cambiare su tutti i blocchi e reggere penetrazioni e isolamenti contro le guardie più piccole e veloci. Un giocatore considerato fuori tempo perché piccolo che ha sempre sconfitto le leggi della taglia fisica, la regola numero uno del basket, quella per cui chi è più alto ha sempre un vantaggio. Non contro Kyle Hines, non se devi girargli attorno e trovarlo, velocissimo, dove vorresti arrivare per primo. Eppure, la grandezza del giocatore non è paragonabile alle dimensioni della persona. Un leader, una persona educata, un uomo legatissimo alle proprie origini, alla propria famiglia, ai propri principi. Un combattente onesto e leale, con sé stesso, con i compagni, con gli avversari. Hines è stato il giocatore che, se protesta, deve avere ragione, perché non protesta mai se ha torto. È stato il giocatore che ha sempre e solo raccolto applausi anche dagli avversari, perché non puoi osteggiare chi si batte con questo rispetto, con quello stile.


(Una versione differente di questa storia era stata pubblicata quando Kyle Hines diventò il primatista di presenze in EuroLeague)


 

Sicklerville, New Jersey, è un centro che ospita 50.000 abitanti lungo la East Coast americana, attraversato dalla Atlantic City Expressway che in 40 minuti ti porta dritto sull’oceano, in una delle capitali del gioco d’azzardo. Ma gli abitanti della cittadina fondata nel 1851 da John Sickler, di qui il nome, preferiscono gravitare verso il fiume Delaware e la città di Philadelphia. In condizioni di traffico agevole, si arriva nel cuore della Città dell’Amore Fraterno in 25 minuti. Kyle Hines è di Sickerville ed è un fanatico dello sport di Philadelphia, come il fratello minore Tyler, come il padre. Dicono che il nonno gli avesse depositato il pallone da basket nella culla, ma lui ha provato anche l’atletica, il karate e il football. Ma quando arrivò il momento di andare al liceo, e doveva ogni mattina percorrere 32 chilometri per arrivare a Camden, il basket diventò la sua unica passione. Fortunatamente, nel 2001 venne aperta la Timber Creek High School, molto più vicina e raggiungibile da Sicklerville. "Sono orgoglioso di aver fatto parte di una scuola tutta nuova. La mia è stata una delle prime classi a diplomarsi. Ogni estate quando torno a casa mi piace vedere come la scuola si sia evoluta e sviluppata. Sono contento di aiutare", dice.


 

L’ allenatore della squadra di basket si chiamava Gary Saunders, fratello di Leon Saunders che alla Roosevelt High School di Long Island (zona New York ma non lontana dal South Jersey da cui proviene Kyle) negli anni ’60 era stato compagno di squadra di Julius Erving, il leggendario Doctor J: a quei tempi, Erving giocava con il 42. Saunders decise che Hines avesse una personalità simile e volle che indossasse appunto il 42. "Per me la motivazione è un onore, Doctor J è stato un giocatore leggendario, ma anche una grande persona", dice Kyle.


 

Kyle Hines era un eccellente giocatore a Timber Creek, ma quando sei confinato in una piccola città della parte meridionale del New Jersey, lontano dagli occhi delle grandi università, non è facile catturare il loro sguardo, la cosiddetta "Exposure". Hines poi era costruito come un linebacker, ma con il gioco riservato all’epoca a chi era alto 2.10 (in realtà non era proprio così: a molti è sempre sfuggito l’incredibile ball-handling di Hines, uno che è capace di palleggiare come un playmaker, tenendo basso il palleggio). Mitch Buonaguro, assistente allenatore a UNC-Greensboro, fu il primo a notarlo e lo segnalò al suo capo allenatore, Fran McCaffery che è di Philadelphia. Così Kyle venne reclutato.



Hines è arrivato a Milano nell’estate del 2020 e a Milano ha prolungato la sua striscia di partecipazioni alle Final Four. Nessun americano ha giocato tante Final Four o vinto tanti titoli quanti ne ha vinti lui. L’ha fatto sempre con classe, stile, educazione, apprezzamento per quello che ha trovato in Europa. I giocatori americani, non solo i compagni di squadra, lo guardano come si guarda ad una leggenda, solo che poi la leggenda va in campo. C’è andato più di qualunque altro giocatore.


Gli americani in EuroLeague arrivano tardi e finiscono di giocarci prima degli europei, per ovvie ragioni. Per questo i numeri di Hines valgono davvero tanto. Essendo il prototipo del giocatore di squadra, però, la statistica che significa di più è quella dei titoli vinti e delle partite vinte. "Se mi guardo alle spalle – conclude – non ho rimpianti, ho conosciuto l’Europa, ho giocato in EuroLeague, ho fatto tante esperienze, ho vinto tantissimo, ho giocato con grandi giocatori e per grandi allenatori, per alcuni dei club con più storia al mondo. Ho sempre avuto il sogno di giocare nella NBA, ma oggi sono felice che non si sia avverato. Ho capito ad un certo punto che il mio vero sogno era un altro, ed era qui in Europa. Durante i miei quattro anni in Europa ho pensato che fosse un percorso e che sarei arrivato a giocare lì. Ma dopo quattro stagioni, ero ad Atene, ho smesso di pensarci", dice.


 

Una clip con le sue azioni spettacolari può essere realizzata attraverso una stoppata miracolosa, inaspettata, generata non tanto dallo stacco da terra, ma da forza, tempismo e velocità di salto. Oppure può riguardare un contropiede condotto in palleggio e chiuso da un assist. I rimbalzi offensivi sono il suo tratto caratteristico. È stato più efficace sotto lo specchio d’attacco che quello difensivo. Ma il suo segreto è nella serietà con cui si è sempre preparato, nell’applicazione, nell’intelligenza. E poi tutto questo è diventato carisma. Kyle Hines sta al basket dei giorni nostri come Dino Meneghin stava a quello degli anni ’80. Non è mai una questione di statistiche personali, la loro enormità serve solo per generare l’unica cosa che conta davvero. Vincere.




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